Parlare con metallari di vecchia data come Tony “Mad” Fontò è sempre una soddisfazione, perché appartiene a quella schiera di persone che suona soltanto per il piacere di farlo, mosso dalla passione per la musica, senza tirarsela, senza sparare frecciate su tutto e tutti. Il rientro nei White Skull della cantante Federica “Sister” DeBoni e l’uscita del nuovo “Under This Flag” ci forniscono una buona occasione per fare una lunga chiacchierata unicamente incentrata sulla musica e sull’amicizia fra persone che si ritrovano a suonare insieme dopo tanto tempo, come se la magia non si fosse mai interrotta. Riff, canzoni, sudore e acciaio, tutto sotto la bandiera dell’heavy metal!
INNANZITUTTO BENTORNATI WHITE SKULL: NUOVA FORMAZIONE, MA CON IL RIENTRO DI UNA NOSTRA “VECCHIA” CONOSCENZA ALLA VOCE...
“Grazie per il ‘bentornati’! Della formazione originale, parlo del primo embrione della band, sono rimasto solo io. Pensa però, che Federica era con noi già nel 1991, prima ancora che entrasse in formazione Alex (Mantiero, il batterista). Praticamente siamo nati insieme. Se dobbiamo morire, meglio morire con chi si è nati (ride, nda)!”.
QUANDO LA VOSTRA CANTANTE ELISA “OVER” HA LASCIATO LA BAND, NON AVETE FATTO COMUNICATI, PREFERENDO “LAVARE I PANNI SPORCHI IN CASA VOSTRA”. A DISTANZA DI TEMPO, TI SENTI DI PARLARE DEI MOTIVI CHE HANNO PORTATO ALLO SPLIT?
“Sostanzialmente, più che per divergenze musicali lo split è avvenuto per differenze caratteriali. Nella musica a questi livelli non si campa, ma si suona principalmente per divertirsi, anche se portare avanti una band come la nostra richiede un sacco di energie. Nel momento in cui per tenere insieme il gruppo ti rendi conto che le energie sono sprecate, che non ci si diverte più e che andare in giro con certe persone diventa un peso, allora è chiaro che le cose non funzionano. Ricordo che eravamo in Lituania per uno show, la sera prima ho preso Alex da parte e gli ho detto che dopo il concerto i White Skull potevano considerarsi sciolti, perché preferivo scrivere la parola fine alla band piuttosto che rimettermi a cercare un altro cantante. Avevamo Federica, poi è stato il turno di Gus, poi siamo ritornati alla voce femminile con Elisa, ragazza in cui credevamo moltissimo e le abbiamo dato davvero l’anima! Purtroppo anche in questo caso le cose non sono andate bene per una serie di fatti che non voglio raccontare. Volevo proprio chiudere con tutto. Una volta tornati a casa, i ragazzi mi hanno fatto ragionare. Mi sono preso un periodo di ferie e quando sono tornato ci siamo messi a cercare un nuovo cantante. A questo punto si è fatta avanti Federica, la quale era in procinto di tornare in Italia. Ovviamente abbiamo subito accettato la sua proposta di provino (ride, nda)”.
QUANDO FEDERICA E’ TORNATA E VI SIETE TROVATI PER LA PRIMA VOLTA A SUONARE INSIEME, COSA AVETE PROVATO?
“Guarda, sarò sincero, quando abbiamo suonato insieme per la prima volta dopo tanti anni, sembrava che Federica non avesse mai abbandonato il microfono. Ovviamente ha dovuto riprendere un po’ di confidenza, lei era quella che aveva più timore. Devi capire che a parte me ed Alex, lei non conosceva Danilo e gli altri ragazzi, non sapeva come si sarebbe trovata, temeva il giudizio degli altri membri. Invece Danilo era esaltatissimo, pensa che le ha chiesto di autografargli la sua copia di ‘Tales From The North’! Adesso sembra che tutti si conoscano da vent’anni, la cosa più bella è che tra lei, me ed Alex il tempo sembra essere tornato indietro di undici anni”.
PER REGISTRARE IL NUOVO “UNDER THIS FLAG” SIETE RITORNATI AI NEW SIN STUDIOS, DOVE INCIDESTE PROPRIO “TALES FROM THE NORTH”.
“Siamo ritornati ai New Sin per diverse ragioni. La prima è che fino a qualche tempo fa ero socio dei Remaster studio e potevo disporre di tutto il tempo necessario per le registrazioni, ora non più. Con Luigi Stefanini ci siamo sempre trovati bene, abbiamo trovato un buon accordo e abbiamo scelto di tornare ai New Sin”.
PER SCRIVEREI NUOVI BRANI VI SIETE AVVALSI DELL’AIUTO DI FEDERICA DALL’AMERICA O AVETE COMPOSTO TUTTO QUI IN ITALIA?
“Entrambe le cose. Finchè Federica era in America, noi abbiamo iniziato a scrivere musica, abbozzare i brani e mettere in piedi le prime strutture dei pezzi. Poi li mandavamo a Federica per farglieli ascoltare. Lei, essendo presa con il trasloco, non aveva tempo di registrare le sue parti, ma ci ha mandato le sue idee e le sue proposte che noi abbiamo seguito per perfezionare le canzoni. Quando Federica è rientrata, abbiamo scelto le parti migliori che avevamo in mano ed abbiamo iniziato a registrare con le linee melodiche che lei aveva in testa, cosa che a volte comportava la modifica della struttura di un pezzo. Dopo il suo ritorno, per oltre un mese, si è lavorato tutti i giorni insieme per la stesura del disco”.
