27/11/2009 - AHAB + IN MOURNING + GRINNING SHADOWS + BLACK SUN AEON + DOMINANCE + SUNPOCRISY @ Olden Live Club - Lonato Del Garda (BS)

Pubblicato il 11/12/2009 da

A cura di Marco Gallarati e Luca Filisetti.

Giornata tipicamente novembrina – grigia, triste e uggiosa – sabato 28 novembre, data in cui ha avuto luogo il primo Kolony Metal Fest, evento organizzato dall’underground label nostrana Kolony Records ed ospitato dall’Olden Live Club (l’ex Il Covo Antico) di Lonato del Garda, cittadina a metà strada tra Brescia ed il lago di Garda. Nessun nome realmente di grido nel bill della manifestazione, ma certo quegli Ahab in posizione di headliner sono stati un bel colpo messo a segno dai promotori del mini-festival: i doomster tedeschi, infatti, con l’ultimo “The Divinity Of Oceans” hanno saputo mantenere le aspettative create dal già eccelso predecessore “The Call Of The Wretched Sea” e la curiosità di vederli all’opera é stata davvero tanta. Ad accompagnare gli Ahab, un pacchetto di band di qualità e validità altalenanti: tenendo conto del forfait dell’ultimo minuto degli svedesi The Cold Existence – causa influenza suina – abbiamo avuto il piacere di ammirare i giovani In Mourning, i più esperti Black Sun Aeon e la sorpresa italiana Sunpocrisy; mentre, al contrario, dobbiamo purtroppo segnalare le prestazioni insipide di Dominance e Grinning Shadows, veramente deludenti. Lasciando da parte la musica, di cui ci occupiamo nei singoli trafiletti qui sotto, va presa nota della modesta risposta di pubblico accorso: i paganti effettivi – quindi esclusi addetti ai lavori e le varie crew delle band – ci sono parsi pochini, purtroppo. In più, una serie di lungaggini durante il soundcheck ed alcuni interminabili cambi di palco, hanno costretto gli Ahab a salire on stage all’1.20 di notte, quando gli stakanovisti rimasti sotto il palco erano ancora di meno. Insomma, una serata tutto sommato piacevole, segnata da qualche disfunzione logistica e da un paio di baratri esecutivi, ma che ha avuto nei gruppi stranieri un salvagente di tutto rispetto!

SUNPOCRISY

Ad aprire la serata giocano in casa i bresciani Sunpocrisy, band ancora senza contratto ma che ha fuori un EP autoprodotto ed intitolato “Atman”. Nella mezz’ora di tempo a disposizione del quartetto, sono tre i brani eseguiti, tutti ovviamente estrapolati dal disco sopra citato. I ragazzi sono autori di un death metal progressivo e piuttosto raffinato, che ha in Opeth, Cynic e Isis i maggiori padri putativi. L’articolata “Aeon’s Samsara” porta via da sola metà del tempo, ma ci mostra una formazione piuttosto preparata e dalle idee chiare, un po’ impacciata nel muoversi sul palco ma capace di presentarsi a dovere grazie all’interessante proposta. “Aprosdoketon” e “This Illusion” sono gli altri due pezzi suonati, più brevi e diretti della lunga suite iniziale, ma forse meno intriganti. Più che buona la prova del vocalist/chitarrista Jonathan Panada, impegnato anche – con merito – in una parte a cappella degna dell’Akerfeldt più ispirato. Piacevole inizio e Sunpocrisy da tenere d’occhio, quindi.

