Una serata importante quella del 12 aprile. Una serata per ricordare che il cuore dell’underground batte forte anche dove pareva essere andato anzitempo strappato via. Una serata per dimostrare che anche in un territorio sonnacchioso, poco ricettivo verso certi suoni compromessi col rumore e infettati dalla depravazione, si può organizzare un evento di metal estremo fuori dai canoni, pieno di inventiva, coraggioso e sfrenato. Headliner gli Abstracter, combo californiano capeggiato dall’italianissimo Mattia Alagna, che chi segue con un minimo di fedeltà le nostre pagine avrà imparato a conoscere per le sue accalorate recensioni su quanto di più assurdo, cerebrale, contorto la musica metal e hardcore abbia offerto in questi anni di opulenta abbondanza. Così, accanto all’interesse per una compagine che sta scrivendo pagine importanti in seno al tentacolare mondo dello sludge-doom – irrorato di abbondanti dosi di crust e black metal – ecco comparire una genuina emozione, da parte di chi scrive ma anche di molti altri fra i convenuti, nel conoscere in prima persona qualcuno con cui si avevano avuti solo rapporti epistolari a mezzo web, a causa delle migliaia di chilometri intercorrenti fra Oakland, base degli Abstracter, e l’Italia. Accanto agli headliner, qui alla quarta e ultima data italiana, nel mezzo di un tour europeo iniziato il 2 aprile e che sarebbe finito il 16 aprile, i veterani Viscera/// e gli esordienti Hadit, a formare un lotto di band assatanate e bramose di officiare una monumentale orgia di violenza scalciante.
HADIT
Sono da poco passate le dieci di sera quando all’interno delle Cantine Coopuf vanno sul palco gli Hadit. Sono soltanto in due, ma bastano e avanzano per aprire un cratere nella venue e trasportarci, volenti o nolenti, nei reami del terrore e dell’assenza di misericordia. L’ottimo impianto del locale, recentemente ristrutturato con la necessaria cura e attenzione ai particolari, restituisce un coacervo di suoni ributtanti, spiritati, orchestrati semplicemente da una chitarra e una batteria. Siamo dalle parti del death metal purulento vomitatoci in faccia da gente come Undergang, Grave Miasma, Dead Congregation, Maveth, succulenti frutti maleodoranti che al death degli Incantation e degli Immolation hanno annesso il fetido gusto per il doom estremista e agonizzante. All’apparente semplicità della proposta, nelle prime battute incanalata su ritmi tiratissimi e parossistici, si abbina in fretta la sensibilità per il riff a effetto e la giusta dose di atmosfera, regalata da parentesi chitarristiche tesissime e da un clima morboso che si appiccica addosso come una camicia fradicia di sudore in piena estate. Ottima anche la conduzione della batteria, che preme su costole e vertebre con la necessaria, sadica, pressione, senza dimenticarsi di inserire fill e piccoli stacchi che complicano il discorso e consentono di respirare fra un assalto e l’altro. Presto per sbilanciarsi su quello che sarà il futuro del progetto, le prime impressioni, avvalorate anche da una performance vocale disumana, sono decisamente positive. Vedremo cosa riserverà il futuro a questo giovane duo.
