25/11/2022 - ALTER BRIDGE + HALESTORM + MAMMOTH WVH @ Mediolanumforum - Assago (MI)

Pubblicato il 28/11/2022 da

Report e foto di Riccardo Plata

Dopo le cancellazioni dell’ultimo periodo, dagli Anthrax agli Shinedown passando per quella tutto sommato più prevedibile dei Godsmack, temevamo anche il ritorno degli Alter Bridge fosse a rischio, tra aumenti della benzina e calendari intasati dal post-Covid. Per fortuna, complice probabilmente una fama più consolidata nel vecchio continente che in patria, così non è stato, e possiamo anzi dire che la data dei Milano sembra essere una delle più riuscite del tour europeo, a riprova di come Myles e soci siano amati nel Bel Paese. A distanza di tre anni ritroviamo dunque i quattro dove li avevamo lasciati, al Forum di Assago, ma con un paio di differenze sostanziali: innanzitutto cambia la band spalla (e qui si cade in piedi, passando dai già citati Shinedown agli Halestorm), e poi c’è un nuovo disco che, dopo i meno amati “The Last Hero” e “Walk The Sky”, sembra aver dato nuova linfa vitale al quartetto di Orlando, anche in termini di proposta e freschezza del loro misto di rock, metal e venature post-grunge. Ma andiamo con ordine e partiamo, quando sta per scattare l’ora dell’happy hour, con i Mammoth WVH, pachidermico gruppo d’apertura le cui iniziali poste nel monicker dovrebbero suonare familiari anche a chi finora ne ignorava l’esistenza…..

MAMMOTH WVH
Con qualche minuto di anticipo sulla tabella di marcia salgono sul palco i Manmoth WVH, band che i lettori più attenti avranno già associato fin dalla sigla a Wolfang Van Halen, ovvero il figlio del compianto Eddie. Dopo essersi fatto le ossa come bassista dei Tremonti (insieme al batterista Garrett Whitlock) il buon WVH ha da poco rilasciato l’omonimo album di debutto, quindi non stupisce trovarlo stasera ad aprire per la band principale del suo precedente datore di lavoro. Per chi non avesse familiarità con la proposta del corpulento cantante/chitarrista, sulla buona strada per sfidare Dino Cazares in quanto a stazza fisica, immaginate un hard rock con qualche venatura stoner, decisamente più quadrato rispetto ai virtuosismi sfrenati dei Van Halen ma carico di forza ritmica grazie alla presenza di ben tre chitarre e non privo di qualche gustosa parentesi solista. Il tempo a disposizione non è molto, ma con un solo album all’attivo mezz’ora è sufficiente per presentare i migliori estratti come “Mammoth”, “Epiphany” o “Distance”, accolti in maniera entusiasta da un pubblico già carico almeno nelle prime file. Qualche parola in italiano del corpulento omonimo di Mozart, così come le pose dei più navigati Ronnie Ficarro (basso) e Frank Sidoris (chitarra, già visto in azione con Slash e i suoi Conspirators), contribuiscono ad alzare il livello d’ingaggio della platea, al punto che in occasione della conclusiva “Don’t Back Down”, quasi una jam session live, la temperatura si è alzata e non solo per l’effetto stalla. Forse un cantante dotato di una timbrica più particolare potrebbe contribuire a rendere più agile il Mammoth di WVH, ma per il momento possiamo confermare anche dal vivo il talento del figlio d’arte e poli-strumentista, in attesa di un secondo album già in lavorazione.

HALESTORM
Chi scrive ha avuto modo di assistere ad ogni calata milanese degli Halestorm da dieci anni a questa parte, nondimeno è sempre un piacere vedere in azione la band dei fratelli Hale soprattutto in un palco grande come quello del Forum, dove peraltro si erano già esibiti nel 2013 sempre di spalla agli Alter Bridge. A pochi mesi di distanza dall’uscita di “Back From The Dead” l’attenzione è giustamente dedicata all’ultimo album e così, quando “The Stepple” accende la miccia, i quattro dimostrano di essere più vivi che mai anche dopo un paio d’anni di assenza forzata. Come da copione la scena è dominata dai fratelli Hale: se Lzzy calamita gli sguardi dei maschietti col suo look come sempre aggressivo (stavolta però niente zeppe ma un più comodo paio di stivali) allo stesso modo è impossibile non notare il fratellino dietro le pelli, tra la maglietta giallo fluo e i numeri da giocoliere con le bacchette lanciate in aria a più riprese durante l’esecuzione della successiva “Love Bites (So Do I)”. Oltre all’ultimo arrivato, in scaletta trovano spazio anche un paio di classici dall’omonimo esordio del 2009 (“I Get Off” e “Familiar Taste Of Poison”) intervallati dalla più recente “Mine” in cui la frontwoman abbandona momentaneamente la sua Gibson per potersi muovere più liberamente incitando il pubblico a più riprese. Il clou però arriva nella seconda metà dello show con una “Amen” in versione XXL, dove i quattro fanno parlare gli strumenti in una jam da leccarsi le orecchie, prima dell’immancabile drum solo di Arejay (un po’ più corto del solito, ma con la consueta chiusura ilare con le bacchettone giganti stavolta fatte ruotare come fossero delle normali bacchette 7A). La pausa serve evidentemente anche a Lzzy per riprendere fiato, dato che la tripletta finale composta dalle più recenti “Back From The Dead”, “Wicked Ways” e soprattutto l’extended version di “I Miss The Misery” (quasi dieci minuti, di cui circa la metà strumentale) è un esplosione di energia che fa perdere il fiato anche al pubblico. Quando si accendono le luci l’impressione di tutti è di aver assistito ad uno degli show più esplosivi di sempre degli Halestorm: nove pezzi (senza ballad) per un’ora di puro rock’n’roll a tutto volume, con una Lzzy carica come mai l’avevamo vista: sarà dura per chi viene dopo fare meglio, anche se gli Alter Bridge non sono certo gli ultimi arrivati…