DOMINANCE

I Dominance sono la prima band della scuderia Kolony ad esibirsi e lo fanno dopo un cambio palco a dir poco estenuante, che ha fatto sorgere parecchi interrogativi sulla reale utilità del soundcheck pomeridiano. I cinque emiliani, tornati da poco in pista con “Echoes Of Human Decay”, dopo un decennio di silenzio da quel gioiellino di black-death melodico che risponde al nome di “Anthems Of Ancient Splendour”, hanno attaccato la (scarsa) platea con furore parossistico ed enfasi, non accompagnati però da altrettanto entusiastici suoni: primi pezzi completamente impastati, la chitarra solista un lontano eco e lo screaming di Mauro Bolognesi a risultare fastidioso talmente urlato ed alto di volumi. Una mezza tragedia, insomma. Aggiungiamoci pure la quasi nulla parlantina del gruppo e del suo frontman, un piattume esecutivo costante ed ecco che la prima delusione é sul piatto. La vecchia “Engraved” e la cover inudibile di “Tough Boy” (la sigla di Ken Il Guerriero) non sono bastate a farci strappare più di un timido applauso di circostanza. Peccato, davvero peccato.

BLACK SUN AEON

Dopo un altro cambio palco che mette a dura prova la pazienza dei presenti, arrivano sul palco i finlandesi Black Sun Aeon. La band guidata da Tuomas Saukkonen si presenta on stage con una formazione a tre composta da due chitarre e batteria, quest’ultima suonata direttamente dal leader, che si occupa anche delle voci. Alle sei corde invece segnaliamo la presenza di Mikko Heikkilä dei Sinamore (presente anche su disco) e dei singer degli Horna Mynni Luukkainen, che in poco meno di quaranta minuti di set riuscirà a scolarsi una bottiglia di vino rosso come fosse acqua! La band ci propone la propria miscela di black, dark e gothic, magari poco personale ed abbastanza ripetitiva, ma anche decisamente coinvolgente in sede live, tanto che più o meno tutti gli avventori del locale si accalcano sotto il palco per sostenere il trio scandinavo. Mentre Saukkonen e Luukkainen si occupano dello screaming, Mikko Heikkilä ci delizia con delle clean vocals malinconiche ed evocative che raccolgono più di un applauso. I ragazzi offrono una performance inattaccabile tecnicamente e con dei suoni all’altezza, ma, come da copione, sono freddi come il basalto, non dicono una parola tra un brano e l’altro, limitandosi a riproporre gli outtake del loro unico album “Darkness Walks Beside Me”. Nonostante questa freddezza, o forse proprio grazie ad essa, il gruppo riesce a convincere il pubblico, soddisfacendo più o meno tutte le aspettative che i presenti riponevano nella band.

GRINNING SHADOWS

E’ sufficiente il primo brano dei mantovani Grinning Shadows per riuscire a disperdere da sotto il palco il folto capannello di persone ereditate dallo show dei Black Sun Aeon. Dopo l’opening track infatti la gente tende a tornare a sedersi o ad approfittarne per una birra rigeneratrice o per un giro agli stand. La band ovviamente è conscia della cosa e tenta in ogni modo di richiamare persone sotto il palco, ma da li alla fine della propria esibizione attaccate alle transenne rimarranno solo una decina di die hard fan, più qualche sparuta presenza sparsa qua e là per il locale. Se è vero che il pubblico inizia ad essere anche piuttosto stanco, è altrettanto evidente che la prova dei ragazzi non è di quelle da incorniciare. Innanzitutto segnaliamo che i suoni sono piuttosto impastati rispetto alla performance precedente, cosa che già da sola è piuttosto limitante; aggiungiamo poi che gli unici elementi che donano un certo spessore alle composizioni dei nostri sono il guitarist Simone Cirani (anche nei Dark Lunacy!), dotato di uno screaming notevolmente migliore di quello del singer “ufficiale” Mario Farina e la cantante Silvia Rigoni, poco utilizzata ma decisamente a proprio agio sul palco. Il resto del gruppo non pare all’altezza del duo, in particolare la sezione ritmica che si limita ad un compitino eseguito in maniera sufficiente e nulla più. Da apprezzare invece il fatto che i Grinning Shadows non cedano alle lusinghe popeggianti presenti attualmente nel panorama gothic e che la loro proposta si situi comunque su lidi piuttosto estremi, a cavallo tra death, black ed appunto gothic. Tra vecchi brani (piuttosto ben eseguita “Sine Nomine”) ed estratti dal nuovo album in uscita a Marzo, la band non riesce a catturare l’attenzione dei presenti, finendo quindi per imbastire una performance probabilmente al di sotto delle loro reali possibilità.

