10/03/2024 - AMARANTHE + DRAGONFORCE + INFECTED RAIN @ Live Music Club - Trezzo Sull'Adda (MI)

Pubblicato il 16/03/2024 da

Report di Riccardo Plata
Foto di Simona Luchini

Una domenica sera all’insegna della sobrietà. Mentre i redivivi Club Dogo fanno sold-out al Forum, allo stesso modo la cassa del Live Club chiude in anticipo i battenti visto il tutto esaurito fatto registrare da Amaranthe, Dragonforce ed Infected Rain, nonostante tutte e tre le band siano da sempre di casa da queste parti.
Troppo ghiotta l’occasione del tour da co-headliner per i primi due nomi storici con un supporter in ascesa come gli Infected Rain, appunto, e il fatto che tutti e tre i gruppi abbiano nuovi album usciti tutti a distanza di un mese rende la serata ancora più interessante, anche se come avremo modo di vedere la quantità di nuovi pezzi sulle setlist di stasera sarà molto diversa…

Causa difficoltà nel trovare parcheggio, e complice una partenza in leggero anticipo rispetto al programma ufficiale, raggiungiamo un Live Club già imballatissimo quando gli INFECTED RAIN sono a circa metà del loro show.
Un vero peccato, perchè nella mezz’ora abbondante a loro disposizione la band di origine moldava dimostra di essere davvero in palla, e i cinque pezzi estratti dall’ultimo album “Time”, su cui pure in sede di recensione siamo stati un po’ severi, dal vivo sprigionano una potenza assoluta. La tripletta “DYING LIGHT”, “NEVER TO RETURN” e “BECAUSE I LET YOU” entra di diritto negli highlight della serata, e Lena Scissorhand si conferma una frontwoman di razza calamitando sguardi e arti di tutto il pubblico, facilitata anche dall’interazione in italiano con cui incita gli astanti sulla conclusiva “Sweet, Sweet Lies”.
Notevole anche l’apporto scenico del chitarrista Vidick, che rispetto alle pose più ingessate di molti colleghi predilige un approccio più ‘animalesco’ in pieno stile nu metal, così come la nostra Alice Lane, new entry al basso, completa un pacchetto di mischia in grado di coniugare presenza scenica e groove in quantità industriale. Vista la potenza dei nuovi pezzi e la reazione calorosa del pubblico, li aspettiamo al varco per uno show da headliner che siamo certi non tarderà ad arrivare.
Dopo un cambio palco degno di un headliner, necessario per montare sulle assi del Live Club i giganteschi cabinati che da qualche anno accompagnano l’esibizione dei DRAGONFORCE, alle otto in punto l’allegra combriccola capitanata da Herman Li si presenta con gli immancabili occhiali fluorescenti sulle note supersoniche di “Revolution Deathsquad” – seconda traccia del seminale “Inhuman Rampage”, ormai in procinto di spegnere venti candeline – con i tre manici e la doppia cassa impegnati ad una sfida di velocità in cui sembra quasi che la bassista Alicia Vigil suoni in slow motion.
Tra facezie di vario genere, dai cannoni sparacoriandoli alle plettrate con la lingua, per tacere della scenografia con i videogame anni Ottanta proiettati con l’avanti veloce, si potrebbe accusare i Dragonforce di essere diventati delle macchiette, ma a pensarci bene non è che un naturale percorso evolutivo partito una ventina d’anni fa con il successo di “Guitar Hero III” e allineatosi col tempi ai dettami del cosiddetto ‘cartoon metal’ di moda oggigiorno, in cui nerd è diventato sinonimo di cool.
In questo contesto festaiolo anche canzoni francamente trascurabili come le nuove “Power Of The Triforce” (omaggio a Zelda che ricorda alla lontana “I Want Out”, mentre in mezzo al pubblico viene lanciato un pollo peluche), o i synth rubati agli Amaranthe della più danzereccia “Doosmday Party”, assumono un loro perché, anche se non reggono minimamente il confronto con le più datate “Soldiers Of The Wasteland” e “Fury Of The Storm” in cui Herman ‘tendini di gomma’ Li sfoggia tutte le sue doti da Malmsteen tiktoker.
