Crossover e nu metal: due etichette che hanno segnato un’epoca, riavvicinando per alcuni il metal alle generazioni coeve, segnando una deriva inaccettabile e completamente avulsa dal genere per molti altri. Con questo nuovo libro Stefano Cerati sceglie una lettura che parte dagli elementi certi da un lato e da un approccio decisamente inedito e interessante dall’altro.
Innanzitutto, abbiamo la nozione di crossover come frammistione di generi differenti, che affonda quindi le radici già negli anni Settanta, per attraversare poi gli anni Ottanta con fiammate strepitose (chi non ricorda il remake di “Walk This Way” con Aerosmith e Run DMC?) o band più consolidate, dai Beastie Boys che univano hardcore e rap, a giganti come i Red Hot Chili Peppers o i Faith No More, che con”The Real Thing” hanno scompigliato le carte per sempre. Si arriva così agli anni Novanta, all’esplosione di una scena che prende appunto con il tempo il nome di nu metal e unisce in un calderone variegato nomi eccellenti, non a caso ancora presenti sulle nostre pagine, meteore più o meno rilevanti e cloni partoriti con lo stampino sull’onda del successo commerciale. Ma, appunto, ciò che colpisce nel libro di Cerati, è come pari dignità sia data a entrambi i termini presenti in copertina; ecco così che, al fianco degli scontati Korn, Limp Bizkit, Linkin Park o Slipknot trovano posto moltissime band che – forse siete vecchi abbastanza da ricordarvelo – andavano in radio o venivano definiti dalle riviste, per diverso tempo, semplicemente come alternative metal. Possiamo così leggere recensioni di album di Therapy?, Helmet o Jane’s Addiction, questi ultimi del resto fondamentali nello sdoganare un approccio eterodosso grazie al compianto Lollapalooza, festival itinerante ideato dal buon Perry Farrell. E ancora, i Prodigy, che provenienti dal mondo dei rave hanno incorporato elementi e cadenze puramente metal coi chitarroni del loro successo più clamoroso (“The Fat Of The Land”, e non fate finta di non averlo a casa…), oppure band che oggi etichettiamo come industrial metal senza timore di essere contraddetti, ma che al tempo erano parte di una nebulosa strana, indefinita ma godibilissima (Godflesh, Treponem Pal, Marilyn Manson tra gli altri).
Certo, l’interpretazione ampia potrebbe far storcere il naso ai puristi di entrambe le scuole di pensiero cui abbiamo accennato in apertura, ma a noi è parso il vero punto di forza di questo libro. In aggiunta, la formula de “I 100 migliori dischi” si presta naturalmente a una lettura a spot, partendo magari dai dischi che si sono amati, passando a quelli più disprezzati al tempo, venendo magari spinti a un ascolto di ritorno per curiosità. E ancora, segnaliamo che il libro esce in allegato, o meglio correlato, a un numero monografico di Rock Hard dedicato ai Black Sabbath, molto curato dal punto di vista editoriale e grafico, con recensioni, box di approfondimento e numerose foto raramente comparse sulla stampa. Con un solo acquisto, insomma, potrete gustarvi una panoramica decisamente ampia e interessante di tutto ciò che è stato ‘nuovo’ nel metal a partire dalla fine degli anni Ottanta, e scoprire o riscoprire informazioni preziose su chi il metal l’ha inventato.
- Autore: Stefano Cerati
- Anno: 2020
- Pubblicato da: EDIZIONI BMS
- Pagine: 220
- Prezzo: 19,90 (compresa la rivista)