WAYFARER – Sangue Western

Pubblicato il 27/10/2018 da

Uno dei dischi che più ci hanno interessato ed appassionato, in questo lentamente tramontante 2018, è stato “World’s Blood” degli statunitensi Wayfarer, da Denver, Colorado. Una miscela molto originale tra atmospheric black metal, post-black e il sottile-ma-riconoscibilissimo richiamo alle suggestioni da Far West provenienti dalla loro terra, richiamo che si mescola perfettamente al background metallico dei Nostri infondendo alla loro proposta un’aura personalissima e di forte individualità. D’altronde, come non venir attirati, perlomeno ad un primo ascolto di prova, da una copertina come quella del disco in questione, ritraente uno scout indiano a cavallo circondato da campi e montagne innevate, il tutto filtrato da un effetto anticante spettacolare? Abbiamo quindi sentito il dovere, per forza, di andare subito a contattare questi quattro pard americani che, nelle parole del chitarrista Shane McCarthy, ci hanno risposto così…


CIAO SHANE, BENVENUTO SU METALITALIA.COM! PRIMA DI TUTTO MI PIACEREBBE CHIEDERTI LUMI RIGUARDO LA VOSTRA STORIA, FACENDO UN BREVE SALTO INDIETRO NEL TEMPO: RACCONTACI LA NASCITA DEI WAYFARER E LA LORO EVOLUZIONE ATTRAVERSO I PRECEDENTI “CHILDREN OF THE IRON AGE” E “OLD SOULS”…
– La fondazione può venir fatta risalire a circa il 2012, quando io ed il vecchio chitarrista Tanner Rezabek registrammo un demo strumentale. Da lì formammo poi la vera band e iniziammo a lavorare su “Children Of The Iron Age”, che venne pubblicato dalla Prosthetic Records e ci portò in giro un pochetto per gli Stati Uniti. Di seguito arrivò il secondo “Old Souls”, con il quale abbiamo cominciato ad addentrarci più in profondità nel nostro sound e in alcuni elementi unici che ben abbiamo sviluppato poi nel corso dei concerti e durante la composizione di “World’s Blood”.

ANDIAMO CON CALMA. DOPO LA RELEASE DI “OLD SOULS”, AVETE DOVUTO FAR FRONTE ALL’ABBANDONO DI TANNER, CHE ERA CO-FONDATORE, COMPOSITORE, CHITARRISTA E CANTANTE NEI WAYFARER. COME VI SIETE RIORGANIZZATI, DUNQUE?
– Tanner ha lasciato i Wayfarer in buoni rapporti, la sua vita privata ha richiesto maggior tempo e attenzione all’epoca. Siamo stati fortunati ad avere subito pronta la persona per sostituirlo: Joey Truscelli, difatti, segue la band in un modo o nell’altro fin dal giorno uno, quindi era chiaro che doveva entrare lui. Joey è stato mio maestro di chitarra al tempo del primissimo demo e ci ha aiutato in un paio di tour suonando il basso. Era il sostituto naturale, oltre ad avere un’incredibilmente ampia visione della musica. E’ stato un passaggio indolore per noi, l’abbandono di Tanner, anzi, con Joey ci siamo elevati musicalmente, poco ma sicuro.

VENENDO ORA A “WORLD’S BLOOD”, E’ CHIARO COME POSSA ESSERE CONSIDERATO COME UNA SORTA DI ‘NUOVO INIZIO’, CON UN SONGWRITING PIU’ MATURO E PERSONALE E LE VOSTRE INFLUENZE POST- VENUTE COMPLETAMENTE A GALLA. QUALI ERANO I VOSTRI OBIETTIVI AL MOMENTO DI INIZIARE LA SCRITTURA DEL DISCO E COME QUEST’ULTIMA SI E’ EVOLUTA?
– Ci è semplicemente sembrato di avere finalmente compreso appieno ciò che volevamo suonare ed esprimere. Ci siamo trovati tutti focalizzati sullo stesso scenario, per cui ci siamo dedicati alla composizione con un piglio più consapevole e deciso, volenterosi in primis di tagliare tutto ciò che ci pareva inutile, limando le opulenze stilistiche. Credo che come musicisti ci siamo negli anni avvicinati molto e questo si vede e sente nel nuovo album: il nostro suono ora si è sviluppato in maniera più profonda.

