Serata per veri appassionati del metallo vecchia scuola, quella svoltasi al Centrale Rock Pub di Erba in un piovoso sabato di inizio marzo. La conferma nei panni di headliner degli storici death/thrasher Agressor, alla prima data italiana della loro carriera, è diventata infatti il pretesto per un mini-raduno di gruppi dai suoni assolutamente tradizionali e istintivi, chiamati da varie parti dello Stivale per dare manforte ai francesi e ribadire – se mai ce ne fosse stato il bisogno – l’ottimo stato di salute del nostro circuito underground, fra borchie, cartuccere e trame ignoranti nell’accezione migliore del termine.
Un evento organizzato con cura e passione tangibili ‘da fan per altri fan’, e che non a caso ha attirato nel sempre confortevole locale del comasco – tra i migliori della Lombardia, a detta di chi scrive, senza code ingiustificate in cassa, interruzioni di corrente o suoni approssimativi – quello che potremmo definire il pubblico delle grandi occasioni, ben lieto di supportare la scena in un contesto del genere e di riempire la venue fin dall’apertura porte attorno all’ora di cena.
La dimostrazione di come, in definitiva, basti poco per rendere giustizia anche alle proposte più marce e intransigenti, mettendo tutti (musicisti e spettatori) nelle condizioni di divertirsi e trascorrere del tempo di qualità insieme, un po’ com’è possibile constatare all’estero non appena ci si organizza per una trasferta concertistica. Ma vediamo meglio com’è andata…
Incaricati di dare fuoco alle polveri, i DEATHFUCKER si rendono protagonisti di una performance a dir poco feroce e annichilente, che lascia più di qualcuno basito per l’intensità sprigionata durante la mezz’ora di durata del set.
Intendiamoci, i dischi rilasciati fin qui dal quartetto emiliano (“Firespawn” del 2021 e “God Devourer” dello scorso anno) erano stati due graditissimi exploit per gli amanti di quel suono a metà strada fra death e thrash tipico degli Eighties, ma in pochi francamente si potevano aspettare un simile dispiego di barbarie e compattezza da parte di Insulter e compagni.
Potendo contare sulla spinta di un batterista sopra la media e su un arsenale di riff che, pescando a destra e a manca dal repertorio di Morbid Angel, Sarcófago e compagnia teutonica (tra gli altri), non concede effettivamente un attimo di tregua, la band assesta a tutti i presenti la proverbiale mazzata fra capo e collo, in un’aggressione tanto efferata nei contenuti quanto lucidissima da un punto di vista puramente esecutivo, quasi come se l’esecuzione degenerata delle varie tracce fosse frutto della memoria muscolare dei Nostri. Un avvio sorprendente, che certifica il valore di un progetto di cui – forse – non si è ancora sentito parlare abbastanza.
Smaltita la botta dei Deathfucker, è quindi la volta dei MORBUS GRAVE, formazione milanese con qualche lustro di esperienza alle spalle e responsabile di un metallo della morte che – come presagibile dal moniker – non fa esattamente dell’eleganza e della raffinatezza i suoi cavalli di battaglia.
In procinto di rilasciare un nuovo album sotto l’egida dell’affidabile Memento Mori, il quintetto riversa sugli astanti una colata di old-school death metal dai contorni volutamente rozzi e indefiniti, ora più vicini ai dettami della scuola europea, ora a quelli del filone americano, e che a furia di regredire verso i primordi del genere finisce pure per l’inglobare qualche pillola black/thrash degna dei primissimi Celtic Frost.
Musica che, da sempre, trova la propria ragion d’essere dal vivo, e che infatti il quintetto interpreta con la spigliatezza e la volgarità richieste, picchiando come un fabbro durante i numerosi uptempo e sprofondando in una pozza di liquami nel momento in cui le trame si dilatano in venerazione degli Autopsy, compensando l’elemento derivativo con una scrittura ficcante e un’interpretazione – specie da parte di Erman al microfono – decisamente sentita. Non si reinventa la ruota, anzi, si torna ancora più indietro nella scala evolutiva, ma per quanto ci riguarda va benissimo così.
Si resta su registri death metal in coincidenza dell’arrivo dei THULSA DOOM, tra i migliori discepoli di “Altars of Madness” emersi dal circuito underground negli ultimi anni.
