E’ spuntato un po’ a sorpresa questo Academy Death Fest organizzato dalla K2 Music in quel dell’Academy di Levata, locale che ha visto passare negli scorsi mesi anche un nome importante come gli statunitensi Imperial Triumphant.
L’occasione stavolta è ritagliata attorno al tour di presentazione del nuovo “Xul” dei Devangelic, ormai in pianta stabile nel roster dell’americana Willowtip. I capitolini sono accompagnati, in questa sede, dai milanesi Reaping Flesh, i marchigiani Sun Of The Sun, i bergamaschi Maze Of Sothoth e i bolognesi Golem Of Gore.
L’impressione generale che ha dominato la serata, al di là della buonissima qualità della proposta, è però quella di un parziale successo, dovuto anche a condizioni contestuali non dovute all’organizzatore. Le porte si aprono poco dopo le 19, in quel di Levata, e la prima impressione è di un locale piuttosto fuori contesto per un minifestival death metal. L’Academy è una sorta di scuola di musica e di danza che offre corsi di vario genere con annesso un locale/bar attrezzato di palco e impianto luci: a quell’ora la clientela ‘laica’ sta concludendo le proprie attività e infatti si sprecano gli sguardi un po’ attoniti delle signore di mezza età nei confronti dei metallari già presenti sul posto.
L’esibizione dei REAPING FLESH inizia con un discreto ritardo, probabilmente anche per tentare di far confluire maggiori presenze nel locale che purtroppo invece non si manifestano. Comunque sia, il power trio meneghino vede in formazione vecchie conoscenze mutuate da Through Your Silence, Destrage e Mechanical God Creation ma la proposta è ben diversa: si tratta di death metal old-school influenzato principalmente da Massacre, Death, Autopsy e Obituary.
I problemi tecnici purtroppo si sprecano, con il microfono di Andrea Marini completamente staccato per il primo pezzo e diversi problemi anche alla chitarra di Marco Tafuri. Nonostante gli inghippi le sonorità dei nostri risultano subito riconoscibili e rispecchiano il tipo di death metal volutamente retrò che piace molto in questo periodo. E’ inoltre evidente come i Reaping Flesh abbiano fatto tesoro dell’esperienza (abbastanza di rottura, se vogliamo) di gruppi underground nostrani come i Fulci, visto che la band ha al proprio attivo solamente un ep in uscita per Redefining Darkness ma ha già una quantità notevole di merch (ed è proprio così che li avevamo notati nelle scorse settimane). Suoni sballati a parte, l’impressione che lasciano brani come “Elements Of Life” e “Self Incarnation” è positiva e crediamo che il terzetto milanese abbia diverse frecce al proprio arco da poter scoccare nei prossimi mesi.
Dopo di loro tocca ai GOLEM OF GORE, gruppo bolognese che vede in formazione Ricky, già molto conosciuto con i suoi Grumo e Davide Farabegoli, già con gli Indecent Excision. Attivi dal 2018, hanno già inondato il mercato con una serie di split, compilation e collaborazioni con diverse band note della scena grind/gore; la loro fama è aumentata esponenzialmente nell’ultimo anno di pari passo con la frequenza delle esibizioni live. La loro proposta è affine a Disgorge messicani, Last Days Of Humanity o primi Pharmacist e si abbatte sulle poche decine di presenti all’Academy in tutta la sua potenza. Difficile (e inutile) riconoscere i velocissimi brani (molti attorno al minuto di durata) perché musica di questo tipo punta solamente a creare atmosfere complessive di violenza, disagio e morte. In questo i Golem Of Gore sembrano più che esperti e si nota comunque anche un’attenzione ai dettagli che non sempre è da dare per scontata: per quanto volutamente violento e slabbrato sia il suono dei nostri, si può apprezzare un certa tecnica esecutiva e un suono complessivo non completamente caotico. Siamo ora incuriositi se il prossimo full-length, atteso per il 2024, manterrà queste premesse di evoluzione.
