A cura di Maurizio “MorrizZ” Borghi, foto di Francesco Castaldo
Non possiamo inserire la storia degli Alice In Chains nella cartella delle sterili reunion che sembrano imperversare senza limiti, operazioni nostalgiche vuote di reale contenuto. C’era forse un ombra di dubbio quando li vedemmo nel giugno 2006, ancora in rodaggio dopo anni di inattività. Dopo un capolavoro quale “Black Gives Way To Blue” però i fari sono accesi e l’attenzione verso la formazione di Seattle è altissima, tanto da esaurire i biglietti disponibili sia per la location programmata inizialmente per il concerto (il capiente Alcatraz di Milano), sia per il Palalido, dove il concerto è stato spostato per accontentare una domanda sempre crescente. Nessun gruppo di supporto, solo un’attesa che cresce come si allunga la fila davanti al palazzetto dello sport meneghino…
ALICE IN CHAINS
Molti vogliono sapere come se la cava davvero il nuovo arrivato William DuVall, i più desiderano rivivere le emozioni di quindici anni fa con le note del gruppo, qualcuno pensa anche al concerto dell’altra leggendaria band di Seattle che si sta per esibire nella stessa città di Milano (i Melvins!), desiderando il dono dell’ubiquità. Tutti i pensieri che annebbiano le menti dei presenti sono però presto cancellati dall’entrata degli Alice In Chains nella cornice del Palalido, location inusuale anche per chi, nella capitale meneghina, di concerti ne ha visti davvero tanti. Ma nemmeno chi ha spiato la scaletta su internet poteva sperare in un filotto iniziale tanto superiore alla più rosea previsione: “Rain When I Die” consegna un DuVall impressionante per potenza lirica, pulizia, estensione, tenuta di palco e somiglianza al compianto Layne Staley, “Them bones” fa esplodere l’entusiasmo nella sua rabbia claustrofobica, “Dam That River” ed “Again” fanno letteralmente prostrare chiunque dinanzi al ritrovato affiatamento di una formazione che gira a livelli mostruosi. Tenendo tutti i presenti sul palmo della mano anche la toccante “Your Decision” e l’elettrica “Check My Brain”, singoli dell’ultimo album, sembrano dei classici della band, e vengono accolte in maniera strepitosa, così come la successiva doppietta estratta dal debutto Facelift. Forse ci potrebbero essere migliori strutture per accogliere uno spettacolo di tale intensità emotiva (il palazzetto fa rimbombare i suoni), ma è chiaro come gli Alice In Chains puntino in maniera manifesta al coinvolgimento del pubblico, come dimostra la produzione leggera ma curata – solo uno schermo dove vengono proiettate immagini di sottofondo, in bianco e nero, che non distraggono mai troppo lo spettatore, e luci d’atmosfera. Il prevedibile set acustico che inframezza il concerto, composto da “Down In A Hole” (da brivido), “No Excuses” e “Black Gives Way To Blue”, ha forse escluso parecchi capolavori che molti si aspettavano in questa sede ma ha il pregio innegabile di onorare la memoria di Layne Staley, concedendo al pubblico l’opportunità di gridare il proprio amore. Impossibile trovare un calo emotivo e di performance questa sera, vuoi per il coinvolgimento del pubblico vuoi per la spontaneità della formazione, che dimostra di ‘sentire’ davvero l’empatia e di divertirsi in maniera onesta davanti a vecchi e nuovi fan: così tra “We Die Young” e “Man In The Box” riesce a spiccare anche l’ottima “Acid Bubble”, segno ulteriore di come l’ultimo capolavoro discografico della band, che vedrete impazzare in ogni classifica di fine 2009, sia stato acclamato in maniera unanime. Anche se è passata più di un ora e mezza è già tempo di lasciare il palco, per finta, e tornare tra i meritati applausi a chiudere con “Lesson Learned”, “Would” e “The Rooster”. Dopo di questo una lunghissima serie di saluti e moltissimi plettri e bacchette gettati alle prime file, a dimostrazione della gratitudine della formazione verso i fedelissimi fan. Tirando le somme davvero nessuno può ritenersi deluso dalla serata: DuVall si è dimostrato una scelta superlativa per traghettare la formazione nel futuro prossimo, la sua voce non è calata un minimo nelle due ore di esibizione (al contrario di quella di Cantrell), ha armonizzato perfettamente e la sua tenuta di palco è sempre stata elegante e pregna di partecipazione. Cantrell, visibilmente invecchiato, è rimasto forse affaticato verso il finale ma, in maniera signorile ed umile, ha evitato di diventare il padre-padrone della band, dando ad ognuno il proprio spazio. Kinney e Inez sono stati onesti come sempre, e vederli ancora uniti sullo stesso palco scalda davvero il cuore. Concludendo possiamo ulteriormente affermare, con rinnovata cognizione di causa, che gli Alice In Chains stanno scrivendo delle nuove pagine della propria storia sempre a livelli impensabili, e hanno ancora qualcosa da dire. Jerry ha promesso un ritorno a breve, non mancate.