‘Un disco nato dall’amore per la musica blues e soul’, ‘suonare la musica che parla alla tua anima’, ‘fare sempre ciò che si ama’: sembrano tutte frasi fatte, ma nel sentirle provenire dal faccione barbuto e sorridente di Zakk Wylde acquistano un peso e una verità che quasi non ci aspettavamo. Il bravissimo ex chitarrista di Ozzy Osborne è infatti totalmente e ciecamente convinto da ognuna di queste frasi, ed è anche uno dei più strenui sostenitori del fatto che, finché si ha la possibilità di farlo, ci si deve gettare il più possibile dentro al lavoro che si sta facendo, curandone i più aspetti possibile. Prima del concerto del 9 giugno all’Arcimboldi, riusciamo a raggiungere nello spazio catering il simpatico artista, proponendogli in un quarto d’ora un po’ di queste tematiche. Le sue risposte si sono rivelate molto interessanti…
BENE ZAKK, CI INCONTRIAMO IN TOUR PER PROMUOVERE UN ALBUM DI SICURO MOLTO ATTESO DA TUTTI I TUOI FAN… COME PENSI SIA STATO RECEPITO “BOOK OF SHADOW II” FINO A QUESTO MOMENTO?
“Penso che in molti mi abbiano detto: ‘Quando, per favore, la finisci di fare musica, appendi la chitarra al chiodo e la smetti di torturarci con idee balzane come questa?”. Be’, forse non proprio, ma magari qualcuno l’ha pensato. Mi hanno anche detto di trasferirmi e andare a vivere da qualche parte al Sud, lungo un fiume magari, ma chi l’ha detto erano amici, quindi so che mi prendevano per il culo. Dai, scherzi a parte, anche se non ho sentito il parere di ‘tutti i miei fan’, posso dirti che i dati di vendita non sono male. Il disco ha raggiunto il sesto posto su Billboard, e sono sicuro che nonostante la diversità di intenti anche questo prodotto non farà che incrementare il numero di partecipanti della ‘Black Label Family’, come mi piace chiamare i miei fan. Era un disco che sentivo di dover fare, e mi sta dando le soddisfazioni che cercavo”.
MOLTA PARTE DELL’ATTESA DERIVA OVVIAMENTE DAL FATTO CHE SI TRATTA DEL SECONDO CAPITOLO DI UNO DEI TUOI DISCHI PIÙ AMATI… ANCHE SE DA FAN POSSO DIRE CHE IL MOOD È LO STESSO DI VENT’ANNI FA, VOLEVO CHIEDERE A TE SE QUESTO LAVORO TI SEMBRA COMPOSTO DA UNO ZAKK WYLDE IN QUALCHE MODO DIVERSO, PIÙ MATURO, O SE LE NECESSITÀ E LE SENSAZIONI CHE HAI PROVATO NEL LAVORARCI SONO STATE ESATTAMENTE LE STESSE.
“Come persona sono profondamente cambiato. Davvero, chi non cambierebbe in vent’anni? Stiamo poi parlando di un periodo in cui non avevo nemmeno trent’anni, ora vado per i cinquanta, basta questo pensiero a farti capire che non sei la stessa persona. In nessun modo. Però un tratto di continuità tra i due capitoli c’è, ed è il mio amore per questo particolare tipo di musica. Neil Young, Herbie Hancock, il primo Elton John. Gli Eagles. Questi nomi hanno sempre fatto parte della mia ispirazione e hanno sempre avuto un posto speciale nella mia anima, solo che non spesso traspaiono come influenze nel tipo di musica che faccio con la BLS. Tra l’altro, la gente pensa sempre che le canzoni siano figlie del momento in cui comprano l’album, ma non è sempre così. Negli ultimi vent’anni ho inciso sempre e solo dischi con il monicker di Black Label Society, ma questo non vuol dire che non avessi lavorato contemporaneamente anche a qualche brano un po’ diverso, che solo adesso ha visto la luce. Non tutte le canzoni di questo disco sono proprio nuovissime, e quindi un tratto di continuità con il passato, almeno a livello musicale, di sicuro c’è”.
QUESTO MATERIALE È STATO COMPOSTO DA TE SOLO O INSIEME AD ALTRI. SU QUALI STRUMENTI HAI LAVORATO IN PREVALENZA?