Il ritardo accumulato fino a questo momento è piuttosto importante e la sensazione di déjà-vu già provata in precedenza torna a farsi sentire, ricordandoci di quella brutta abitudine tutta nostrana – per chi non è più un ventenne – di posticipare gli eventi, che finivano poi regolarmente a notte fonda. Dopo un adeguato soundcheck è il turno dei marchigiani SUN OF THE SUNS, fuori con un disco di debutto ormai datato 2021 su Scarlet. Lo ammettiamo, il nome dei nostri ci è rimasto abbastanza inedito fino a pochi mesi fa, quando la band di Ludovico Cioffi (The Modern Age Slavery, Delain, Nightland), Marco Righetti e Luca Scarlatti (ancora dai Nightland ed entrambi nei Carnality) ha iniziato a martellare con più costanza i piccoli e i grandi palchi della penisola. La loro musica è facilmente identificabile in un deathcore moderno, progressivo ma non eccessivamente tecnico che si muove fra vecchi Fallujah, Meshuggah e Born Of Osiris, senza però eccedere né in violenza né in orchestrazioni. I pezzi del debutto “TIIT” sono stati eseguiti con piglio disinvolto e dei buoni suoni li hanno aiutati a replicare, senza troppa fatica, l’impatto del disco. Tra i più moderni del lotto, i Sun Of The Suns riescono ad essere attuali, pesanti ma allo stesso tempo sufficientemente melodici da permettere le dovute scapocciate del pubblico. In definitiva: una band ‘giovane’ ma già sufficientemente padrona del palco che potrebbe spiccare il volo con una proposta da studio un po’ più personale. Promossi, comunque.
E’ ormai piuttosto tardi in quel dell’Academy quando tocca ai bergamaschi MAZE OF SOTHOTH, una delle band da noi più attese, visto anche il numero esiguo di possibilità di vederli live negli ultimi anni: il debutto “Soul Demise” al tempo ci aveva stregato e anche il recente successore “Extirpated Light” si conferma un disco dai buoni spunti. Dopo la modernità dei Sun Of The Suns con i Maze Of Sothoth si torna prepotentemente indietro, verso Morbid Angel, Nile e Deicide. La prova dei nostri è sì convincente ma anche piuttosto statica: abbiamo avuto l’impressione che i pochi palchi calcati pesino ancora sulla disinvoltura dal vivo e in generale anche le prestazioni individuali non sono state stellari, soprattutto per voce e batteria. Al contrario, la scaletta incentrata per la maggior parte sui nuovi pezzi (abbiamo riconosciuto solo un paio di estratti dal debutto) ci ha convinto ancora di più della bontà del nuovo album, colpevole solamente a questo punto di non avere lo stesso effetto sorpresa del debutto del 2017. Il concetto di band ‘giovane”, nel senso di esperienza acquisita, è applicabile anche al quartetto bergamasco che, a parere di chi scrive, ha bisogno di allenarsi ancora di più a proporre la propria musica con il giusto impatto sui palchi italiani e non.
Lo ammettiamo: l’impatto con l’Academy non ci aveva fatto pensare a possibili grandi exploit dal punto di vista sonoro e organizzativo, ma dobbiamo ricrederci poco prima che i DEVANGELIC salgano sul palco, ben dopo la mezzanotte: a parte coi Reaping Flesh, i suoni sono stati più che buoni e la serata è da considerarsi riuscita, nonostante a pesare tra i contro ci siano appunto il troppo ritardo e il sempiterno problema presenze. Anche con le due band principali della serata, infatti, il numero dei presenti non è mai stato elevatissimo, secondo noi decisamente inferiore a cento. Dati come questi non sono uno sprone a continuare per promoter e agenzie di booking, ma la questione dell’affluenza ai live è sempre stata un punto dolente del nostro Paese ed è ancora materia più misteriosa nel post-covid, quindi non ci pare il caso di addentrarci in analisi troppo profonde.
Una cosa invece è certa: i Devangelic ormai sono una realtà consolidata del death metal tricolore, con ormai una credibilità anche all’estero molto solida, e lo hanno confermato all’Academy. La loro esibizione, inferiore per durata ai sessanta minuti, è stata violentissima ed efficace, un vero pugno nello stomaco. Il death metal brutale dei Devangelic non vive di chissà quali variazioni, ma si muove attraverso improvvisi cambi di tempo, sfuriate e qualche break rallentato e cupo: i riferimenti sono di nuovo i Nile o Disgorge statunitensi, Condemned e Disentomb. L’esecuzione è stata efficacissima ed apprezzata, nonostante l’ora tarda, con il cantante Paolo Chiti che ringrazia i presenti per aver atteso fino a quel momento. Se possiamo fare un solo appunto all’esibizione degli headliner, non sono emerse dal vivo tutte quelle sfumature orientali che rendono invece un disco come il recente “Xul” piacevole e almeno in parte differente dalla marea informe e parzialmente amorfa che che costantemente sciaborda nel mercato del genere musicale.
Mentre usciamo dall’Academy una considerazione conclusiva ci passa per la testa: il livello medio del death metal tricolore, in tutte le sue sfumature, è ormai decisamente alto. Per chi vive l’underground da quasi trent’anni, bisogna solamente continuare a credere nel vecchio adagio “per aspera ad astra”: chissà dove arriveremo.