Aaron Weaver rappresenta da sempre metà della forza compositiva ed espressiva dei Wolves In The Throne Room, assieme al fratello Nathan. Della formazione è anche la figura pubblica, ma coerentemente con il loro status di band di culto e poco avvezza allo stardom, è un uomo parco di parole, per quanto molto riflessivo e profondo. Nel seguito il resoconto della conversazione telefonica che abbiamo avuto il piacere di avere con lui sul loro nuovo e meraviglioso album; oltre che su temi più alti, che del resto la band tende a descriverci anche nei loro testi. Un’intervista ‘viziata’ da un breve ritardo: Aaron ci aveva infatti scritto poco prima della stessa avvisandoci che era in studio oltre l’orario previsto, mostrandosi subito cordiale e molto aperto, e rivelandoci così nelle battute iniziali qualche dettaglio (in qualche modo già noto) sulla vita privata della band.
foto di Levan Tk https://www.levantk.com/
– Ehi, ciao! Scusa il ritardo… come va?
BENE, GRAZIE, E TU? MI DICEVI CHE ERI IN STUDIO.
– Tutto alla grande, grazie. Sì, sono tornato adesso, io abito in una fattoria poco lontano da casa di mio fratello, dove abbiamo il quartier generale dei Wolves In The Throne Room, per così dire, e passo di lì tutti i giorni.
FANTASTICO!
– Sì, lo è assolutamente!
VISTO CHE È PARECCHIO CHE NON TI SENTIAMO, VORREI CHIEDERTI PER PRIMA COSA QUAL È LA TUA VISIONE IN PROSPETTIVA DEI WOLVES IN THE THRONE ROOM DOPO QUINDICI ANNI DI CARRIERA E SEI ALBUM.
– Mi piace questa domanda, perché sai, questa band continua ad andare avanti, a girare, a diventare sempre più forte… è la mia vita, è la musica che faccio, è la mia espressione spirituale, è la mia arte, è tutto il mio mondo, insomma, ciò che viene dal mio cuore e che faccio ininterrottamente, ecco cosa sono per me i Wolves In The Throne Room.
E ANCHE PARTE DELLA TUA FAMIGLIA, A DIRLA TUTTA.
– Oh, sì: chiaro! E ora la famiglia si sta allargando, ma magari ne parliamo dopo.
LA FAMIGLIA MUSICALE, INTENDI? O HAI UNO SCOOP PER I NOSTRI LETTORI?
– Ahahah, no! Ho già un figlio e per quanto avere una famiglia e figli sia stata una delle scelte più belle che ho fatto nella mia vita, non ho in programma altri figli, solo nuovi album!
OTTIMO! ALLORA, PRIMA DI PARLARE DI KODY (KEYWORTH, STORICO CHITARRISTA IN SEDE LIVE E ORA MEMBRO EFFETTIVO DELLA BAND, NDR) TI CHIEDEREI, SEMPRE IN TEMA GENERALE: SIETE VISTI UNANIMEMENTE COME UNA DELLE BAND PIÙ PECULIARI, INNOVATIVE E ORMAI ANCHE INFLUENTI DELL’INTERA SCENA BLACK METAL, PER QUANTO SIATE SPESSO LONTANI DALL’ESTETICA E DAI TEMI TIPICI DEL GENERE. COME VI RELAZIONATE A CIÒ?
– Beh, noi ci consideriamo assolutamente black metal, ma al tempo stesso nessun’altra band suona come noi, è qualcosa di unico; e penso che questo sia dovuto al luogo in cui viviamo, questa splendida foresta, e per me la nostra musica significa ascoltare ciò che ci circonda: gli alberi, gli animali che vivono qui intorno… insomma, la musica, i testi, le storie che raccontiamo vengono da questo luogo. Che è unico e meraviglioso.
MAGARI POI TORNIAMO SU QUESTO TEMA. IN PASSATO HAI DICHIARATO TRA LE VOSTRE INFLUENZE BAND ANCHE MOLTO DIVERSE TRA LORO COME EMPEROR, ULVER E NEUROSIS, DI CUI POSSIAMO TROVARE ALCUNI ELEMENTI DI ISPIRAZIONE NEL VOSTRO SOUND, MA APPUNTO CON UN’UNICITÀ E UNA VARIETÀ ASSOLUTA. PENSI CHE CI SIA ANCORA PIÙ VARIETÀ, ORA? È CAMBIATO QUALCOSA NEL MODO IN CUI COMPONETE ORA CHE KODY È PARTE INTEGRANTE DELLA BAND?
