07/08/2017 - AMON AMARTH + ARCH ENEMY @ Area Concerti Majano - Majano (UD)

Pubblicato il 15/08/2017 da

Report a cura di Nicola Merlino

Per la gioia di tutti i metalhead del Triveneto, il Festival di Majano continua a portare nel cuore dell’estremo Nordest italico grandi nomi internazionali del panorama hard & heavy, inserendoli quest’anno nella nuova kermesse del Summer Days in Rock, nome non proprio ispirato ma che già dal suo annuncio ha calato dei veri assi. Il ‘day one’ infatti prevede un incontro da urlo tra pesi massimi della scena melodeath scandinava: da una parte l’implacabile drakkar dell’orda vichinga di Odino, dall’altra i teoreti della lotta anarco-chitarristica al sistema – naturalmente stiamo parlando di Amon Amarth e Arch Enemy! Sebbene nell’epoca di Wikipedia sia ancora comodo catalogare queste band nello stesso schedario, è chiaro anche ai profani come interpretazione, immagine, tematiche, cromosomi e percorsi musicali le pongano agli antipodi del genere. Ciò che le accomuna è invece il fatto di poterle inquadrare oggi, dopo oltre vent’anni di carriera, ai rispettivi top di popolarità mediatica. La scalata che gli Amon Amarth hanno compiuto verso i piani alti dello stardom è stata graduale quanto perentoria. Album dopo album, il quintetto di Stoccolma ha saputo mantenere una granitica coerenza stilistica di facciata, mentre procedeva un graduale lavoro di cesello sugli spigoli di una proposta musicale sempre più orientata verso i lidi del classic metal. Strategia vincente che ha permesso di accrescere una fanbase tanto affiatata quanto rumorosa, traghettandoli attraverso spettacoli mastodontici verso la vetta delle gerarchie dei festival europei, questo anche grazie ad un occhio sempre più acuto per gli affari. D’altro canto, se c’è una band che negli ultimi anni ha saputo animare i box dei commenti nelle webzine di tutto il mondo, quella sono proprio gli Arch Enemy. Il triennio passato dall’uscita di “War Eternal” non è bastato a placare le discussioni tra nostalgici ed entusiasti del nuovo corso, dei ‘Team Angela’ vs. ‘Team Alyssa’ vs. ‘Team Liiva’, le preoccupazioni su Loomis e quante bollette abbia accumulato, i fini interventi tecnici dei connoisseur della bellezza femminile, ‘e intanto Amott keffaaaa?’. Morale della favola, l’effetto toccasana profuso dall’ingresso di Alyssa White-Gluz non ha ancora esaurito il suo hype e alla vigilia dell’uscita del nuovo album “Will to Power” è tutto grasso che cola. La carne al fuoco è molta ma, al di là delle chiacchiere, l’unica cosa che importa è ciò che queste due formazioni hanno in serbo per noi in questa occasione: sarà un compitino di qualità altalenante o una perentoria dimostrazione di forza che spazzerà via ogni scetticismo? È il momento di scoprirlo.


