Report di Giuseppe Caterino
Foto di Moira Cairola
Come celebrare la fine della stagione vacanziera se non con una serata di metal veloce e violento come piace a noi, e nientemeno che Abbath in persona a scandirne l’epilogo in uno Slaughter Club stipato come poche altre volte? La serata in proposta è invero decisamente ghiotta, e il pubblico milanese (ma non solo) non si è fatto chiamare due volte.
Arriviamo al locale di Paderno Dugnano una manciata di minuti dopo l’apertura delle porte, e già la fila all’interno del cortile sembra farci subodorare una situazione affollata ma con l’aria delle grandi occasioni; quello di Abbath è infatti – volenti o nolenti – un nome storico e che ha rappresentato moltissimo nel mondo del black metal, prima, e del metal estremo in generale, poi, e immaginiamo che più di qualcuno abbia macinato qualche chilometro per essere qui stasera, visto anche che si tratta dell’unica data italiana per questo tour.
Certo, negli anni abbiamo visto Abbath più volte, e il bilancio è di qualche show inguardabile, qualcuno piacevolissimo, e qualche altro semplicemente mediocre, ma l’affetto e la stima per uno dei musicisti che ci hanno traghettato verso il lato oscuro ci fa sempre percepire ‘aria di festa’, e non sembriamo gli unici a condividere questa sensazione; tuttavia, dall’ex Immortal non si sa mai bene cosa aspettarsi, benché l’acquisita sobrietà del nostro lasci ben sperare.
Mentre siamo in fila, sotto la sottile pioggia lombarda che ci dà il benvenuto, notiamo diversi tipi di umanità avvicendarsi, cosa che non stupisce ad un concerto della band norvegese vista la lunga carriera e la presenza (forse involontaria) di un immaginario quasi ‘ridicolo’ o comunque caricaturale del black metal in generale, che potrebbe aver avvicinato qualche giovincello magari rimasto poi avviluppato in quante cose buone hanno fatto gli Immortal prima di capitomboli e mosse del granchio varie.
Va però detto anche che i nomi di contorno sono tutt’altro che dei semplici apripista: gli Hellripper hanno guadagnato un posto in diverse top ten di fine anno grazie al loro ultimo “Warlocks Grim & Withered Hags”, mentre i Toxic Holocaust sono il classico gruppo che al pubblico italiano non può risultare indifferente, garanzia come sono di pura attitudine e metallo sibilante.
La serata dunque ha tutte le carte in regola per lasciare grandi ricordi, e mentre la fila cerca di comporsi, in qualche maniera, tra chi deve fare la tessera e chi la tessera già ce l’ha – e, ad essere onesti, non capiamo perché pur da tesserati riusciamo comunque ad attendere così tanto per l’ingresso – dopo circa una mezzoretta dal nostro arrivo riusciamo ad entrare.
Non sarà così per tutti, visto che noteremo esserci ancora coda alla fine del primo concerto e, addirittura, c’è chi parla di una scelta deliberata da parte del locale di far entrare il pubblico a scaglioni, vista l’affluenza, bloccando di fatto l’ingresso durante gli Hellripper; noi non possiamo confermare né smentire la cosa, non avendola vissuta in prima persona, riportiamo solo un percepito ‘malcontento’, e il locale o chi per esso avrà tutta la libertà di fornire una propria versione se lo riterrà opportuno; tuttavia, se così fosse, sarebbe da considerarsi una pratica decisamente sgradevole soprattutto nei confronti di chi ha pagato il biglietto o la tessera in anticipo e magari era lì anche, o solo, per il primo gruppo.
Ad ogni modo, l’atmosfera è bella calda, la platea gremita, e gli Hellripper stanno salendo sullo stage.
Vediamo come è andata.
Come detto, la sala è già bella che piena quando, rapidamente, gli HELLRIPPER salgono sul palco, attaccano le chitarre e mettono, con nonchalance, a ferro e fuoco lo Slaughter Club.
Dopo nemmeno cinque secondi dalla prima nota parte un pogo divertito, convinto e intenso, sempre incitato dagli scozzesi capitanati – e di fatto incarnati – dal mastermind James McBain, tanto affabile e garbato dietro il banco del merch (preso d’assalto dopo il concerto) quanto inviperito sul palco.
I suoni all’inizio sembrano penalizzare proprio la chitarra del cantante, ma si assestano dopo qualche minuto, sino a rendere il concerto più che godibile – sia per chi intende ‘viverlo’ con carne, sudore e circle pit, e chi, magari leggermente più in là con l’età media dei pogatori, decide di incrociare le braccia e lasciarsi lietamente prendere a scudisciate dalla foga e dalle schitarrate degli Hellripper.