Il gruppo laziale, forte anche del sostegno dell’oculata Invictus Productions, è andato a scavarsi nel giro di un paio di release una nicchia sonora ben precisa, modellata attentamente sulle gesta dei Morbid Angel degli esordi e di formazioni analoghe come Incubus/Opprobrium, Necrovore e Sadistic Intent, e ogni approccio alla sua musica (che sia su disco o dal vivo) diventa fondamentalmente un pretesto per reimmergersi in quelle atmosfere mefistofeliche e in quel suono ferino ancora pregno di elementi thrash metal.
Chiaramente, “Chapel of Ghouls” o “Evil Spells” sono un’altra cosa, ma non per questo le varie “Cursed Domains Beyond”, “The Dawn of the Fire Age” o “Thulsa Doom” tardano a fare la loro porca figura, confermando le sensazioni avute durante la bella data di supporto a Suppression e Miscreance (qui il report) e ribadendo come il songwriting dei Nostri viaggi sulle ali di un entusiasmo e di una competenza tangibili, suonando efficace in ogni suo sviluppo e con un gran gusto in termini di ‘hook’ accattivanti e di facile presa.
Resta forse l’impressione che qualcosa, dal punto di vista dell’esecuzione e della tenuta del palco, possa essere migliorato, ma a parte qualche leggera sbavatura (e dei suoni non sempre ottimali) V.K. Nail e compagni si sono fatti trovare nuovamente pronti e in forma. Avanti così.
Il gran finale di serata è quindi affidato agli AGRESSOR, vero e proprio nome di culto della scena death/thrash europea che, specialmente all’inizio degli anni Novanta sull’onda di dischi come “Neverending Destiny” (1990) e “Towards Beyond” (1992), seppe sfidare a testa alta i colossi del genere e ritagliarsi un posto nel cuore dei maniaci del filone, andando parallelamente a formare con i connazionali Massacra e Mercyless un trio tanto efferato quanto meticoloso.
I tempi d’oro – sempre se di questi si possa parlare per una formazione da sempre relegata all’underground più duro e puro – sono trascorsi da un pezzo, l’ultimo album (il discreto ma bypassabile “Deathreat”) risale addirittura al 2006, e non a caso il quartetto capitanato da Alex Colin-Tocquaine (voce, chitarra) e Joël Guigou (basso) sembra ormai proseguire la propria carriera nell’indifferenza generale, con apparizioni live sporadiche e quasi mai oltre i confini francesi, eppure… eppure c’è che i Nostri, spalleggiati da due ottimi innesti come Michel Dumas alla chitarra e – soprattutto – dal giovanissimo César Vesvre alla batteria (anche in Arkhon Infaustus e Thy Darkened Shade), hanno saputo comunque difendere la loro eredità musicale con una prova maiuscola in termini di esecuzione e coinvolgimento, non sbagliando di fatto un solo passaggio e dimostrando di possedere una grinta e una compattezza a dir poco insperate.
Vesvre, come detto, è il proverbiale asso nella manica del gruppo originario della Costa Azzurra, garantendo con la sua propulsione ritmica un’intensità degna di questo nome allo show, e dal suo operato dietro i tamburi la setlist decolla partendo dagli episodi ‘standard’ di “Medieval Rites” e del suddetto “Deathreat” (“God from the Sky”, “Warrior Heart”, ecc.) per poi dare il giusto spazio ai veri capolavori del repertorio, i quali finiscono per essere accolti con ben altro fervore dal pubblico di Erba.
D’altronde, il mix di Morbid Saint, Merciless (quelli svedesi), Kreator e Invocator su cui si basano carneficine come “Paralytic Disease”, “Eldest Things” e “Overloaded”, a maggior ragione se riproposto con tanta furia e precisione, nasce per non concedere respiro, e anche stasera ne abbiamo avuto la conferma, in un’escalation di riff che, dapprima tecnici e vorticosi, sono poi esplosi in una serie di parentesi lineari e martellanti durante le quali la violenza sotto al palco è partita da sé.
Insomma, l’incursione degli Agressor poteva essere una cantonata così come un evento di cui serbare positivamente il ricordo nei giorni, nelle settimane e nei mesi a venire: secondo voi, a fronte di quanto scritto, quale delle due ipotesi si è concretizzata?