ARCH ENEMY

Alle 21.00 in punto, per chi si è già premurato di superare il collo di bottiglia dei controlli, risuonano le note inquietanti di “Tempore Nihil Sanat” sulle quali fanno ingresso ad uno ad uno gli Arch Enemy: ultima tra loro, il piccolo tornado azzurro Alyssa, che suona la carica sul veloce riff iniziale di “The World is Yours”, il nuovo singolo che ha debuttato in concerto da sole due date e al quale la cura live sembra giovare enormemente, togliendo gli eccessi di produzione che alla premiere ricordavano la sigla di un anime. Non passa molto prima che ci si renda conto di quale tipo di performance stia prendendo forma; la setlist ingrana la quarta con il cavallo di battaglia dell’era Gossow “Ravenous” e la recente “War Eternal” mentre la platea si riempie e inizia a farsi sentire. La forma del quintetto multibandiera appare smagliante, una macchina da live ben oliata dove tutto ticchetta al momento giusto: la sezione ritmica di Daniel Erlandsson e Sharlee D’Angelo si è cementata assieme alla perfezione assicurando le fondamenta e la spinta rabbiosa necessaria alla masterclass chitarristica del tag team Amott/Loomis. I due axeman intrecciano strutture e melodie con la scioltezza dell’esperienza che li contraddistingue e, sebbene il mastermind di casa AE mantenga la posizione di chitarra alfa anche fuori dalla sala di registrazione, Loomis sembra essere il meno preoccupato del fatto di non poter sprigionare il suo pieno potenziale, dimostrando una volta di più di essersi amalgamato alla perfezione nella squadra grazie alla sua classe sopraffina. Il concerto entra nel vivo con una ponderata alternanza di vecchio e nuovo, “My Apocalypse”, “You Will Know my Name”, “Under Black Flags We March” fino a quando la frontwoman prende la parola per introdurre “As the Pages Burn”, canzone che ispira il titolo del live Dvd uscito lo scorso marzo e dell’attuale leg del tour. Un momento di consigli per gli acquisti che permette alla band di rifiatare, ma che in definitiva prelude all’acme musicale del set con un grande botta e risposta di sei corde, e sono fuochi d’artificio. Nonostante l’arsenale strumentale schierato sul palco, è proprio Alyssa la vera padrona del palco bardato da bandiere nere: la vocalist – per l’occasione fasciata in una tuta uscita probabilmente dai costumi di scena di Alien vs. Predator – è una tempesta che imperversa sullo stage mentre i caratteristici capelli color bagnoschiuma vengono frustati in ogni direzione, catalizzando l’attenzione di un pubblico che intrattiene, ammaestra e comanda con un gesto delle braccia e qualche frase mirata. E canta, canta da paura. Finchè riuscirà a riprodurre un growl di questa qualità su nuovo e vecchio catalogo, Amott non dovrà mai rivedere il suo dictat compositivo. Sarà un bene o un male? Ai posteri l’ardua sentenza. Lo show si avvia verso il sipario con una serie di classici e la tumultuosa “Nemesis” a conclusione di undici pezzi al fulmicotone, durante i quali gli Arch Enemy hanno dimostrato d’essere all’altezza del loro vertiginoso curriculum vitae. Un trionfo quindi? Non proprio. Nel 2017 quarantacinque minuti di attacchi posticci ai poteri forti del sistema che si concludono con un selfie da condividere sui social a milioni di follower lasciano inevitabilmente con un retrogusto di plastica. Siamo sicuri che il Gruppo Bilderberg, la Massoneria e i Tagliapietre se la stiano facendo sotto.

Setlist:

Intro: Tempore Nihil Sanat (Prelude in F minor)
The World Is Yours
Ravenous
War Eternal
My Apocalypse
You Will Know My Name
Under Black Flags We March
As the Pages Burn
Dead Eyes See No Future
No Gods, No Masters
We Will Rise
Nemesis
Outro: Enter the Machine