Per quanto il nuovo “Warlock Grims & Withered Hags” abbia ben fatto parlare di sé nel corso del 2023, la scaletta si bilancia tra tutte le uscite del progetto, che vengono eseguite ai cento all’ora (“Faster? You’re insatiable!” dice McBain al pubblico milanese, che chiede sempre più velocità, venendo decisamente accontentato), e la band suona senza stare troppo tempo a cincischiare, magari per furbescamente rifiatare tra un brano e l’altro.
Il tempo è tiranno, e dunque veloci ringraziamenti, mezza battuta per canzone e si riparte, a scaraventare brani come “The Affair Of The Poisons”, sorretta dall’incitamento dei presenti, “Nekroslut” (presentata come canzone dedicata agli hobby del bassista), “Goat Vomit Nightmare”, la micidiale “Bastard Of Hades” o l’anthemica “All Hail The Goat”. Una tale sequela di rasoiate da lasciar storditi, tanto feroci quanto genuine, figlie dirette degli ascolti di un giovanotto cresciuto a Venom, primissimi Metallica e NWOBHM, e che una genuina passionalità restituisce anche nel suo porsi con gli spettatori quando, ad esempio, dopo aver espressamente richiesto di fare stage diving, finito il brano, si scusa dicendo di non essersi reso conto che non ci fosse nessuno a raccogliere gli stage divers, salvo poi dire “beh se non si è fatto male nessuno continuate a farlo”.
Quando “Headless Angels” annuncia la fine della quarantina di minuti di show, sono in molti a reclamare il nome degli scozzesi, che forse tutta questa gente, da soli, non l’avrebbero messa assieme, ma che hanno buone carte per diventare un nome di punta di un certo modo di intendere il metallo. Concerto della serata, senza dubbio.
Non che però i TOXIC HOLOCAUST siano da meno e non vengano accolti come dei pezzi da novanta, del resto, anzi: saliti trionfalmente sul palco, i tre americani non intendono sfigurare coi cugini dell’altra parte del mondo, e mettono immediatamente il turbo con un’efferata “Bitch”.
Zero virtuosismi, zero eleganza, testa bassa e carica taurina, il trio subisce solo per un paio di brani alcuni assestamenti ai suoni, per diventare piuttosto micidiale durante il prosieguo del pur breve concerto. Le teste dei presenti roteano, soprattutto nelle prime file, e l’essenziale, brada ignoranza alla Sodom dei Toxic Holocaust non intende fare prigionieri, con un live energico e una platea ormai satura, entrati ormai praticamente tutti i presenti (invero c’era ancora fila, quando siamo usciti a prendere una boccata d’aria dopo gli Hellripper).
Il pubblico è davvero molto partecipe nei confronti dei Toxic Holocaust, che vengono vissuti come dei veri e propri beniamini e che ripagano i fan milanesi con una dozzina di brani condensati in quello che sarà, almeno secondo noi, una scaletta più breve, nel minutaggio perlomeno, di quanto preventivato. “Reaper’s Grave”, “Nuke The Cross”, insieme ad un po’ dei classici della band, vengono riproposte senza pause, come già successo con il gruppo precedente, e senza sbavature.
Si arriva, passando anche qui per diversi episodi della discografia dei Nostri, alla fine (non siamo arrivati ai quaranta minuti) con la fulminante “The Lord Of The Wasteland”, brano motorheadiano e ignorantissimo che si prende gli applausi meritati e manda i Toxic Holocaust nel backstage forse un po’ troppo presto.
Sono infatti solo le 21.15 quando i Nostri salutano il pubblico milanese, ed il concerto di ABBATH è previsto per le 22.00, orario che verrà rispettato con puntualità svizzera.
Molti, compreso chi scrive, decideranno di mantenere il proprio posto per evitare di non riuscire a piazzarsi in una posizione decente una volta iniziato il concerto, godendosi così di uno dei cambi palchi più lunghi e percepiti come noiosi della storia, condito da una musica elettronica tutt’altro che preventivata ma tutto sommato piacevole nel suo spezzare le distorsioni.
Quando viene portata l’insegna che porta il nome di battaglia di Olve Eikem, sappiamo che mancano solo pochi minuti all’ingresso della band, e infatti alle dieci precise i musicisti entrano alla spicciolata, lasciando spazio infine ad Abbath Doom Occulta in persona, che di fronte ad un muro impressionante di telefonini (davvero un po’ troppi) si presenta con un enfatico “buonaseraaaa… Milano!” prima di attaccare con “Triumph”, direttamente da “Damned In Black”.
