05/12/2008 - Airbourne + Black Spiders @ Rolling Stone - Milano

Pubblicato il 26/12/2008 da
A cura di Maurizio MoBorghi
 
Può essere la data degli Airbourne a Milano una rivalsa per tutti coloro che non sono riusciti ad accaparrarsi un biglietto per gli AC/DC? Può essere un aperitivo per chi si spara “Black Ice” incessantemente nello stereo e sta attendendo il concerto degli australiani previsto per il 2009? Solo un fatto è certo: la data è stata spostata dallo Zoe Club per la grande richiesta e anche il Rolling Stone è praticamente sold out per gli Airbourne, rocker australiani che tanto bene han saputo fare sotto il sole del Gods Of Metal qualche mese prima. Le premesse sono le migliori, con un pubblico elettrico e l’atmosfera caldissima del club…

BLACK SPIDERS

I Black Spiders saltano sul palco da perfetti sconosciuti, eppure basta qualche grasso riff sudista per far saltare le prime file. Le barbe sono lunghe, le chitarre sono tre e il suono mischia Black Label Society, Down, lo stoner e gli anni Settanta senza nessun tipo di originalità ma con grande grinta e trasporto. Tengono il palco come una formazione navigata, anche non avendo un passato noto, e riescono a coinvolgere degnamente: a loro non si chiede nulla di più, nemmeno di essere ricordati forse…

AIRBOURNE

Dopo Kix e Krokus tocca ai giovani Airbourne prendere la torcia di rocker più selvaggi d’Australia dopo gli inossidabili AC/DC. Il suono non è affatto personale, bisogna ammetterlo, ma “Runnin’ Wild” ha un tiro micidiale che se viene mantenuto per metà in sede live genera divertimento assicurato. Quando fa la sua entrata in scena Joel O’Keeffe, il Rolling esplode: tanto piccolo quanto energico, tanto brutto quanto travolgente, il piccolo australiano non avrà pace fino a quando anche l’ultimo dei presenti non si metterà a battere i piedi e muovere la testa al ritmo della loro musica senza nessun tipo di effetto speciale, solo Marshall, volume e tanta, tanta energia. Da “Stand Up For Rock’n’Roll” in avanti è solo un crescendo di entusiasmo e sudore, con tanti corpi indemoniati a fare crowd-surfing e il sudore ad ammorbare l’aria del club meneghino. Vista la striminzita discografia, la band esegue l’intero “Runnin’ Wild”, velocizzando alcune volte i brani ma allungandone a dismisura gli assoli, rudi e casinisti ovviamente, col solo fine di aumentare in caos ed elettricità perle come “Diamond In The Rough”, “Too Much, Too Young, Too Fast” e “Fat City”. Ad un certo punto, il frontman decide di salire sulla balconata a sinistra del palco per battere qualche cinque e causare ulteriore scompiglio, e in maniera beffarda, quasi per far impazzire la security, continua il suo viaggio scavalcando la ringhiera e scendendo nelle gradinate, in mezzo al pubblico, dimenandosi e scapocciando come un ossesso. Tra corna alzate, corsette, salti e schizzi di birra sulle prime file, arriva il finale, siglato da “Running Wild” e “Blackjack”, a chiudere una serata adrenalinica per ogni amante del rock più puro. Da godersi in un club rovente, per le arene ci sono Angus e soci!

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