Report a cura di William Crippa
Fotografie di Francesco Castaldo
Passa anche da Milano il tour antologico Spend The Night With Alice Cooper, dal titolo pomposo e che promette davvero tanta buona musica. Sappiamo tutti di cosa Alice sia capace e proprio questo ci si aspetta stasera: grande musica, una performance strepitosa e scene di shock rock impareggiabili. Nessun gruppo di supporto, ovviamente per non mostrare lo stage prima del tempo, e dunque subito lo spettacolo di uno dei massimi capisaldi dell’hard rock mondiale. Bando alle ciance, allora, e procediamo con il racconto della serata!
ALICE COOPER
Ore 21 precise: il pubblico, che ha iniziato ad entrare alle 19 sopportando pazientemente due ore di attesa dentro il locale vista l’assenza di un supporting act, è al gran completo e carico a mille. Il palco è coperto da un enorme telo raffigurante gli occhi di Alice, telo che cade, mostrando una scenografia atroce e terribile, ricca di elementi grandguignoleschi, ma bellissima e ‘stilosa’ al tempo stesso, dopo un intro registrato di Vincent Price. La band e Cooper attaccano in maniera sobria, con qualche verso di “Welcome To My Nightmare” che muta in “The Black Widow”; i fan cantano a gran voce, ma il primo vero boato di approvazione è per “No More Mr. Nice Guy”, subito bissata dalla muscolosa “Under My Wheels”, con la band attivissima ed impegnata a correre in maniera continua da una parte all’altra del palco, riempiendo al meglio la scena. Una concreta sorpresa è “Public Animal #9”, brano minore direttamente dal 1972 e non conosciuto da tutti, per passare poi alla classicissima “Billion Dollar Babies”, con il solito lancio di dollari infilzati sulla spada brandita dal cantante; dettaglio minore, ad arricchire lo splendido stage, un colorato baule dal quale un colorato clown di volta in volta passa gli strumenti scenici necessari al frontman durante i segmenti visivi. Si torna indietro addirittura a “Love It To Death”, dal quale è presa “Long Way To Go”, che crea un grande contrasto temporale con la successiva “Woman Of Mass Distraction”, dal relativamente recente “Dirty Diamonds”. Nita Strauss rimane sola sul palco e dà vita ad un solo gradevole e non troppo da shredder, introducente una “Poison” accolta come meglio non si poteva. Alice si maschera da direttore d’orchestra per uno dei brani più articolati della prima parte della sua carriera, “Halo Of Flies”, targata 1971, dotata di una lunga coda strumentale, prima che tutto il concerto, fino a questo punto ‘sobrio’ e canonico, cambi registro e marcia con l’introduzione degli elementi scenici che da anni fanno la parte del leone nelle live performance della band. È quindi ora di una analisi approfondita di ciò che stiamo vedendo: la band suona alla grande, compatta, rodata ormai e capace di grandi performance, con una Nita Strauss che si conferma un grande animale da palcoscenico, istrionico e vistoso, e si prende di forza ogni sguardo non diretto al frontman. In grande spolvero anche Chuck Garric al basso, potente e di grande impatto, in netto contrasto con gli altri tre, Ryan Roxie, Tommy Henriksen e Glen Sobel, più votati a suonare bene che a dare spettacolo. Buoni i suoni, per un grandioso gradimento da parte del numerosissimo pubblico, vario, composto da elementi di ogni età, metallari e non, e variopinto, con moltissimi truccati come Alice, che canta, si esalta e gioisce di continuo. Ed Alice… a 68 anni non perde un colpo, vocalmente e teatricalmente, immortale nel suo essere sempre uguale a se stesso a dispetto del tempo. Terminata “Halo Of Flies”, Alice sbuca fuori dal baule con il camice macchiato di sangue ed in scena entra il macchinario del dr. Frankenstein per “Feed My Frankenstein”, durante la quale il cantante viene fissato alla macchina e si trasforma nel gigantesco mostro che canta l’ultimo ritornello vagando per il palco. Cooper prende un pupazzo rappresentante Ethyl, la donna morta che Steven, durante “Welcome To My Nightmare”, racconta di conservare in frigorifero, e la maltratta duramente durante “Cold Ethyl”, per poi ucciderla nuovamente quando questa prende vita in “Only Women Bleed”. “Guilty” e “Ballad Of Dwaght Fry” portano alla scena madre di ogni show di Alice Cooper, con il cantante legato con una camicia di forza che viene giustiziato tramite ghigliottina da una perversa e danzante infermiera psicopatica durante il medley tra “Killer” e “I Love The Dead”, quest’ultima molto allungata con tutti i musicisti a centropalco per una meritata vetrina. Alice torna in scena per il momento dei tributi, durante il quale quattro lapidi vengono mostrate sullo sfondo dedicate a Keith Moon, Jimi Hendrix, David Bowie e Lemmy, e vengono eseguite le cover di “Pinball Wizard” degli Who, “Fire” di Hendrix, il classico minore “Sufragette City” di Bowie ed una acclamatissima “Ace Of Spades” cantata al meglio da Garric. “I’m Eighteen” e “School’s Out”, arricchita da bolle di sapone e palloni pieni di coriandoli e trasformata in “Another Brick In The Wall” nel finale, portano alla pausa. L’encore prevede un solo brano, “Elected”, cantato a gran voce da tutti gli astanti, durante il quale due figuranti mascherati da Clinton e Trump prima si affrontano e poi amoreggiano, scenetta sulla quale si chiude il concerto. Un concerto che ci si poteva aspettare più lungo rispetto ai cento minuti effettivi, visto anche che il pomposo titolo del tour, Spend The Night With Alice Cooper, prometteva davvero qualcosa di più esteso. Musicalmente la band è stata formidabile ed Alice non ha perso un solo colpo durante tutto lo show, grazie anche a suoni degni. Il pubblico ha reagito al meglio, cantando e partecipando in maniera continua; ottimo il segmento cover, splendidamente supportato dai fan e ottimi i brani ormai dimenticati riproposti. Peccato l’assenza di pezzi dagli ultimi lavori o da dischi ottimi come “DaDa” o “The Last Temptation”, ma tutti gli spettatori all’uscita, sotto la pioggia, sono felici, e questo solo conta.