“La maggior parte di questo materiale è stato scritto su chitarra acustica. Però, devo dire che mi piace anche lavorare sul piano, e spesso metto giù parecchie idee lì, anche se poi magari riarrangio tutto per chitarra e il piano non per forza rimane. Per quanto riguarda il processo di composizione devo dire che è più o meno lo stesso che adotto sempre, soprattutto per quanto riguardava questi pezzi nello specifico. In pratica si tratta di un processo di raccolta di idee che partorisco in vari momenti della mia giornata e che rimangono un po’ sparse in giro finché le raccolgo e dò loro una forma. Prima nascono piccole idee e piccole parti, dunque, poi vengono messe insieme e arrangiate. Dopo gli si scrive una melodia vocale o strumentale definita e solo alla fine gli si associa un testo, che di solito nasce dalle emozioni e sensazioni che il brano mi ispira con la forma che ha in quel momento. Devo dire che trovo gratificante tutto il processo, non c’è una parte che mi annoi o mi pesi farla. Lo vedo un po’ come costruire una casa: parti dalle fondamenta, butti su i muri portanti, poi quelli interni e il tetto. Alla fine dipingi le pareti, l’arredi con quello che ti piace… e ogni parte di questo processo è a modo suo bella e interessante”.
SU QUALI TEMI TI SEI BASATO PRINCIPALMENTE DAL PUNTO DI VISTA LIRICO?
“La stesura delle liriche è la parte più istintiva del mio lavoro, veramente mi faccio ispirare dal singolo momento (usa ‘spur of the moment’, ndR). In genere quindi si finisce per parlare di qualcosa che riguarda me, che è successa a me, o che è successa a qualcuno che mi è caro. Posso anche parlare di qualcosa che è successo nel mondo, per dire, dopotutto molti eventi anche che non riguardano in prima persona me ci toccano comunque a tutti. Non ho un piano preciso prima di scrivere, ogni lirica è figlia di un singolo momento, quello in cui viene scritta. Non ci vedo differenza da un assolo, sotto questo punto di vista, è solo un altro modo di esprimere la tua creatività: come suono un assolo in maniera istintiva, facendomi trasportare dall’accompagnamento, così do forma alle liriche su una linea vocale che ho preparato in precedenza”.
MI PIACEREBBE FERMARMI UN ATTIMO SU “SLEEPING DOGS”. IL VIDEO È INTERESSANTE E MOSTRA IL TEMA DEL VOODOO CHE ALTRE VOLTE HAI TOCCATO. CI DICI SE I TEMI DEL VIDEO RISPECCHIANO EFFETTIVAMENTE QUELLI DELLA CANZONE, E DA COSA È PARTITA L’IDEA PER UNA SIMILE REALIZZAZIONE?
“Il video, intendi? Carino, già. Sono andato dal direttore artistico del video e gli ho detto: vedi se riesci a farmi un video che tratti del primo giorno di scuola che feci. Quando i miei genitori mi mollarono ai cancelli della scuola, il primo giorno, ero un po’ incazzato e spaventato, ecco, vedi se riesci a fare una roba del genere. Mi tirò fuori questo. Penso che la storia del video sia tutta lì… (sorride, e picchia con forza la mano con l’anello sul tavolo, e ride, ndR). Comunque sia, è un bel video, l’atmosfera che crea penso si sposi molto con la musica che ho scritto”.
CAMBIAMO ARGOMENTO: PORTARE QUESTO MATERIALE IN TOUR È COSÌ DIVERSO DAL PORTARE IL SOLITO REPERTORIO CLASSICO DEI BLACK LABEL SOCIETY?
“Sì, ed è per questo che amo questo tour. E’ diverso. Ed è fresco. Non è solo fare nuovi canzoni, è proprio l’approccio, il modo di stare sul palco. Musica che porta un’emozione diversa. Ogni tanto un artista ha bisogno di cose del genere, di tirare per poco tempo un colpo di spugna alla lavagna. Qui ho un repertorio che non ha nemmeno una canzone in comune con la mia solita setlist, suono le canzoni nuove, ma anche alcune canzoni del primo capitolo di ‘Book of Shadows’ che mai avevo proposto dal vivo, e mi sto divertendo come non mai. Questo tour è qualcosa che mi ci voleva proprio”.
TRA L’ALTRO STASERA SEI PURE IN TEATRO, UNA LOCATION CERTO DIVERSA DAL SOLITO PALAZZETTO… VENUE COME L’ARCIMBOLDI IMPATTANO SOLO SUL SETUP DELLA STRUMENTAZIONE O TI APRONO ANCHE NUOVI ORIZZONTI PROPRIO SUL MODO DI SUONARE?
“Sai cosa farò questa sera? Salirò sul palco e suonerò. Lo faccio altre volte? Sì, sempre. E’ bello suonare in posti nuovi, ma devo dirti che il luogo in sé non impatta veramente il modo in cui un artista generalmente suona. Io suono perché amo farlo, e lo spirito è lo stesso in un’arena, in un palazzetto, al pub e al teatro. Non ti sto dicendo che non ci siano emozioni o un impatto diverso quando sei davanti a ventimila persone o davanti a venti, solo che il motivo per cui lo fai, e quindi il modo intrinseco in cui lo fai, è lo stesso. Se ami suonare, ami suonare, e quindi il posto fisico di per sé è piuttosto ininfluente”.