LA COPERTINA DI “WORLD’S BLOOD” E’ DAVVERO MAGNIFICA, UNO DEI MIGLIORI ARTWORK VISTISI NEGLI ULTIMI TEMPI! INTRODUCE MOLTO BENE L’ASCOLTATORE NELL’ATMOSFERA DEL VOSTRO MONDO FATTO D’EPOS, OSCURITA’ E DOLORE. QUALI ERANO (E SONO) LE SENSAZIONI CHE VOLEVATE INSTILLARE CON UNA TALE GRANDIOSA IMMAGINE?
– L’artwork di copertina è una fotografia risalente al 1908, scattata dal fotografo culturale Edward S. Curtis. Raffigura uno scout della tribù Crow (una tribù di nativi americani, associata ai Sioux per vicinanza di linguaggio e nota anche con il nome di Absaroke, ndR) durante un freddo inverno nel Montana. Essendo del periodo e della regione che i temi dell’album evocano e possedendo quell’aura spettrale e angosciante che tutti potete vedere, l’abbiamo trovata perfetta affinché rispecchiasse il mood di “World’s Blood”. Penso sia un’immagine molto oscura e affascinante, colpisce subito l’occhio e dà un’idea immediata di quale musica possa essere contenuta nel disco.

QUANTO LA STORIA E LA NATURA DELLA VOSTRA TERRA, IL COLORADO, INFLUENZANO ORA LA VOSTRA MUSICA? IN “WORLD’S BLOOD” IL VOSTRO SOUND SEMBRA PULSARE ALLO STESSO RITMO, SANGUINOSO, AFFASCINANTE, DURO MA TOCCANTE, DEL PASSATO DELLE VOSTRE ZONE… SIETE D’ACCORDO?
– Assolutamente sì! L’album parla e racconta del West. Siamo cresciuti qui ed esiste una sorta di vivo, forte e sanguinoso passato sepolto che però si protrae nel presente ed è ancora quasi fisicamente palpabile oggi. Lo stesso feeling che volevamo venisse convogliato nel disco e poi trasmesso all’ascoltatore. Un quadro del paesaggio che una volta fu e i suoi attuali spiriti.

ASCOLTANDO L’ALBUM, INFATTI, PARE PROPRIO DI INTRAPRENDERE UN VIAGGIO AVVENTUROSO ATTRAVERSO ANTICHE STRADE, FREDDE E SELVAGGE. “ANIMAL CROWN”, LA TRACCIA D’APERTURA, PROIETTA L’ASCOLTATORE IN UNA CAVALCATA IN STILE WESTERN. PUOI PARLARCI PIU’ A LUNGO DI QUESTO PEZZO?
– Siamo una band che si focalizza molto sulla costruzione di temi musicali in crescendo, ma stavolta volevamo partire con qualcosa di differente, qualcosa di più forzato e diretto. La canzone è breve e selvaggia, proprio come desideravamo. A livello lirico è incentrata sul lato animale che alberga in ogni uomo. Non importa quanto un essere umano possa presentare se stesso alla società, tramite l’apparenza del suo status: siamo tutti animali e la corona non sta a lungo sulla testa di una sola persona; cade in fretta.

