Introduzione e report di Roberto Guerra
Fotografie di Monica Ferrari
Ancora metallo classico, stavolta di nuovo in territorio italiano, e precisamente in quel del Live Club di Trezzo sull’Adda, dove si appresta a calcare il palco un’altra realtà piuttosto discussa negli ultimi tempi, per via di alcune soluzioni strutturali che tanto han fatto storcere il naso ai puristi o, più semplicemente, a chi fatica ad ammettere che nella carriera di una band possano presentarsi determinati cambiamenti, anche quando la suddetta line-up risulta all’attivo da ormai oltre quattro decadi.
Ci riferiamo naturalmente ai teutonici Accept, che in tempi recenti sono rimasti sprovvisti del loro iconico bassista Peter Baltes, e che adesso possono fare in compenso sfoggio di una formazione a sei membri, caratteristica che giocherà un ruolo non indifferente nelle sberle che presto ci arriveranno in piena faccia. Insieme a loro gli ormai indiscutibili alfieri dell’heavy/power metal tricolore White Skull, intenti nella promozione della loro più recente interazione discografica. Solo due band quindi e, come già visto in altre occasioni, l’orario di inizio decisamente più permissivo si traduce in una più che discreta affluenza già durante i primi rintocchi della band di supporto. In effetti, anche oggi ci saremmo aspettati una quantità meno nutrita di astanti, ma siamo ben lieti di essere stati smentiti. Buona lettura!
WHITE SKULL
Tendenzialmente, chi apprezza gli Accept difficilmente può disdegnare un opening act come quello odierno, trattandosi di fatto di un autentico pezzo di storia del metal europeo, seppur fortemente ancorato all’underground. Rispetto all’ultima volta che li abbiamo menzionati in un report, il comparto sonoro appare decisamente più curato, malgrado una percettibilità della voce non impeccabile, tant’è che lo show prende piede immediatamente sulle note della recentissima “Metal Never Rusts”, che peraltro sfoggia un titolo riassuntivo del tema cardine di questa serata.
Proseguendo, Federica De Boni e i ragazzi alle sue spalle sciorinano una compagine di pezzi di provenienza mista, con una buona enfasi riservata ai loro inni più classici come “Tales From The North”, “The Roman Empire”, “High Treason” e la conclusiva “Asgard”, inframezzate con produzioni più recenti, se non del tutto nuove, come “Ad Maiora Semper” e “Skull In The Closet”. L’esecuzione è pulita ed essenziale, con un contributo ottimale di ogni singolo componente, incluso il recente ingresso alla chitarra solista Valentino Francavilla, che sul manico della sua Charvel sfreccia con totale disinvoltura. C’è posto persino per un simpatico siparietto in cui il buon Tony Fontò chiede di augurare un buon compleanno a ben quattro membri di band e crew, perchè tutti compiono gli anni nel mese di febbraio ormai in procinto di concludersi.
Fa inoltre piacere notare che tra i presenti molti appaiono già tutto sommato ferrati sul repertorio della band veneta, mentre gli altri appaiono comunque piacevolmente coinvolti, a conferma del fatto che queste siano le aperture degne di un mito, come di fatto è quello che sta per esibirsi.
Setlist:
Metal Never Rusts
Tales From The North
Ad Maiora Semper
Red Devil
Skull In The Closet
I Am Your Queen
Black Ship
High Treason
Asgard
ACCEPT
Come accennato poco fa, le discussioni in merito alla attuale natura degli Accept si sono sprecate negli ultimi tempi, e temevamo che avrebbero rappresentato un fattore scoraggiante per tutti i potenziali astanti, che quindi avrebbero scelto di ignorare bellamente l’evento di oggi. Ebbene, ci sbagliavamo: l’affluenza appare decisamente al di sopra delle nostre aspettative, con la presenza tra le fila del pubblico di nuove generazioni, visivamente interessati ad apprendere, con tutto l’appetito del caso, qualcosa in più su come si suona l’heavy metal in sede live. Già, perché malgrado sia rimasto solo il carismatico leader Wolf Hoffmann degli Accept più iconici, bisogna dirlo: la formazione attuale a sei fa davvero la differenza!
Partiamo dal presupposto che comunque, riguardo Hoffmann, parliamo di un autentico fuoriclasse, peraltro immune a qualsiasi invecchiamento, considerando l’incredibile potenza che ancora trasmette con in mano la sua sei corde, e che di certo non si circonda di dilettanti; lo conferma il nuovo ingresso alla chitarra Philip Shouse, in grado di smontare ogni scetticismo col suo contributo scenico e strumentale, diversamente forse del bassista Martin Motnik, che seppur meno appariscente fa comunque la sua buona figura. Inoltre, non dimentichiamoci del mitico Mark Tornillo – ormai più che degno di essere considerato il frontman degli Accept anche dai nostalgici – del comunque valido Uwe Lulis e di quel tamarro di Christopher Williams, che a una certa ci regala anche un breve sfoggio solista sulla sua batteria.
Per quanto nelle prime file il sound appaia un po’ ovattato, difetto già riscontrato in altre occasioni recenti in quel del Live Club, bisogna ammettere che il muro sonoro alimentato dalle tre chitarre si abbatte dritto sulle nostre facce come mai prima d’ora, rendendo ogni momento della scaletta odierna degno di una menzione più che positiva: classici rockeggianti come “Restless & Wild”, Midnight Mover” e “Princess Of The Dawn” ci portano a muoverci e saltare con totale naturalezza, mentre sulle sassate del calibro di “Objection Overruled”, “Breaker” e “Fast As A Shark” si crea un’area di moshpit sfrenato come non se ne vedevano da tempo ai concerti degli Accept. Persino i pezzi dall’ultimo full-length “Too Mean To Die” vengono cantati e fisicamente accompagnati dai presenti, prova di quanto il suddetto lavoro abbia convinto le folle, ben più del suo predecessore “The Rise Of Chaos”, il cui tour a suo tempo ci lasciò un accenno di amarognolo in bocca al momento del passaggio in Italia. Sugli estratti dal primo periodo con Mark alla voce c’è poco da dire, in quanto ormai sono parte integrante del repertorio più amato di Wolf e soci, a parte l’adrenalinica “Hang, Drawn And Quartered” con cui inizia l’encore, sulla quale molti presenti appaiono comicamente straniti, come se non avessero mai sentito la riuscitissima opener dell’album “Stalingrad”.
C’è posto anche per un medley, in cui vengono condensati ben quattro classici della band, e per un momento dedicato alle semi-ballate “The Best Is Yet To Come” e “Shadow Soldiers”, con le quali è come se la band volesse fornire una pausa al proprio pubblico, prima di rigettarlo nella mischia.
Dopo gli ultimi colpi inferti da “Balls To The Wall” e dalla sorpresa finale “I’m A Rebel” la sensazione generale è quella di aver visto degli Accept musicalmente incazzati come non li vedevamo da tempo, chirurgici nell’esecuzione e monumentali nella loro essenza generale, con una capacità di intrattenimento che dovrebbe fare scuola. Certo, fa dispiacere non avere più Peter Baltes nel combo ma finché il livello è questo va benissimo anche così.
Setlist:
Zombie Apocalypse
Symphony Of Pain
Restless And Wild
Midnight Mover
The Abyss
Objection Overruled
Overnight Sensation
Demon’s Night/Starlight/Losers And Winners/Flash Rockin’ Man
Breaker
The Best Is Yet To Come
Shadow Soldiers
Princess Of The Dawn
Fast As A Shark
Metal Heart
Teutonic Terror
Pandemic
Hung, Drawn And Quartered
Balls To The Wall
I’m A Rebel