ULTIMAMENTE PORTI IN GIRO LA TUA LINEA DI CHITARRE CUSTOM. COSA È SUCCESSO COL TUO PRECEDENTE ENDORSEMENT CON LA GIBSON? COME MAI DISEGNI DA TE AMPLIFICATORI E STRUMENTI?
“Per me il tutto ruota attorno all’integrità e la qualità delle chitarre e della strumentazione. Gibson, Marshall, Dunlop… mi hanno sempre soddisfatto sotto questo punto di vista. Per me il creare una mia linea di chitarre era prendere la base di questi prodotti veramente allo stato dell’arte, tenerne le caratteristiche di base e unirle a un po’ di personalità Zakk Wylde. Perché l’ho fatto? Principalmente perché posso. A molti non piacerebbe seguire un aspetto di marketing come questo, ma a me piace. Ho la possibilità e i mezzi per realizzare una cosa del genere mantenendo la qualità di cui ho sempre beneficiato, quindi perché non farlo? Anche questo aspetto del mio lavoro mi dona molta soddisfazione”.
TU FAI IN EFFETTI UN PO’ TUTTO DA SOLO… DALLE REGISTRAZIONI NEI TUOI BLACK VATICAN STUDIOS, ALLA PRODUZIONE AGLI STRUMENTI. NON TI FIDI DEL LAVORO DEGLI ALTRI?
“Sono un po’ come Jimmy Page, no? Anche lui si è praticamente prodotto tutti gli album dei Led Zeppelin da solo nei suoi spazi, e si è sempre occupato di tutto quello che riguardava un suo prodotto… la trovo una cosa carina, se puoi farla. Però non è vero che non chiedo aiuto a nessuno o che non mi fido degli altri. Se avessi bisogno di aiuto lo chiederei subito. Perché non farlo? Non ho mica niente da nascondere o da vergognarmi in questo. Io posso fare alcune cose da solo, senza dover chiedere ad altri, e finché il risultato mi piace, preferisco fare così. Ma se mi serve qualcosa, so che posso trovarla anche fuori. E la cosa non mi crea problemi. Penso che semplicemente… sono fatto così. Mi piace occuparmi delle mie faccende. Ti dico una cazzata: mi piace cucinarmi le uova a colazione. Cazzo, le mangio tutti i giorni, so come mi piacciono. Però, se una volta non ho tempo o non sono nella mia cucina, mica non le mangio, le uova, me le farà qualcun altro. Ma quando posso me le cucino, tutto qui”.
BELLA RISPOSTA! SEI UN VERO FAN DEL ‘DIY’ (DO IT YOURSELF, NDR) QUINDI?
“Più che altro, BYOB (‘Be Your Own Boss’, ndR). Muoversi nel music business non è diverso dall’avere una squadra di football. Parti da giocatore, poi ne diventi l’allenatore. Dopo magari entri nel direttivo e alla fine compri la squadra, ma in ultima battuta, la squadra è sempre la cosa a cui tieni e per la quale lavori. La mia carriera la vedo un po’ così”.
HAI QUALCHE CONSIGLIO AL RIGUARDO DA DARE AI GIOVANI CHITARRISTI CHE DICONO DI VOLERTI IMITARE E INTRAPRENDERE UNA CARRIERA COME LA TUA?
“Non è che devono tutti fare come me. Certo, io ho creduto in questa filosofia e non posso non consigliarla, ma la cosa più importante è che i giovani musicisti facciano ciò che amano di più, ciò che va bene per loro. La filosofia di essere il capo di se stesso secondo me sposa questo concetto, se nessuno ti dice cosa fare è difficile che ti trovi a dover seguire strade che odi, ma l’importante è sempre amare ciò che si fa e non smettere mai di divertirsi con questo”.
PER CONCLUDERE UN PAIO DI DOMANDE PIÙ LEGGERE… CHE NE PENSI DELLA ‘BAND DEL SECOLO’, CIOÈ AXL CON GLI AC/DC?
“Non potevano fare scelta migliore. Voglio dire… Axl. Cazzo, che roba. Spero ovviamente che Brian stia meglio presto, e sono sicuro che quella vecchia roccia si riprenderà presto il posto che è suo, ma nel frattempo lo show deve continuare, e penso che abbiano fatto bene ad appoggiarsi a un nome come quello”.
ULTIMA, DISPETTOSA, DOMANDA: CI POSSIAMO ASPETTARE UN TERZO CAPITOLO DI “THE BOOK OF SHADOWS” IN UN PROSSIMO FUTURO?
“Certo! Fammi pensare… per fare il capitolo secondo ci ho messo vent’anni. Non sono bastardo e non voglio farvi aspettare troppo… facciamo tra venticinque anni! Ti aspetto per l’intervista, intesi?”.