Report a cura di Fabio Galli
Foto di Silvia Paveri
C’era grande attesa sul ritorno in Italia degli Alice In Chains: chi se li era persi alla precedente – ed unica – data di Milano nel 2009 non ha dovuto attendere poi molto. Ben tre gli appuntamenti schedulati per questo tour europeo che ha visto la band di Seattle toccare Torino, Roma e Padova: abbiamo ancora tutti nel cuore (e nelle orecchie) lo splendido “Black Gives Way To Blue”, un comeback più che sbalorditivo che ha gettato una nuova base di partenza per la storica band. Alice In Chains: metal o non metal? Per chi da sempre è legato alle etichette l’essere nati a Seattle nel pieno dell’esplosione del grunge, il fenomeno anti-metal per eccellenza, costituisce un elemento insormontabile per la fruizione di una band come gli Alice In Chains; per chi invece bada alla sostanza, alle emozioni che solo la musica di spessore riesce a regalarti, i nostri sono un gruppo imprescindibile e che nel corso degli anni novanta ha subito un’ascesa che li ha portati ad essere una delle band più famose ed importanti del rock pesante. Nessuno rimpiazzerà mai Laney Staley anche se il nuovo arrivato William DuVall, senza pretendere nulla, si è rivelato essere una delle marce in più di questa seconda era della formazione: versatile nel suo doppio ruolo di cantante e – all’occorrenza – secondo chitarrista, è già entrato nei cuori di molti estimatori della band. Arrivati con largo anticipo alla Colonia Sonora di Collegno (TO) non possiamo che constatare la scarsa affluenza di pubblico: la vicinanza temporale della scorsa data di Milano e la scelta di non riproporre il capoluogo lombardo come luogo del concerto ha sicuramente giocato a sfavore per tutti coloro che si aspettavano una venue “centrale” per il nord Italia. Annullata la presenza di un fantomatico special guest e ritardato l’inizio del concerto alle 21.30, il primo scoglio da superare è l’attesa per l’apertura dei cancelli: alle 20 in punto siamo dentro la Colonia Sonora e, come ci era capitato in passato, non possiamo che ribadire la bontà della struttura. Ampi spazi, buona quantità di stand gastronomici (c’erano anche le caramelle…) ma soprattutto un palco degno di tale nome: non ci resta che ingannare l’attesa ascoltando la musica diffusa dagli altoparlanti e dare una sbirciata alla bancarella del merchandise ufficiale (onesto il prezzo, 20€ per le magliette). Se nelle ore antecedenti all’apertura dei cancelli qualche goccia di pioggia ha iniziato a rendere un po’ nervosa l’attesa, negli istanti precedenti l’inizio dell’evento si ha un netto peggioramento delle condizioni meteo: dopo aver dato uno sguardo dubbioso al cielo le luci si spengono e l’audio viene bruscamente interrotto. Ci avviciniamo alle prime file per gustare da vicino la performance.
ALICE IN CHAINS
Nell’avvicinarci al palco notiamo che fortunatamente la presenza del pubblico è notevolmente aumentata, segno che nessuno o quasi nutriva interesse per i gruppi di supporto: in men che non si dica Sean Kinney e Mike Inez irrompono sul palco seguiti da Jerry Cantrell che manda letteralmente in visibilio tutti i presenti. E’ il basso di Mike a dare inizio alle danze con un suono che colpisce forte come un pugno in pieno volto: con l’arrivo di William DuVall non manca più nessuno e una quasi scontata – meteorologicamente parlando – “Rain When I Die” segna l’inizio di una serata memorabile. Il continuo alternarsi al microfono di DuVall e Cantrell, i riff ipnotici ed i ritmi gravi partoriti dalla coppia ritmica comprimono le file e scaldano gli animi dei presenti: sarà il tempo inclemente ma il pubblico, anziché dimenarsi come da copione, è suggestionato dal continuo alternarsi di pezzi che tra passato e presente hanno fatto la fortuna della formazione. I ritmi granitici di “It Ain’t Like That”, “Again”, l’incalzante ritornello del tormentone “Check My Brain” ed i toccanti momenti acustici di “Your Decision” e “No Excuses” creano un chiaro-scuro ammaliante che fa muovere le teste e che vede un pubblico partecipe nell’intonare versi e ritornelli delle canzoni. Non mancano ovviamente i grandi classici del primo periodo della band, quell’acerbo e spiazzante “Facelift” ed il pluridecorato “Dirt”, alternati al recente presente: poche le pause concesse, limitate a qualche scambio di battute con il pubblico ed il divertente siparietto che ha visto l’accenno di “Battery” dei Metallica. William DuVall si è dimostrato senza alcun dubbio un buon frontman: caldo ed ispirato dietro al microfono quanto grintoso e convincente nelle parti di chitarra, non ha lesinato energie per tutto lo show. Il finale è un continuo crescendo di emozioni con quelle melodie tristi miste all’incedere lisergico che ha reso uniche le composizioni dell’ensemble di Seattle: la commovente “Down In A Hole”, “Angry Chair” ed il wah wah ipnotico di una “Man In The Box”, cantata all’unisono da tutti i presenti, suggellano la chiusura dello show… poteva finire così? Dopo qualche coro ed incitamento del pubblico gli Alice In Chains tornano ai loro posti intonando una struggente “Would?” e una pluri-acclamata “Rooster”. Dopo un caldo ringraziamento a tutti i presenti, un lancio generoso di plettri e delle immancabili bacchette della batteria, ci svegliamo dopo un’ora e quarantacinque minuti totalmente fradici ma felici di aver presenziato ad un evento che difficilmente può essere raccontato in parole.
SETLIST
1) Rain When I Die
2) It Ain’t Like That
3) Again
4) Check My Brain
5) Them Bones
6) Dam That River
7) Your Decision
8) No Excuses
9) We Die Young
10) A Looking In View
11) Rotten Apple
12) Lesson Learned
13) Acid Bubble
14) Down In A Hole
15) Angry Chair
16) Man In The Box
Encores:
17) Would?
18) Rooster