DOPO LA PRIMA ‘BREVE’ TRACCIA, LA PARTE CENTRALE DEL LAVORO PRESENTA TRE LUNGHI EPISODI CHE DEFINISCONO MEGLIO LA VOSTRA PROFONDITA’ DI SUONO, COSI’ COME LA VARIETA’. CI DATE UN PENSIERO PERSONALE SU QUESTE TRE CANZONI, UNA FRASE CHE LE DESCRIVA SOMMARIAMENTE?
– Ognuna di queste tre canzoni mostra un aspetto differente della storia, del concept narrati all’interno di “World’s Blood”. “On Horseback They Carried Thunder” è un po’ la ‘carne’ dell’album, una storia avventurosa pregna di vendetta con un lento ed intenso crescendo. “The Crows Ahead Cry War” rappresenta una sorta di ‘pausa’ centrale, con una traiettoria musicale che sa di ritualistico nella sua composizione e che dipinge un determinato modello di fotografia. “The Dreaming Plain” è un viaggio allucinatorio che porta tutti gli elementi descritti in una sorta di strano approdo finale.

INFINE SI ARRIVA ALLA SPLENDIDA “A NATION OF IMMIGRANTS”, NELLA QUALE LE SUGGESTIONI DEL FAR WEST PRENDONO DOLOROSAMENTE FORMA. COME SOPRA, DUE PAROLE SULL’APPENA CITATO BRANO?
– Questo pezzo si distacca alquanto da ciò che abbiamo proposto finora come Wayfarer, perchè mai prima di “A Nation Of Immigrants” avevamo composto una canzone completamente acustica. Ed è anche stata la mia prima volta in assoluto in cui ho cantato, oltre che ad aver aggiunto alcune voci ‘ospiti’. Volevamo concludere il disco con un brano depresso, dai toni mesti, che invocasse più direttamente il suono ed il sentimento stillanti dal paesaggio e dalle terre su cui stavamo lavorando, l’ambientazione della storia insomma. Il pezzo ha un non so che di spaventoso e ci è uscito piuttosto bene, per quello che intendavamo scrivere.

CON IL NUOVO DISCO SIETE PASSATI DALLA PROSTHETIC RECORDS ALLA PROFOUND LORE. COSA SIGNIFICA PER VOI QUESTA NUOVA, E PRESTIGIOSA NELL’UNDERGROUND, ETICHETTA? E COME PROCEDONO QUESTI PRIMI PERIODI DI COLLABORAZIONE?
– La Profound Lore è sempre stata per noi la label ideale. Chris Bruni (boss della Profound Lore, ndR) e l’etichetta in generale hanno sempre mantenuto un forte senso d’integrità e siamo stati davvero onorati di aggiungerci alla loro scuderia. Chris ci ha supportato in ogni momento su qualsiasi cosa avessimo in mente di fare e la collaborazione è fin qui definibile come ‘fantastica’. Ci sentiamo come a casa e speriamo di poterci restare almeno per un po’. La Profound Lore ha il massimo rispetto per i suoi artisti e per la loro creatività.

UN BEL PO’ DI TOUR E PARECCHIA ATTIVITA’ LIVE VI ASPETTA NELL’IMMEDIATO FUTURO (infatti le risposte a questa intervista sono giunte decisamente in ritardo, ndR). PENSATE CHE LA DIMENSIONE LIVE SIA QUELLA PIU’ ADATTA PER UNA MUSICA COME LA VOSTRA, E PIU’ IN GENERALE PER IL POST-ATMOSPHERIC BLACK METAL, OPPURE VI SENTITE PIU’ BAND DA STUDIO?
– Ma assolutamente no! Ci sentiamo innanzitutto e soprattutto una band nata per suonare dal vivo. Il metal resta sempre un’esperienza viscerale, di pancia, e ci piace proiettare ciò che componiamo in una dimensione, quella live, molto più aggressiva di quella dello studio. Abbiamo registrato l’album dal vivo proprio per cercare di catturare quel feeling, per poi riportarlo con maggior naturalezza on stage, il posto in cui il metal viene espresso, deve venir espresso. Uno dei nostri obiettivi è portare la nostra musica ovunque. E penso che potremo vederci in Italia, almeno credo, nel 2019!

 

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