Report di Maurizio ‘morrizz’ Borghi
“Steppin Over Roaches 2023” è un tour che porta in Europa per una ventina di date un quartetto metalcore dalle sonorità moderne ed alternative, di quelli che raramente passano per il nostro paese (sfortunatamente).
Gli headliner sono gli Alpha Wolf, band proveniente dalla Tasmania con due album all’attivo e un parco ascoltatori in netta crescita, che si è fatta conoscere dalle nostre parti grazie al noto festival itinerante “Impericon Never Say Die” e ad un tour con gli Emmure. Con loro i King 810, formazione sempre fuori dagli schemi che prosegue il suo tragitto indipendente, i francesi Ten56. e i neozelandesi Xile.
Sarà che è venerdì sera, sarà che il calendario concerti non è particolarmente affollato per queste coordinate, dobbiamo comunque notare che fa piacere vedere il Legend Club affollato sin dall’immediato dopo cena, a testimonianza del fatto che forse, ultimamente, per questo genere musicale c’è più sete di quanto si pensi, anche dalle nostre parti.
XILE
Prima volta in europa per i mastini di casa Beatdown Hardwear: coerentemente con la proposta dell’etichetta tedesca, gli Xile rappresentano il lato più duro e spigoloso del pacchetto, con una proposta prettamente hardcore e nettamente più acuminata rispetto alle band in cartellone.
L’ugola ruvidissima del frontman intona con entusiasmo “Diamond Eyes” per poi gettare sul pubblico una manciata di estratti dal buon debutto “I Am Your God”, su coordinate simili al beatdown di scuola europea mischato con il death più basilare ed ignorante, insieme a qualche guizzo più moderno e tamarro. Nonostante non siano proprio dei veterani, la band dimostra di sapere il fatto suo: pezzi brevi, energia ed entusiasmo rendono questo antipasto perfettamente adatto alla serata. Bravi.
TEN56.
Delle quattro band che suoneranno stasera possiamo identificare i Ten56. come il fenomeno più virale ed interessante: con soli due EP all’attivo, i francesi, guidati dall’ex Betraying The Martyrs Aaron Matts e dal bassista dei Novelists Nicolas Delestrade, si stanno espandendo a macchia d’olio, dopo il difficile periodo pandemico, con uno stile apocalittico e uno swag che estremizza la formula dei maestri Emmure.
In “Diazepam” e “Saiko” il mix non rende giustizia all’amalgama dalle accordature ultraribassate del gruppo, i volumi sembrano troppo bassi e le voci appaiono distaccate; il pubblico è però comunque presente, riempie la sala e risponde benissimo. Si deve arrivare a metà set, dove si concretizzerà qualche aggiustamento tecnico, per apprezzare la violentissima “Traumadoll” e il suo rap aggressivo.
Superato l’ostacolo di mix e volumi sballati, anche la melodica “RLS” trova una giusta e degna riproposizione, giusto per dar tregua alle orecchie e riprendere a martellare con “Ender”, “Boy” e la conclusiva “Kimo”. I musicisti si allacciano bene alle basi registrate che, oltre ai soliti spunti industrial, arricchiscono il contesto con cenni funk e momenti da colonna sonora horror. Un bel set caotico, teso e stordente, capace di sottolineare il talento del combo nu-deathcore francese glorificando le tracce dell’ottimo debutto (sono due EP, ma possiamo considerarlo tale) “Downer”.
KING 810
Non è una novità che chi scrive sia un grande fan dei King 810. La mostruosa e divisiva creatura di Flint si porta dietro anche stasera la propria fetta di pubblico affezionato e, nonostante siano passati dalle nostre parti lo scorso maggio, appare evidente che per molti l’attesa è palpabile.
Preceduti da chitarrista e batterista mascherati, Eugene Gill e David Gunn fanno il loro ingresso sulle note di “Brains On The Asphalt”, pronti a dimostrare la validità dell’ultimo EP “K5: Follow My Tears”.
Il concerto vedrà alternarsi incontestabili mine come “Fat Around The Heart”, “Alpha & Omega” e “Kill Em All” a chicche più recenti, confermando la solidale e prolifica unione tra Gill e Gunn anche dal vivo e l’ottima prova dei musicisti mascherati, batterista su tutti – anche se stasera faremo fatica a vederlo in quanto totalmente nascosto dal fumo.
Il carismatico David ha dismesso il lato teatrale messo in scena l’anno scorso (dove per alcuni pezzi si è travestito da Boogeyman) e come al solito ha portato sul palco il caratteristico personaggio totalmente immerso nella propria esibizione, cantando con esubero di emozioni ma sempre ad occhi chiusi e del tutto distaccato dai presenti, verso cui non verrà proferita una singola parola.
Male questa volta la resa sonora, in più occasioni il tallone d’Achille di una band che pur mantenendo il proprio status indipendente si dimostra molto professionale in tutto, ma che non può continuare ad ignorare questa pecca: da più parti della sala si sente solo la batteria, con chitarre spesso inintelligibili e la voce a basso volume. Altro difetto maiuscolo sarà la brevità di un set, forse tagliato per i citati problemi tecnici, ma che visto il posizionamento in cartellone lascia interdetti molti tra i presenti. L’energia e la classe del duo restano fuori discussione, trascinando comunque lo spettacolo e infiammando i presenti, ma sarebbe ipocrita ignorare il problema e non sperare in un aggiustamento definitivo.
ALPHA WOLF
Mantenendo una precisione incredibile sugli orari previsti arrivano infine i Diavoli della Tasmania, che andranno ad esibirsi davanti ad una sala davvero bella piena, causando meraviglia e stupore in primis a loro stessi, visto che andranno a ringraziare più volte il pubblico in maniera sentita ed incredula, a testimonianza di come i booker del “Never Say Die!” dopo svariati anni ci vedano ancora lungo con le proprie scelte.
Il set ha inizio con “60cm of Steel”, che intervallata da “Creep” rappresenta insieme a “Black Mamba”, “Hotel Underground” e “Sub-Zero” l’unico scostamento dai brani del fortunato “A Quiet Place To Die”, al quale verrà dedicata tutta la seconda parte della scaletta.
Il nu-metalcore degli Alpha Wolf è davvero energico e frizzante, con ganci azzeccati e un riffing molto fresco e divertente: com’è giusto che sia la sala rende l’energia proveniente dal palco, cantando e movimentando le prime file a suon di mosh. Dinamici e scattanti gli Alpha Wolf rendono bene sia nei pezzi più melodici come “Bleed 4 you” che in quelli più sanguinari come “Ultra-Violet Violence” e “Restricted (R18+)”, dimostrando costantemente una personalità definita, qualità più unica che rara di questi tempi, in grado anche di spiegare e giustificare il successo che i ragazzi stanno raccogliendo tanto in UK quanto in Europa, Australia e Stati Uniti fino a superare i 700mila ascolti mensili su Spotify.
E’ chiaro come le attenzioni del pubblico siano tutte per l’energico ed emozionato frontman Lochie Keogh e il pittoresco hypebeast Sabian Lynch, che con la sua classica mascherina in volto farà conoscenza con la scivolosa pavimentazione del palco del Legend cadendo rovinosamente, senza però smettere mai di suonare. La scaletta scorre in maniera fluida fino al rocambolesco finale di “Akudama”, sicuramente la hit del gruppo ad oggi, che chiude tra gli applausi questo piccolo trionfo di data, capace di dare qualche speranza per i sostenitori di quel sound contemporaneo che spesso salta l’Italia a piè pari.