– Sai, quando abbiamo iniziato a scrivere “Thrice Woven” eravamo solo io e Nathan, ma durante la scrittura ci siamo presi un po’ di tempo libero per stare nei boschi e tranquilli; poi, nell’inverno del 2015, abbiamo deciso che era tempo di rimetterci al lavoro per il nuovo album. Abbiamo registrato praticamente tutto, quando ci siamo resi conto che era tempo, per Kody, di entrare in pianta stabile nella band, quindi è subentrato verso la fine, aggiungendo molte parti di chitarra, occupandosi di parte delle voci e contribuendo al mixaggio. E penso ci sia il suo spirito e la sua impronta nell’album, e non vediamo l’ora di tornare in studio e averlo con noi fin dalle bozze, anche se ci vorrà un po’ di tempo.
QUINDI POSSIAMO DIRE CHE ERAVATE A TUTTI GLI EFFETTI IN TRE, DIETRO LE QUINTE DI QUESTO LAVORO?
– Sì, esatto.
VISTO CHE ABBIAMO CITATO IL NUOVO ALBUM, È EVIDENTE CHE È UN CHIARO RITORNO A UN SUONO PIÙ TIPICO, PER VOI, DOPO L’ESPERIMENTO DI “CELESTITE”. FIN DAL PRIMO BRANO SONO PRESENTI I VOSTRI RIFF FURIOSI, LE VOCI ETEREE, LE VOSTRE ATMOSFERE. MA CI PARE CHE SIATE RIUSCITI A TRASMETTERE ANCHE LE VIBRAZIONI DEI VOSTRI PRECEDENTI ESPERIMENTI, E MI RIFERISCO ANCHE AI DROW ELIXIR. SEI D’ACCORDO?
– Creare atmosfere coi sintetizzatori è qualcosa che abbiamo sempre fatto, ed è meraviglioso avere anche le tastiere nel nostro sound. Si può sentire particolarmente in “Mother Owl, Father Ocean”, che è un brano su cui abbiamo lavorato assieme io e Kody, e possiamo dire che è il primo brano su cui Kody è presente da membro effettivo, per il quale ha creato i paesaggi sonori. Ho ottimi ricordi di come abbiamo lavorato fin da subito in studio.
ABBIAMO NOTATO CHE C’È ALMENO UN OSPITE DI RILIEVO, OSSIA STEVE VON TILL DEI NEUROSIS SU “THE OLD ONES ARE WITH US”. È STATO UN ESPERIMENTO O UN OMAGGIO A UNA BAND CHE AMATE?
– In realtà abbiamo già avuto ospiti in passato, come Jessika Kenney alle voci, e in generale per le voci di supporto, ma questa volta volevamo una voce maschile; e avevo in mente una voce adulta, saggia, qualcuno che desse l’idea di parlare dal cuore e che potesse esprimere l’amore per questa Terra su cui viviamo. Così ho chiesto a Randall (Dunn, ndr), il nostro produttore “ehi, vogliamo qualcuno che canti su questa traccia, dev’essere una voce forte e maschile!”; Randall ha subito proposto Steve, ed è stato perfetto. Come dicevamo prima, i Neurosis sono sempre stati un’influenza enorme, per noi, sia per la loro musica che per la loro integrità. È stata una grande esperienza poter avere Steve sull’album, diventare amici, sentire la sua opinione su molte cose: è un grande musicista e un grande uomo.
PERALTRO “THE OLD ONES ARE WITH US” È A NOSTRO PARERE UNO DEGLI EPISODI PIÙ TOCCANTI DELL’ALBUM; L’INVOCAZIONE CHE COMPARE NEL BRANO CI PARE CONFERMARE L’IMPORTANZA CHE LA DIMENSIONE SPIRITUALE ED ECOLOGICA HA ANCORA PER VOI. TI ANDREBBE DI APPROFONDIRE UN PO’ I TESTI DI QUESTO ALBUM?
– Uh, questa domanda è decisamente molto aperta, devo rifletterci un po’. (passano effettivamente diversi secondi di silenzio, ndR) Partirei dal fatto che il tema più potente, per me, è la gratitudine. Gratitudine verso chi compra i nostri dischi, verso chi viene ai nostri concerti, verso la vita e il fatto che posso vivere da musicista, verso la famiglia, gli amici e la scena metal. In qualche modo tutte queste cose emergono nei nostri testi, che parlano anche di molto altro, In “Angrboda”, per esempio, che è il pezzo che sento più vicino al mio cuore, esprimo gratitudine verso mia nonna, i suoi fratelli e sorelle per i sacrifici che hanno fatto per farci avere la nostra vita, la nostra libertà e penso che tutti dovremmo provare questo sentimento verso i nostri antenati, ascoltare le lor voci, i loro sussurri.
