Nella storia della musica ci sono state diverse correnti, ma poche hanno avuto l’impatto della scena hard rock negli anni Ottanta: eccessiva e trasgressiva sotto ogni punto di vista, dal sound al look, ma anche capace di dominare un decennio consegnando agli annali decine di band in grado di riempire oggi come allora arene e stadi di vecchi e nuovi fan. Sulla genesi dell’hair metal e sulle formazioni protagoniste si sono scritti fiumi d’inchiostro, tra compendi e biografie portate anche sul piccolo schermo, ma una prospettiva come quella di “Nothin’ But A Good Time” è qualcosa che non si era ancora visto, grazie al lavoro certosino di Tom Beaujour (ex capo redattore di Revolver) e Richard Bienstock (giornalista di Rolling Stone e molte altre riviste musicali) sulla base di più di duecento interviste raccolte nel corso degli anni. Il risultato è un racconto corale che mette insieme le voci di tutti i protagonisti dell’epoca: musicisti e addetti ai lavori, ma anche stilisti, fotografi, roadie, groupie e chiunque abbia bazzicato il Sunset Strip in quelli anni trova posto tra le oltre cinquecento pagine, offrendo una retrospettiva completa come poche su un’epoca senza eguali.
Superata la difficoltà iniziale nell’orientarsi tra i diversi nomi coinvolti – per questo risulta estremamente utile tenere a portata di mano il cast dei personaggi posto all’inizio – la lettura degli oltre settanta capitoli scorre fluida, essendo ognuno di essi incentrato su uno specifico aneddoto o tema nonostante la pluralità di voci che lo raccontano. Seguendo un ordine grossomodo cronologico, si parte dunque dagli albori del genere, quando sulla scia del successo dei Van Halen vediamo i vari Quiet Riot, Stryper, Dokken, Twisted Sister e Mötley Crue (oltre al compianto Randy Rhoads, chitarrista del primo Ozzy solista) muovere i primi passi sul Sunset Strip, incendiando (a volte letteralmente, come nel caso degli W.A.S.P.) locali entrati nella leggenda collettiva come il Roxy, il Whisky a Go Go, il Gazzarri, lo Starwood o il Troubadour.
L’ascesa della neonata MTV e l’affluenza di pubblico nei locali di cui sopra porta le etichette discografiche a fiutare l’affare, e così una dopo l’altra vediamo tutte le band nate in quegli anni firmare contratti milionari dopo anni di stenti e sacrifici: la parte centrale del libro dedica dunque ampio spazio alle voci dei protagonisti, sia quelli più noti (Guns N’ Roses, Bon Jovi, Poison) ma anche e soprattutto quelli usciti ridimensionati dopo i fasti del decennio d’oro (Cinderella, Ratt, White Lion, L.A. Guns, Faster Pussycat…). Riassumere in poche righe la quantità di aneddoti sarebbe impresa ardua, ma il comune denominatore è sicuramente quello degli eccessi, dall’abuso di sostanze stupefacenti ai rapporti con le donne; interessante ricostruire anche gli scambi di membri tra le diverse band, così come la guerra dei volantini per farsi pubblicità in un’epoca pre-internet e al tempo stesso l’aiuto di chi ‘ce l’ha fatta’ (come faranno i Bon Jovi con i Cinderella).
Entrando nella seconda metà degli anni Ottanta mentre Guns N’ Roses, Bon Jovi e Mötley Crue collezionano dischi di platino sul carrozzone sale chiunque abbia almeno una power ballad da dare in pasto ad un pubblico di MTV sempre più bulimico: se Skid Row e Warrant sono gli ultimi arrivati di un certo spessore, al contrario gruppi come Trixter, Pretty Boy Floyd, Nelson e i tanto bistrattati Winger sono le classiche meteore che a torto o ragione finiranno col personificare il declino del genere. Il botto finale prima del tracollo è probabilmente rappresentato dallo storico concerto del Moscow Music Peace Festivals: una sorta di Woodstock in salsa moscovita in cui Ozzy, Scorpions, Mötley Crue e Skid Row (dopo un volo transatlantico carico di droga come una tratta di Pablo Escobar) suonano davanti a centomila persone e alle telecamere di MTV America, lanciando nella stratosfera una certa “Winds of Changes”.
Le cose stavano davvero cambiando, e in questo caso la caduta del muro di Berlino della scena hard rock corrisponde all’ascesa del fenomeno grunge: l’ultima sezione del libro racconta quindi i prodromi di questo cambio della guardia e gli ultimi mesi di chi aveva appena firmato il contratto su major o speso barche di soldi per produrre album che avrebbero raccolto noccioline. A rendere il finale meno amaro ci pensa poi l’epilogo; dopo gli anni Novanta dominati dalla controcultura grunge ed alternative, in cui qualunque cosa associato agli eccessi dell’hair metal era radioattivo, il terzo millennio ha ridato una nuova prospettiva a tutti i protagonisti dell’epoca, quindi insieme agli omaggi ai colleghi scomparsi prematuramente troviamo le testimonianze di chi ancora oggi suona negli stadi e chi ha trovato una sua dimensione più provinciale di fronte ad appassionati forse meno numerosi ma sempre e comunque fedeli.
Tradotto magistralmente da Barbara Caserta, profonda conoscitrice del genere, il libro è corredato anche da un compendio fotografico, utile per rendersi conto dell’evoluzione sempre più assurda dei look; l’unico appunto che ci sentiamo di muovere, oltre alla prefazione abbastanza superflua di Corey Taylor, è l’assenza di alcuni nomi di punta della scena (Def Leppard, Europe e Whitesnake su tutti), giustificato dalla lontananza da quel Sunset Strip che funge da epicentro dell’opera. Trattasi comunque di un aspetto di poco conto stante la numerosità delle band coinvolte, per cui ci sentiamo di consigliare la lettura sia a chi ha già familiarità con il genere che a chi volesse avvicinarcisi per la prima volta, meglio ancora se approfittandone per (ri)scoprire classici maggiori e minori dell’epoca.
- Autore: Tom Beaujour – Richard Bienstock
- Anno: 2023
- Pubblicato da: Il Castello
- Pagine: 576
- Prezzo: 25