I BRANI SONO LEGATI DA UN FILO CONDUTTORE?
“Sì, il tema principale è la guerra. ‘Under This Flag’ è un pezzo auto celebrativo che parla di noi, della nostra battaglia per il mondo della musica, per la sua purezza e per tutte le belle cose che accomunano musicisti e fan. Gli altri brani invece parlano di guerra vera e propria, sono storie raccontate, alcune vere, ma riviste sotto la nostra ottica. Ad esempio ‘Red Devil’ parla dell’attacco a Pearl Harbor, di come una persona presente può aver vissuto quel momento. ‘War After War’ parla dei conflitti in generale, di come ce ne siano sempre, ma senza portare a nulla di concreto. ‘A.O.D.’ invece tratta di un angelo custode che ci sta sempre vicino, noi lo chiamiamo angelo della morte perché è colui che alla fine ti prende e ti porta via con sè”.
RISPETTO AI VOSTRI ULTIMI DISCHI, IL VOSTRO SOUND E’ TORNATO PIU’ RUVIDO E VICINO ALLE ORIGINI.
“Indubbiamente l’aver ridotto l’utilizzo di tastiere ha riportato le chitarre in primo piano ed il sound vicino a dischi come ‘The Ring Of The Ancients’ o ‘The Dark Age’. Questa è stata una scelta voluta e dettata dal fatto di non aver più un tastierista fisso in formazione. Entrano in ballo anche scelte di produzione, perché Elisa non ha la voce di Federica e necessitava di un supporto che non fosse solo chitarristico. Una voce potente, anche senza tastiere, ha un gran supporto di per sé, una fine e meno aggressiva potrebbe venire sminuita dalle chitarre, così entrano in ballo le tastiere. A questo proposito, ci ha dato una mano Alex Lucatti, che ha scritto le parti di tastiera del nuovo disco”.
DAL VIVO NEL VOSTRO ULTIMO TOUR DI BENTORNATO A FEDERICA, AVETE PUNTATO MOLTO SUI VECCHI BRANI. VI DIVERTITE ANCORA DOPO OLTRE DIECI ANNI A SUONARE “ASGARD” O “ROMAN EMPIRE”?
“Pezzi come ‘Asgard’ io li dedico al pubblico che viene a vederci, che ci da la carica e non potrò mai stufarmi di suonarlo. ‘Asgard’ parla dei vichinghi e delle divinità nordiche, figure che io associo molto al metal. Vedo la canzone come un inno a Thor, a Odino e all’heavy metal, mi piace moltissimo e non mi stanco mai. A dire la verità non ci sono pezzi nostri che mi stancano”.
PRIMA CHE FEDERICA SE NE ANDASSE, AVETE INCISO DISCHI PER GROSSE ETICHETTE COME LA NUCLEAR BLAST. CON IL SUO RITORNO AVETE RICEVUTO PROPOSTE DALL’ESTERO O AVETE SUBITO DECISO DI RIMANERE INSIEME A DRAGONHEART RECORDS?
“A essere onesti, non abbiamo nemmeno cercato altre occasioni. Io sono molto legato a Dragonheart, ci siamo sempre trovati bene e per questo motivo, per una questione di correttezza, la prima proposta l’ho fatta a Enrico Paoli. Lui si è subito detto interessato, per cui non ho avuto dubbi nel siglare un accordo con lui. Non nego che qualche proposta sia arrivata, soprattutto dall’estero, ma ho risposto dicendo che avevamo già firmato per Dragonheart”.
“UNDER THIS FLAG” E’ USCITO A MAGGIO, AVETE PENSATO A PROPORVI PER SUONARE NEI GRANDI FESTIVAL ESTIVI?
“Diciamo che da quando è tornata Federica ci siamo concentrati anima e corpo sul disco, volevamo terminare i lavori per prima cosa. Poi abbiamo contattato alcuni organizzatori facendo le nostre proposte, ma ci siamo trovati davanti ad un muro di gomma. Non so, molto probabilmente non gli andiamo abbastanza a genio, per cui continuiamo per la nostra strada. Pensa che per altri festival molti promoter si sono proposti direttamente, in Italia e anche all’estero, in Slovenia per esempio. E’ un segnale che l’interesse per la band c’è, non smuoviamo le masse, ovvio, ma quando ci chiamano per suonare, noi andiamo e basta. Noi suoniamo per la nostra passione, ben venga tutto ciò che arriva.”
TU HAI SEMPRE PARLATO DI PASSIONE QUANDO SUONI, MA C’E’ QUALCOSA DELL’AMBIENTE CHE TI FA DAVVERO GIRARE LE SCATOLE?
“Purtroppo siamo italiani, dico questo perché in Italia non viene dato credito alle proprie band. E questo non vale solo per i promoter, ce ne sono un sacco che si sbattono per organizzare qualcosa, ma il pubblico non viene. Posso dire che abbiamo fatto dei concerti con un bel po’ di fan, ma il movimento è proprio piccolo, essenziale, se lo confrontiamo con altri paesi europei. Vorrei che i fan non guardassero solo i gruppi esteri, perché ci sono musicisti italiani che non hanno niente da invidiare ai colleghi internazionali. Non dico Metallica, parlo di formazioni ‘medie’ che possono portare 5-600 persone ai concerti e che non valgono di più di noi italiani. Questo è il mio più grosso rammarico”.