I suoni, come da tradizione della serata, ci mettono pochi minuti a trovare una propria dimensione, e saranno decenti per tutto il concerto, sebbene non mancheranno dei pur brevi momenti di ‘vento’ che copre tutto.
Si passa velocemente ad “Acid Haze” e, soprattutto per quanto riguarda le ultime due prove soliste, si nota palpabile un approccio diverso alla materia da parte del musicista norvegese, del resto da sempre grande amante dell’heavy metal più classico, pur senza una sorta di epicità. La band suona come si deve e anche il frontman sembra aver accantonato gran parte del proprio repertorio più clownesco, forse conscio anche lui di essere diventato una sorta di meme del (black?) metal, e a parte un terrificante “grazzzie” declamato da gran sornione (e che ha regalato delle inaspettate risate, a riprova che ormai Abbath è ‘anche’ quello che deve far ridere ai concerti) il buon Olve si dedica allo show con fare genuino e vecchia scuola, pur tenendo sempre a mente la propria caratura e il proprio personaggio.
Il concerto non si concede troppe pause e persegue tra i tre dischi solisti, “Battalions” ad opera degli I e la riproposizione di brani degli Immortal, pur con sempre le solite canzoni (seguiamo Abbath solista dal primo tour e certi brani non sono mai cambiati).
Abbath in particolare sembra in buonissima forma, e forse l’unica pecca è la qualità mediana della propria produzione post-Immortal. Inutile nasconderlo: lo scarto col materiale partorito quand’era socio di Demonaz è notevole e, quando nel giro di pochi minuti si passa dai pezzi di “Dread Reaver” alla tripletta “In My Kingdom Cold”, “Tyrants” e “Nebular Ravens Winter”, il ritorno sulla terra dovuto a “The Artifex”, (da “Outstrider”) è notevole, la differenza evidente.
Da segnalare in particolare la parte centrale di “Tyrants”, dove più di qualcuno è rimasto a bocca aperta per l’intensità raggiunta, e se pensiamo a quante carte a nome Immortal avrebbe dalla sua, la differenza potrebbe essere quasi impietosa. Scarto che forse sentiamo anche tra i brani del primo album, omonimo, che un po’ per gusto personale, un po’ perché forse effettivamente più ispirati, si differenziano rispetto a quelli più recenti, ed è proprio la ruggente “Winterbane”, da “Abbath”, che chiude, dopo sessanta minuti esatti, la serata milanese. Restiamo tutti piuttosto stupiti quando quello che credevamo essere il solito momento ‘encore’ diventa invece la fine del concerto: inaspettatamente questa volta i ringraziamenti e la fuga nel backstage sono reali.
Molti restano ad invocare un’uscita della band da ‘sotto’ il backstage (allo Slaughter si trova su di un piano rialzato), e anche quando comincia la musica dalle casse del palco che segna la fine della serata, buona parte dei presenti (complici le luci spente) non si arrende ad andarsene e crede ancora in un bis, quanto meno finché i tecnici non salgono sul palco iniziando a smontare gli strumenti. Siamo certi che una buona ragione per un live così ‘striminzito’ (un’oretta che è proprio passata veloce contro tre quarti d’ora di cambio palco) e un finale così poco ‘epico’, ci sia stata, ma non conoscendo la situazione, non esprimiamo giudizi; tuttavia ci mettiamo nei panni di chi deve aver macinato non pochi chilometri per assistere alla serata, magari non avendo mai visto in azione la band.
Ci si può consolare ripensando a uno show tutto sommato buono, che non è mancato d’impatto e che ha avuto i suoi momenti (sebbene ci chiediamo se una band di illustri sconosciuti, con lo stesso repertorio avrebbe mai riempito il locale…), ma un certo amaro in bocca resta.
In definitiva una serata con dei picchi notevoli, soprattutto con la prima band, ma che avrebbe potuto dare molto di più col nome più grande presente in cartellone, del quale porteremo a casa il ricordo dell’orrido “grazzzieeee” oltre ad una generale sensazione positiva sul buono stato di salute del frontman.
Un plauso alla gestione dei suoni e al pubblico, divertito e partecipe nonostante sia una delle domeniche più infami dell’anno, visto che molti avranno ricominciato a lavorare o studiare proprio il giorno dopo. Ma, per il metallo, cosa non si fa…
HELLRIPPER
TOXIC HOLOCAUST
ABBATH