Nel mezzo c’è spazio per presentare il batterista Gee Anzalone, allievo torinese di Tullio De Piscopo e maestro della doppia cassa (acclamato per par condicio al grido di “nudo nudo”) prima di calare un po’ il ritmo con “The Last Dragonborn”, unico momento di tregua prima del gran finale.
Accompagnati da due teste di drago gonfiabili, negli encore Marc Hudson e soci si esibiscono prima nella cover della celeberrima “My Heart Will Go On” (colonna sonora del blockbuster “Titanic”) e poi in una coraggiosa rilettura di “Wildest Dream” di Taylor Swift con tanto di circle pit, in un’operazione pericolosamente al limite del cringe.
Il finale con l’iconica “Through The Fire And The Flame” congeda nel migliore dei modi uno spettacolo ‘over the top’ sotto ogni punto di vista, per un’ora e un quarto ad alta intensità che ha saputo intrattenere tutto il locale, comprese le balconate, la cui resistenza stasera è stata messa a dura prova.
Dai tre chitarristi ai tre cantanti, tocca infine agli AMARANTHE tenere alto l’entusiasmo di una serata fin qui pressoché perfetta, ma già dall’impostazione del palco (decisamente più minimale di quello dei Dragonforce, con solo un telo e tre mini pedane) si capisce che gli headliner non avranno vita facile.
I timori trovano presto conferma non appena parte “Fearlesss”: sarà lo schieramento con il trittico al microfono in prima fila o la scarsa interazione con il pubblico durante i primi pezzi, ma l’impressione è quella di assistere ad un musical dove gli strumentisti sono un mero contorno e le basi registrate gonfiano il wall of sound, come ad esempio avviene con  le pompose orchestrazioni di “Damnation Flame”.
Tra i tre cantanti spicca soprattutto l’ultimo arrivato Mikael Sehlin, mattatore di “Digital World” e “Maximise” con i suoi scream, mentre appare metaforicamente infreddolita Elyze Ryd, chiusa nel suo cappotto all’inizio e più distaccata del solito, se pur sempre professionale nell’esecuzione.
Con “PVP” finalmente la quarta parete si rompe aizzando un po’ il pubblico, ma l’effetto più da teatro che da concerto metal permane sia durante l’esecuzione di “Crystalline” – quasi un duetto da film Disney tra Elyze e Nils Molin – che di “The Catalyst”, dove i tre entrano escono a turno dalla mannequin challenge, con una sequenza evidentemente studiata ma che pecca di naturalezza.
In tutto ciò l’elemento più coreografico è paradossalmente il bassista Johan Andreassen, libero di dimenarsi sul palco come un ossesso, e per fortuna verso metà show il simil rap di “Interference”, i synth truzzi di “Re-Vision” e i breakdown di “Boom” restituiscono l’immagine più caciarona degli Amaranthe, facendo scapocciare il pubblico pur senza scatenare la bolgia dei due show precedenti.
Avvicinandosi alla fine la band sembra finalmente sciogliersi, e così dopo una commovente versione di “Amaranthine”, introdotta dal mastermind Olof Mörck al piano e con cambio d’abito di Elyze, il momento amarcord procede con “The Nexus” prima dei bis con “Archangel” (lanciata da una sfida a distanza con Monaco su chi farà più casino, cui il pubblico giustamente risponde intonando il “po-po-po” dei campioni del mondo), il mash-up dei Queen di “We Will Rock You” (“That Song”) ed infine “Drop Dead Cynical”.
Non sappiamo se sia stata una serata giù di tono (soprattutto per Elyze nella prima metà dello show) o altro, sta di fatto che Infected Rain e Dragonforce ci hanno convinto stasera più degli Amaranthe, autori di una prova dignitosa ma non particolarmente calorosa.

INFECTED RAIN

DRAGONFORCE

AMARANTHE

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