Setlist:
The Steeple
Love Bites (So Do I)
I Get Off
Mine
Familiar Taste of Poison
Amen
Drum Solo
Back From the Dead
Wicked Ways
I Miss the Misery

ALTER BRIDGE
Tolto l’ultimo telo, il palco racchiuso da cinque pannelli led è pronto ad accogliere gli headliner, che come da copione si presentano sul palco alle ventuno in punto. Come ci aveva anticipato il bassista Brian Marshall nell’intervista svolta qualche mese fa, la setlist è un misto tra i vecchi classici e i nuovi pezzi, ma ad onor del vero ci aspettavamo qualcosa in più dall’ultimo album, mentre a rappresentare “Pawns And Kings” stasera sono solo tre brani (“Silver Tongue” in apertura, “Sin After Sin” poco dopo e la title-track a metà show, forse la migliore come resa dal vivo grazie anche agli effetti speciali tra fumogeni e pedoni che rotolano sulla scacchiera del video wall). Se la scelta d’ignorare quasi completamente i suoi predecessori (la sola “Wouldn’t You Rather” da “Walk The Sky”, niente da “The Last Hero”) è tutto sommato comprensibile, anche se poco coraggiosa, si capisce come quasi metà della scaletta sia incentrata sui primi due storici lavori, con “Fortress” e “AB III” subito a ruota. Chiarito questo aspetto, uno show degli Alter Bridge resta comunque sempre un piacere per le orecchie e per gli occhi, con un’esecuzione impeccabile a livello musicale (al netto di qualche suono non ottimale in alcuni arpeggi, almeno in zona mixer) e i tre in piedi sul palco capaci d’ipnotizzare le prime file ognuno a suo modo; Myles Kennedy con il suo carisma da santone, Mark Tremonti e Brian Marshall invece sparandosi pose come i supereroi dei film Marvel. Accanto alle immancabili “Metalingus”, con il pubblico fatto accucciare come fa Corey Taylor con “Spit It Out”, e “Blackbird”, accompagnata da diecimila mani che battono all’unisono prima che il tempo si fermi per il solo, le sorprese sono il ripescaggio di “Shed My Skin” (che non veniva suonata dal 2017, e in Italia mancava dal 2005) e la versione acustica di “In Loving Memory”, resa ancora più emozionante da uno sfondo tipo nevicata di Natale mentre le luci dei telefonini fanno le veci degli accendini digitali. Un altro momento natalizio è quando, prima dell’esecuzione di “Isolation”, Tremonti annuncia che premierà chi farà più casino regalando la sua chitarra, consegnata alla fine del brano ad una giovane fan (Eleonora, nove anni, presente nelle prime file con mamma e cugini): un bel gesto per il guitar hero italoamericano, da sempre attento ai più piccoli, protagonista poi anche dietro al microfono con “Waters Rising”. Finale come da tradizione in crescendo con “Cry Of Achilles” e soprattutto “Open Your Eyes”, dove Myles sembra dirigere l’orchestra di un pubblico intento a cantare a gran voce il ritornello alzando il pugno al cielo come in una messa pagana. A fine serata difficile dunque proclamare un vincitore: da un lato gli Halestorm ci hanno conquistato con la loro energia e stupito con un set ricco di sorprese, dall’altro gli Alter Bridge hanno fatto valere il loro mestiere e regalato alcune esclusive al Belpaese, chiudendo di fatto con un pareggio in cui a godere sono soprattutto i partecipanti a queste tre ore abbondanti di ottima musica.

Setlist:
Silver Tongue
Addicted to Pain
Ghost of Days Gone By
Sin After Sin
Before Tomorrow Comes
Shed My Skin
Wouldn’t You Rather
Isolation
Waters Rising
Pawns & Kings
In Loving Memory
Metalingus
Blackbird
Rise Today

Cry of Achilles
Open Your Eyes

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