È SICURAMENTE IMPORTANTE MANTENERE UN LEGAME CON LE PROPRIE RADICI, ED È MOLTO SENTIMENTALE QUELLO CHE DICI. IMMAGINIAMO QUINDI CHE VOI VIVIATE ANCORA NELLA STESSA ZONA DOVE SONO CRESCIUTI I VOSTRI ANTENATI?
– No, siamo americani: ci muoviamo sempre! (risate di entrambi, ndR) Io sono nato in Kansas, un territorio di pianure sterminate e campi gialli ovunque, ma sono stato portato a Olympia quando avevo due anni, e le foreste della Cascadia sono ora la mia casa, il mio ambiente.
VISTO CHE L’HAI CITATO TU, VOLEVAMO CHIEDERTI: UNA DELLE PIÙ ABUSATE ETICHETTE NEL MONDO DEL METAL È PROBABILMENTE QUELLA DI CASCADIAN BLACK METAL. SENTI UN LEGAME ANCHE CON LE ISTANZE POLITICHE E INDIPENDENTISTE LOCALI?
– No, no: per me essere della Cascadia significa essere consapevoli che un gruppo di persone vive in questo spazio che ha montagne, parchi e l’oceano a Ovest, con uno spirito meraviglioso, piante e animali ovunque. Tutto qui. Un ambiente da ammirare, ascoltare, onorare e rispettare. Ed è da qui che viene la nostra musica, non è solo una licenza poetica.
QUINDI C’È UNA CONNESSIONE TRA LA GRATITUDINE DI CUI PARLAVI PRIMA, L’AMBIENTE IN CUI VIVI E LA VOSTRA MUSICA, IN UN CERTO SENSO?
– Sì, esatto. Ma è qualcosa che chiunque, ovunque viva, dovrebbe perseguire: una sorta di magia e un legame con i suoi luoghi.
E OMAGGIARLI CON LA PROPRIA ARTE, MAGARI.
– Assolutamente.
TORNANDO BREVEMENTE AL VOSTRO ALBUM, PARLAVI GIUSTAMENTE DEI WOLVES IN THE THRONE ROOM COME DI UNA FAMIGLIA, E A PARTE TUO FRATELLO – OVVIAMENTE – CI HAI DETTO CHE C’È ANCORA RANDALL DUNN DIETRO AL MIXER: PENSI CHE IL SUO CONTRIBUTO SIA ORMAI PARTE INTEGRANTE DEL VOSTRO SOUND, DOPO TUTTI QUESTI ALBUM ASSIEME?
– Che dire? Dobbiamo molto a Randall. Abbiamo registrato “Thrice Woven” qui a Olympia, all’Owl Lodge, ma lui ci ha aiutato anche rispetto a tutte le questioni tecniche che nascevano per ricavare determinati suoni ed effetti; è veramente un amico e un collaboratore importante, che contribuisce tanto alla creazione delle nostre atmosfere. Anche dal vivo, ora che siamo in cinque sul palco a costruire i nostri paesaggi musicali e serve grande attenzione al suono delle chitarre e delle tastiere.
E QUALE RITIENI SIA LA VOSTRA DIMENSIONE MUSICALE NATURALE? QUELLA IN STUDIO O QUELLA DAL VIVO?
– Diciamo che cozzano proprio tra loro, ma sono entrambe necessarie. Lavorare in studio può essere molto solitario: sai siamo solo io, Nathan e Randall, lì. Beh, ora anche Kody, in effetti non siamo più così isolati, eheheh. Ma quando sali sul palco apri la tua musica a una comunità; le nostre esibizioni sono per noi celebrazioni, espressioni esaltanti, quasi dei rituali.
ULTIMA DOMANDA: SEMPRE NELL’OTTICA DELLA GRANDE FAMIGLIA DEI WOLVES IN THE THRONE ROOM, ANCHE QUESTO ALBUM ESCE PER LA VOSTRA ETICHETTA, ARTEMISIA. QIUESTO CONTROLLO TOTALE È STATA UNA SCELTA NATURALE?
– Semplicemente, di fondo siamo una band DIY. Siamo cresciuti qui a Olympia, dove la scena punk è sempre stata forte; ma dove anche, quando avevamo 14/15 anni abbiamo potuto vedere i primi vagiti di black metal o andare ai concerti di band come i Neurosis – e io al tempo lavoravo anche in un locale che faceva musica dal vivo. Eravamo immersi in questo mondo dove tutti partecipavano e suonavano e creavano le loro cose. Non è stata nemmeno una questione di controllo, ma di divertimento, è una benedizione.
GRAZIE MILLE AARON, A TE IL COMMIATO COI NOSTRI LETTORI.
– So che si dice sempre, ma non vedo l’ora di tornare in Italia. Mia moglie è italo-americana e molto legata al vostro paese, e anch’io ho antenati italiani, quindi… “Che Viva Italia” (in italiano, ndR), a presto!