IN MOURNING

Dopo aver appreso delle rinuncia forzata dei The Cold Existence, ecco arrivare sul palco dell’Olden Live Club i giovani svedesi In Mourning. A prima vista si intuisce subito che la band, nonostante l’età media piuttosto bassa dei componenti, è decisamente padrona della situazione ed offre un set all’altezza delle aspettative che comprende gli estratti dal loro unico album più un  paio di nuovi brani che saranno contenuti nel prossimo lavoro e che comunque si mantengono sulle coordinate stilistiche già sperimentate con “Shrouded Divine”. Gli svedesi si segnalano subito per la presenza di ben tre chitarristi, cosa che peraltro dal vivo lascia un po’ il tempo che trova, dato che, almeno in un contesto simile, la presenza della terza ascia non si avverte minimamente. Al di là di questo però la band offre una performance decisamente incoraggiante, ed i membri del quintetto sembrano divertirsi parecchio on stage. Inutile negare che le composizioni degli In Mourning debbano più di qualcosa agli Opeth, ma non va dimenticata anche una certa vena malinconica che riporta a Katatonia, Swallow The Sun e Novembre e che dal vivo, seppure sepolta sotto un sound piuttosto grezzo, riesce a fare capolino in più di un’occasione. Gli apici del concerto dei ragazzi sono stati l’emozionante “In The Failing Hour” e la conclusiva “The Black Lodge”, apice anche del loro esordio e qui riproposta in maniera adrenalinica e convincente. La palma del “migliore in campo” in questo caso spetta di diritto al singer Tobias Netzell, tanto abile dietro al microfono quanto concreto come guitarist. Promuoviamo quindi a pieni voti gli In Mourning e li attendiamo ancora dalle nostre parti, magari di supporto al nuovo album che dovrebbe vedere la luce il prossimo anno.

AHAB

Finalmente a notte fonda ecco arrivare sul palco gli attesissimi tedeschi Ahab. Il quartetto capitanato da Daniel Droste entusiasma subito grazie all’esecuzione in apertura della splendida “Yet Another Raft Of The Medusa (Pollard’s Weakness)”, opening track del grandioso “The Divinity Of Oceans”. Il pubblico, purtroppo piuttosto scarso durante l’esibizione della band, dimostra comunque entusiasmo ed attaccamento, seguendo nota per nota il monolitico incedere del concerto. La band, dal canto proprio, è artefice di una performance eccellente ed intelligentemente alterna brani nuovi a quelli del debut album “The Call Of The Wretched Sea”. Droste è perfetto sia come guitarist che dietro al microfono ed alterna tranquillamente il suo growling catacombale a delle clean vocals di rara efficacia. Wandernoth al basso e Corny Althammer dietro le pelli sono una sezione ritmica pesante come poche, mentre Chris Hector alla chitarra si alterna in maniera eccellente con lo stesso Droste, creando dei pattern atmosferici davvero notevoli all’interno del sound plumbeo e funereo tipico del quartetto. Da segnalare un’esecuzione stellare della doppietta “The Divinity Of Oceans” – “Below The Sun”, con un pubblico stravolto dalle oltre otto ore di presenza all’Olden ma che risponde ancora bene agli headliner. La chiusura é affidata all’evocativa “O Father Sea” e alla clamorosa “The Hunt”. Da segnalare che gli Ahab sono bravi a rendere omogenei il vecchio ed il nuovo materiale, dato che in sede live non si nota la differenza tra il funeral doom degli esordi e quello maggiormente affine al doom death dell’ultima fatica in studio. Peccato solo per la scarsa presenza di pubblico e per lo slittamento degli orari (non nascondiamo che i due prodi inviati di Metalitalia.com sono arrivati a fine concerto con le ossa rotte), ma le ultime due performance erano di un livello talmente elevato da rendere qualsiasi sacrificio decisamente piacevole. Alla prossima.

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