Report a cura di Claudio Giuliani
“Dio del rock, grazie per questa occasione per spaccare, siamo i tuoi umili servitori. Ti prego, dacci il potere di mozzar loro il fiato con il nostro energetico rock. Nel tuo nome preghiamo. Amen”, diceva Jack Black in School Of Rock, e lo stesso devono fare gli Airbourne prima di salire sul palco, sempre pronti a diffondere il verbo del Rock. La miglior coverband al mondo degli AC/DC, infatti, passa in Italia per la promozione del terzo album. “Black Dog Barking” è stato da noi giudicato leggermente meno ispirato dei precedenti, ma poco importa. Infatti per O’Keeffe e compagni gli album stanno diventando dei pretesti per devastare i palchi di mezzo mondo andando in tour – come per i Motorhead. E quindi eccoli a Roma, a distanza di una manciata di anni, per una serata dedicata a tutti gli amanti del Rock n’ Roll, specialmente ai meno giovani, a chi non ha visto gruppi come AC/DC e Judas Priest nel fulgore della loro carriera. È l’Orion di Ciampino ad ospitare la data, facendo emergere le lacune della Capitale: non c’è un posto all’aperto di medie dimensioni dove far suonare gruppi come Airbourne (ma anche Slayer qualche giorno prima). Ad ogni modo, con un’affluenza che risente dei tantissimi appuntamenti musicali di alto spessore in pochi giorni, ecco il resoconto della serata aperta dai The Guestz, altro gruppo di fatto coverband degli AC/DC…
THE GUESTZ
Poco pubblicizzati come gruppo d’apertura della data, siamo rimasti piacevolmente sorpresi dalla qualità di questi ragazzi (mica tanto, oramai). Appena entrati nel locale infatti, saggiati subito gli ottimi suoni, siamo stati subito coinvolti nel rock duro dei quattro, debitore ovviamente dei mostri sacri del genere. Loro sono rei confessi (“Se stiamo qui é solo per una band molto famosa che tutti conosciamo”) e non mancano, con la ruffianeria che contraddistingue ogni romano, di accattivarsi le simpatie del pubblico. Poco importa che siano brani loro o cover (“Acid Easy”, “I Was Told” dei Rhino Bucket), il risultato (e anche l’esecuzione) è praticamente lo stesso. Chiedere ai fan per maggiori chiarimenti, galvanizzati al massimo durante l’esecuzione corale di “Living After Midnight” dei Judas Priest, cantata a squarciagola da tutti. Versato il dovuto sudore, il gruppo chiama a gran voce gli Airbourne.
AIRBOURNE
È il coro di “Ready To Rock” (brano opener dell’ultimo album) da parte dei fan a richiamare chi – a ragion veduta – ha passato il tempo del cambio di palco nello spazio aperto a bere o fumare. Gli Airbourne non deludono i fan e difatti iniziano proprio con quella canzone, con tre quarti del gruppo che sbucano dai due muri di Marshall allestiti ai lati del palco. Si parte subito alla grande. Joel, frontman carismatico come pochi, inizia il suo show personale con il pubblico, mentre David Roads e Justin Streets cominciano il copioso scambio di posizioni dai lati dello stage. Al solito, per gli appassionati dei costumi, tutti vestono solo maglie nere rigorosamente no-logo ad eccezione di Joel che mostra i soliti muscoli. “Ready To Rock” si trasforma subito in una jam: viene infatti allungata nel coro per scaldare un pubblico già in visibilio dopo poche note. Tocca poi a “Chewin’ The Fat”, estratto dal precedente lavoro “No Guts. No Glory”, spostare la verve dello show da dura a divertente. Gli epigoni degli AC/DC proseguono poi con un’adrenalinica “Born To Kill”, seguita dall’inno “Diamond In The Rough”. Qui le temperature diventano tropicali, nè più nè meno di quelle della metropolitana di Roma se capitate nel vagone sbagliato, con la differenza però che qui è lecito togliersi la maglietta. E quindi, durante “Back In The Game” (che evidenzia il netto miglioramento vocale, ora Joel ha un tiro più lungo), ecco che donzelle in due pezzi si agitano sulle schiene di aitanti maschi che agitano la loro t-shirt, come nelle migliori tradizioni dei concerti rock. Il leader degli Airbourne, non essendo presente nessun appiglio per la scalata, decide di scendere dal palco e di andare a fare il solo di chitarra di “Raise The Flag” sul bancone del bar, con una folta schiera di seguaci a inseguirlo. “It’s hotter than hell!” dice Joel e a ragion veduta. Si prosegue con “Cheap Wine”, fantastica, che dura circa dieci minuti, e con “Black Dog Barking”. Come previsto e già scritto in sede di recensione, anche i brani dell’ultimo album dal vivo valgono tutti gli altri in quanto a coinvolgimento e resa. Immancabili poi “No Way But The Hard Way”, la nuova e graffiante “Live It Up”, assurta subito a inno, e “Too Much, Too Young, Too Fast”. La scaletta è di primissimo livello, ma ovviamente si conclude con i brani migliori mai scritti dai quattro. Da “Runnin’ Wild” arriva l’omonimo pezzo, seguito da “Stand Up For Rock n’ Roll”. Se ne vanno dopo i saluti di rito e la promessa di tornare presto. Certo, abbiamo buttato sudore e ci siamo sentiti sporchi, luridi, senza più voce, ma felici nel nome del Rock. Questo è il prezzo da pagare per gli Airbourne dal vivo, agli altri lasciamo il teatro o l’invidia, quando cercheranno i video dello show su YouTube.