VISCERA///
Coi Viscera/// si vanno a toccare propaggini meno immediate del calderone estremista, il trio lombardo si è progressivamente staccato dal death/grind dei primi tempi e ha avviato un percorso esplorativo ad ampio raggio, la cui ultima tappa è rappresentata dallo split/collaborazione assieme agli Abaton, uscito nell’estate del 2015. In questo momento non è semplicissimo capire quali siano i confini del Viscera///-style e, per quanto ci riguarda, ciò non è affatto un difetto, anche se rimane l’impressione che questi musicisti siano nel mezzo di un percorso, non ancora a un approdo certo. Le urla isteriche sono ancora lì in bella mostra, acidissime, a contornare gli istanti di maggiore carico di ferocia, quando i Viscera/// pestano selvaggi e contorti e rimandano a una dimensione più prosaica e meno mediata da altre necessità espressive. Le quali affiorano presto, ogni strumento sembra staccarsi dal porto dove si stava godendo una relativa tranquillità e intromettersi in un reticolo di atmosfere torbide, fra il post-industriale alla Godflesh, evocato soprattutto dagli spezzettamenti della batteria, e le ciclopiche, amare, volute alla Altar Of Plagues-Amenra descritte da chitarra e basso. È tale lo stacco fra le parti contraddistinte dall’uso della voce e quelle che non la prevedono, e la durata di queste ultime, che quasi si crede di ascoltare due gruppi allo stesso tempo. Le composizioni vanno a prendere la piega del post-metal contaminato, svagando in quell’ampio territorio creato da Neurosis e Cult Of Luna e ora frequentato in lungo e in largo da ensemble provenienti dagli ambiti più disparati. È quindi un set meno energico di quello degli Hadit quello che ammiriamo, da assaporare concentrati per capire quali sviluppi prenderà la musica e i punti di arrivo di partiture liquide, in costante mutamento, fra circolarità e progressioni impreviste. Set di puro ascolto e non di mattanze, quello dei Viscera///, interessante e un poco imprevisto. Anche in questo caso siamo curiosi di sapere quale saranno i risultati del fervore sperimentale che sta attanagliando la band. Si guarda avanti fiduciosi.
ABSTRACTER
Eccoci allora al clou della nostra trasferta varesina. Gli Abstracter sono in giro già da una decina di giorni, immaginiamo non siano freschissimi, però l’entusiasmo da parte loro è tanto, lo si vede dal modo in cui si muovono sul palco nel preparare tutta la strumentazione, desiderosi di fare bella figura dinnanzi alle cinquanta-sessanta persone che si sono presentate alle Cantine Coopuf per l’occasione. Un parterre più nutrito di quello che ci saremmo aspettati e che ha seguito con interesse tutte le esibizioni in programma, facendo sì che l’intera serata sia stata un successo, sia dal punto di vista artistico che sotto il profilo umano. Il primo aprile gli headliner se ne sono usciti con due nuove tracce inedite, contenute nello split rilasciato assieme ai Dark Circles. Proprio questi brani vanno a costituire la parte preponderante della scarna setlist, che parte appunto con “Barathrum”. Volumi esagerati, aggressivi, scorticanti, sono un mezzo essenziale per apprezzare il parziale mutamento di pelle degli americani. Gli angoscianti movimenti in slow motion di “Wound Empire”, cosparsi già in quel caso di raccapricciante malevolenza, vengono spazzati via da attacchi rapidi e corrosivi, perpetrati per lunghissimi minuti. Impressionante la forza d’urto, il senso di caos e disperazione urta l’anima ancora prima delle orecchie, fra un suono di chitarra convulso e una sezione ritmica scatenata. Alagna si produce in vocalizzi che sono la quintessenza dell’idea di sfacelo, malessere, nausea per tutto ciò che di brutto e insano vi è a questo mondo. Il singer non smetterà un istante di fare headbanging, meravigliosamente sconvolto dalla propria musica. La furia esecutiva non va a scapito di strutture concepite con intelligenza, la negatività si propaga fra sgocciolii di ansie a bassi regimi, momenti di orrore sepolcrale, dolorose frustate. Netto lo stacco con l’opener di “Wound Empire”, “Lightless”, che complice un assestamento dei suoni su una maggiore pulizia ci fa apprezzare una veste più familiare degli Abstracter, in annegamento nel nulla, pervasi da una disperazione palpabile, una sofferenza interiore inguaribile. Il gruppo funziona da inceneritore di ogni pensiero positivo, inghiotte la luce, lascia solo macerie al suo passaggio. L’ultimo colpo è forse quello più mortale, altalenante fra l’accoccolarsi in un cono d’ombra punitivo e il librarsi famelico verso ripide montagne d’odio e perversione: “Where All Pain Converges” aggrega un mare di dolore e ce lo fa esplodere addosso, letale. Non un saluto, non un cenno, al temine di un’esibizione breve e concisa, massacrante, imbevuta dello spirito sfiduciato e raggrinzito di queste tempi disgraziati. Il mondo muore, gli Abstracter ne musicano l’agonia.