Report a cura di Bianca Secchieri
Fotografie di Benedetta Gaiani
Siamo qui per raccontarvi di come sono andate le cose a Parma in occasione dell’unica data italiana dell’Outstrider 2020 European Tour, che ha riportato sui palchi Abbath dopo i quasi tre mesi di stop seguiti all’esito disastroso della data di Buenos Aires dello scorso novembre. All’annullamento del tour sudamericano e delle date previste per dicembre con la tribute band Bömbers, si era presto succeduto il comunicato del musicista annunciante l’inizio di un percorso di disintossicazione dall’alcol. I timori nei confronti di un buon esito di questo assai breve periodo di rehab erano molti (come il sarcasmo con cui è stato accolto ogni sviluppo di questa vicenda), ma la curiosità ha prevalso, anche perchè i nomi che accompagnano l’ex frontman degli Immortal sono di quelli che ridestano l’attenzione: ci riferiamo in particolare degli Vltimas, il nuovo supergruppo formato da David Vincent, Flo Mounier e Rune ‘Blasphemer’ Eriksen.
Approdiamo al Campus in leggero ritardo rispetto alla puntualissima tabella di marcia e purtroppo non riusciamo in pratica ad assistere alla prova della prima band in scaletta, i cileni Nuclear, dei quali facciamo appena in tempo ad ascoltare l’ultimo pezzo. Il locale si sta ancora riempiendo (sono circa le sette di sera) e l’impressione – fugace, per cause di forza maggiore – è quella di una band energica, onesta e devota alla causa del thrash metal. Non siamo purtroppo in grado di scrivere di più, vi lasciamo dunque alla lettura dei report di Vltimas, 1349 e Abbath.
NUCLEAR
VLTIMAS
La band capitanata da David Vincent era la prima ‘sorvegliata speciale’ della serata: autrice di un debutto che ha incontrato i favori di pubblico e critica – compresa la nostra redazione – complice un death metal che unisce tecnica, brutalità e una buona dose di fantasia, ne attendevamo con curiosità la prova live.
Se la caratura dei musicisti coinvolti non è certamente materia di discussione, diverso è il discorso ‘alchimia sul palco’, non così scontata quando si parla di all star band (e a maggior ragione quando i componenti vivono in stati diversi), e di conseguenza il feeling capace di scaturire da una proposta che rischia di essere più la somma delle singole influenze che una creatura organica con una propria personalità distinta.
Ebbene, nonostante il passato musicale certamente ‘ingombrante’ dei suoi membri – Blasphemer (Aura Noir, Gaahls Wyrd, ex Mayhem) alla chitarra, Mounier (Cryptopsy) alla batteria e chiaramente Vincent, uno che il death metal in pratica l’ha inventato negli anni ‘80 coi Morbid Angel – gli Vltimas si presentano con un’identità chiara e definita. Se la loro prima prova soffre a tratti, su disco, di qualche momento di stanca (pensiamo ad alcuni tra i brani più tirati, in vago odore di filler), la dimensione live riesce a valorizzare anche gli episodi più deboli e dare ulteriore risalto ai migliori. Tra questi ultimi ci sono sicuramente “Something Wicked Marches In”, “Praevalidus” e il midtempo oscuro e melodico di “Monolith”, al termine del quale vi sarà difficile non cantare ‘She is my only / my one and only / none holds a candle to my princess demoness’.
David Vincent appare estremamente convincente e a suo agio nei diversi registri: cantato pulito, semi-recitato e quello che potremmo definire un quasi-growl, graffiante ma sempre perfettamente intelligibile. E’ difficile staccare gli occhi dal frontman, ma in generale la prova dell’intera band, turnisti compresi, è decisamente positiva, potente e precisa quanto brutale, e il suono, liberato da una produzione leggermente troppo pulita, ne guadagna sensibilmente. Pensiamo che, a meno di passi falsi clamorosi o irreparabili litigi, gli Vltimas continueranno a crescere tanto da guadagnarsi l’attenzione e il rispetto di moltissimi fan del metallo estremo e perdere l’etichetta – più o meno inconscia, ma molto riduttiva – di ‘supergruppo di’.