AMON AMARTH

Mezzora d’orologio è il tempo necessario alla crew degli headliner per completare il processo d’allestimento del palco. Pezzi di muro prendono forma mentre dei drappi neri avvolgono una forma imponente quanto familiare, creando una certa tensione che viene liberata tra le urla del pubblico quando le luci si spengono e gli Amon Amarth prendono finalmente la via del palco. Il primo è il batterista Jocke Wallgren che saluta mentre prende posto sul podio ricavato da un monumentale elmo cornuto (forse il più comune tra i simboli dell’era vichinga quanto il più conclamato dei falsi storici, la bacchettata è d’obbligo) sparendo di fatto dietro al drumkit per il resto della serata. Seguono gli altri membri fino all’ingresso del titanico frontman Johan Hegg, che con le corna al cielo scatena il boato mentre ruggisce il riff di “The Pursuit of the Vikings”, seguita da “As Loke Falls” e “First Kill”. Fanno dunque il loro ingresso due figuranti in vesti da battaglia norrene che sulle note di “The Way of the Vikings” coreografano un combattimento di scherma nordica con tanto di sgozzamento che fa tanto HBO. Torneranno armati d’asce e drappi a sottolineare i momenti più carichi di pathos dello show. Se fin qui la prova strumentale è stata pregevole con il terzetto di centrocampo Mikkonen, Lundstrom, Soderberg intento a tessere trame di maideniana memoria con la precisione di macchine a controllo numerico, il fonico perde la brocca decidendo di alzare i volumi della doppia cassa per la gioia di tutti gli otorini, compromettendo la resa sonora e spingendo parte del pubblico ad indietreggiare. Questo per il rovescio della medaglia crea terreno fertile per il wall of death più consistente che la terra friulana abbia visto da tempo immemore, per merito di un pubblico in visibilio sebbene sotto le aspettative d’affluenza. La sensazione è che la scelta da parte degli Amon Amarth di suonare pochi giorni prima al Metaldays (solo un’ora e mezza di macchina dalla venue) abbia penalizzato la data italiana, un vero peccato. La scaletta procede seguendo fedelmente il programma proposto sinora nelle date da headliner del Jomsviking Tour, ma c’è spazio per una sorpresa quando mr. Hegg introduce un pezzo che tempi ‘oscuri’ come questi richiedono: “With Oden on Our Side”, canzone suonata stasera per la prima volta dal 2011. Gli intermezzi sono tutti ad opera del frontman, una sorta di ‘Late Night with Johan Hegg’ dove il guascone cantante intrattiene la platea ora con il suo timbro baritonale in un sorprendente italiano (“Benvenuti a nostra festa viching!”), poi raccontando storie dalla mitologia norrena, o ancora con il consueto intercalare blasfemo che qui, a pochi chilometri dalla capitale italiana dell’anagramma, ha davvero gioco facile (dai, sapete di cosa si parla). È lui il mattatore incontrastato della serata, mente, voce e immagine degli Amon Amarth. Gli altri componenti fanno un grande lavoro di siderurgia musicale, ma la loro presenza sul palco si limita a quell’headbanging rotativo che farebbe la fortuna di tutti i pubblicitari della cosmesi per capelli. Dopo una breve comparsata di Loki su “Father of the Wolf”, lo show si avvia verso la conclusione con il trittico introdotto dal brindisi di corni potori scolati a fiato che precede la ruffiana “Raise Your Horns”, l’epicità di “Guardians of Asgaard” e la battaglia finale di “Twilight of the Thunder God”, per la quale fa capolino lo Jǫrmungrandr, l’immenso serpente marino che Thor affronta durante il Ragnarǫk. Chris Hemsworth non era disponibile, quindi il buon Johan Hegg si è dimostrato più che felice di reggere il Mjöllnir e affrontare il mostro a martellate, affermando come, nell’estate che ha segnato il ritorno dei gonfiabili, gli Amon Amarth abbiano una marcia in più. Tempo dei saluti, Hegg leva al cielo il corno un’ultima volta pronunciando la formula di congedo ‘Be safe, party hard and always raise your horns’, alla quale non si può che rispondere con un sincero SKÅL! Termina così la terza calata in terra italica in meno di un anno da parte degli Amon Amarth, vissuta attraverso i capitoli salienti degli ultimi quindici anni di carriera e cucita su misura per i fan, ma che probabilmente non sarà stata sufficiente a convertire i detrattori alla corte di Asgaard. Poco male, insieme a noi o meno gli Amon Amarth continueranno per la loro strada, con Odino e commercialisti al loro fianco.

Setlist:

The Pursuit of Vikings
As Loke Falls
First Kill
The Way of Vikings
At Dawn’s First Light
Cry of the Black Birds
Deceiver of the Gods
Destroyer of the Universe
With Oden on Our Side
Death in Fire
Father of the Wolf
Runes to My Memory
War of the Gods
Raise Your Horns
Guardians of Asgaard
Twilight of the Thunder God

 

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