1349
I blackster norvegesi tornano a fare visita ai fan emiliani a brevissimo tempo dalla loro ultima esibizione su questo stesso palco, in occasione della scorsa edizione del Black Winter Fest, in veste di co-headliner dei Triumph Of Death di Tom G. Warrior. Diciamo subito che non siamo tra i fan di questo progetto, sulla cui opportunità ci permettiamo, anzi, di avere più di una perplessità: in molti sono progressivamente rimasti delusi da una proposta tanto violenta quanto abbastanza sterile, eccezion fatta per i primi dischi realizzati dalla band (ma si parla ormai di quindici anni fa), e qualcuno si chiede se il senso di mantenere in vita i 1349 non sia soprattutto quello di far divertire un Frost che ha poche possibilità di esprimersi appieno nell’ormai relativamente nuovo corso dei Satyricon.
Nonostante queste premesse, possiamo constatare con piacere che i suoni sono – finalmente! – adeguati al black tiratissimo del quartetto, che non rallenta praticamente mai, anche se in un paio di frangenti si intravede un briciolo di melodia, se non addirittura di groove. La prestazione dei musicisti è tecnicamente ineccepibile: se la perizia e la ferocia di Frost dietro alle pelli è ormai una garanzia, possiamo dire che il resto della band si comporta altrettanto bene sul palco, primo fra tutti il frontman Ravn.
Il risultato è un concerto abbastanza godibile, fermo restando che non si tratta di una band imperdibile, valutazione che vale su disco come – ahimè – in sede live. Ma non tutti i presenti sembrano essere del nostro stesso parere, e il pubblico appare attento anche se ben lontano dall’andare in visibilio.
ABBATH
Giungiamo infine al momento più atteso: scoprire se lo storico ex leader degli Immortal ha recuperato sobrietà e credibilità o se quello che ci aspetta sarà una mezza débacle. Sospetti e congetture hanno però vita molto breve: “Hecate” rompe gli indugi e travolge i presenti, mostrandoci un Abbath in piena forma, sia dal punto di vista fisico che prettamente vocale. Il resto della band supporta egregiamente il buon vecchio Olve – ricordiamo che la bassista Mia Wallace è stata recentemente sostituita, non senza polemiche, da Rusty Cornell – ma l’attenzione del pubblico è tutta per lui, che risulta letteralmente magnetico. Il ritmo è serrato e i nuovi brani funzionano benissimo dal vivo, pensiamo in particolare ad “Harvest Pyre” e “Outstrider”, che hanno tutte le carte in tavola per diventare grandi classici, quasi al pari dei brani degli Immortal che furono. Probabilmente qualcuno non sarà d’accordo, ma ci pare che la qualità delle due prove discografiche di Abbath sia decisamente di alto livello, e che molto stia nel pregiudizio di chi ascolta.
Chiaramente c’è spazio anche per alcuni tuffi nel passato, grazie a “One By One”, “”The Rise Of Darkness, “Tyrants”, che accendono l’animo dei fan e mettono in moto il moshpit. L’emozione è inevitabile, ma siamo comunque felici di constatare che Abbath si sta (giustamente) concentrando sul nuovo materiale, tra il quale citiamo ancora “Calm In Ire (Of Hurricane)”. Zero pause per quello che risulta essere un ottimo concerto, trascinante e divertente: Abbath si conferma appunto abile mattatore, non si risparmia e regala le tipiche espressioni buffe e prettamente rock’n’roll che lo contraddistinguono. Proprio questa attitudine è in buona parte la chiave che evita la noia e la piattezza in brani che sono invece estremamente dinamici, permeati da un’epicità che non disdegna l’essere catchy. L’ottimo settaggio acustico permette di cogliere tutte le sfumature di quanto ci viene offerto e di godere appieno delle belle aperture acustiche che caratterizzano, con il tipico taglio nordico, la musica di Immortal prima e Abbath poi. C’è spazio anche per “Warriors”, unico estratto dal bellissimo (e purtroppo unico) disco degli I, il progetto che l’ha visto nuovamente assieme a Demonaz a metà anni 2000, e per “To War!”, che chiude un set relativamente breve – un’oretta – ma estremamente intenso. Crediamo comunque che vista la qualità proposta e considerato il recente e burrascoso passato che ha avuto come protagonista il frontman, si possa giustificare senza troppi problemi una setlist meno lunga di quanto sperato.
Quel che conta è che il Master Of Nebulah Frost per eccellenza è tornato alla grande e noi non possiamo fare altro che augurarci (e augurargli) che possa continuare su questa strada.