Introduzione e report a cura di Roberto Guerra e Maurizio Borghi.
Fotografie di Matteo Musazzi
Annunciato a grandissima distanza undici mesi fa, nell’ultimo pieno inverno pandemico, il “Vikings And Lionhearts Tour 2022” ha l’ambizione di mettere a ferro e fuoco l’intera Europa con una trentina di date e un’accoppiata inedita: Amon Amarth e Machine Head non avevano mai incrociato gli scudi, probabilmente per la volontà di quest’ultimi di andare in tour da soli nella formula ‘an evening with’, senza alcun supporter e con tre ore a disposizione. Il prolungato stop ai tour ha fatto cambiar loro idea o è solo un riscaldamento in vista di riprendere le vecchie abitudini? Entrambe le band hanno pubblicato nuovi lavori negli ultimi mesi, chiamando i fan a razziare di nuovo e a saccheggiare le scorte di birra in un tour da co-headliner che vede come opener The Halo Effect, nuovo progetto di grandissimi veterani di Göteborg, freschi del primo posto in classifica svedese e ben accolti da una grandissima fetta di amanti della vecchia scuola. I vichinghi promettevano “due grandi show in cui entrambe le band useranno tutta la loro scenografia” nell’ “evento metal più monumentale dell’anno”, ma è evidente che qualcosa è andato storto dalle nostre parti, con lo spettacolo spostato da Lorenzini District al Fabrique e la riduzione dello stesso con le tende nello spazio sopra il mixer. Lo spostamento ha ovviamente significato necessari tagli sugli allestimenti vista la dimensione del palco: in parole povere niente produzione completa e niente effetti pirotecnici. Nonostante tutto l’energia tra i presenti è quella degli eventi importanti.
THE HALO EFFECT
C’è davvero parecchia curiosità in merito al primo show in territorio italiano del progetto The Halo Effect, i cui imembri riportano alla mente degli appassionati i grandi fasti degli In Flames e dei Dark Tranquillity, considerando anche la presenza dell’immenso Mikael Stanne dietro al microfono. Purtroppo non è presente il mitico Jesper Stromblad alla chitarra, sostituito prontamente da Patrik Jensen (The Haunted, Witchery), il quale completa un combo che di fatto rappresenta la vera incognita di stasera. Incredibilmente, possiamo dirlo, non esageriamo nel considerare il loro show come il più convincente della serata: suoni perfetti, brani che dal vivo risultano più accattivanti che su disco e, soprattutto, un contributo generale da parte di un gruppo di professionisti ancora dotati di un piglio notevole, spinti peraltro da una sorta di desiderio di rivalsa, tangibile tanto nelle note suonate, quanto in una presentazione on stage sì essenziale, ma davvero di classe. E poi, siamo sinceri, Mikael è sempre e comunque uno dei frontman migliori al mondo, con un’espressività e un amore per ciò che canta che non fatichiamo a ritenere inimitabile. Illustrare la scaletta sarebbe superfluo, perchè è chiaro che provenga tutta dal recente album d’esordio “Days Of The Lost”, però a questo punto ci auguriamo di poter presto godere di uno show completo con tutti i crismi, dal momento che questo primo assaggio ci ha lasciato davvero deliziati. (Roberto Guerra)
Setlist:
Days Of The Lost
The Needless End
Gateways
Feel What I Believe
Last Of Our Kind
Conditional
Shadowminds
MACHINE HEAD
Dopo un nastro introduttivo a luci spente, i Machine Head iniziano il concerto senza nessun preambolo, attaccando la tiratissima “Become The Firestorm” come se fossimo già a show inoltrato e la band stesse suonando già da un’ora nel backstage. Una scaletta di settanta minuti è un’esperienza sfidante per Flynn e soci, che hanno in repertorio canzoni molto lunghe e sono abituati a minutaggi sconfinati con totale libertà sulle tempistiche. La resa della nuova canzone dal vivo è più che soddisfacente, e l’impatto sonoro spettina letteralmente tutti i presenti, agitando in maniera sconsiderata le prime file e impattando tutto il locale con volumi fuori norma, tanto che le apposite applicazioni per misurare il livello del suono dichiarano che questo “ha raggiunto i 90dB. Un’esposizione di circa trenta minuti a questo livello può causare una perdita temporanea dell’udito“. Seguono “Imperium” e “Ten Ton Hammer”, e ci freghiamo le mani per quella che è stata definita una scaletta di soli classici. Wacław ‘Vogg’ Kiełtyka e Matt Alston, nonostante qualcuno ancora fatichi ad accettarli, hanno già provato la propria abilità nel tour celebrativo di “Burn My Eyes”, e stasera si dimostrano consumati professionisti esibendosi in una prova senza sbavature, lasciando al ‘generale’ parole e riflettori. Fa lo stesso il bassista Jared MacEachern: il portaborse del leader del gruppo è sicuramente più fidato e vicino a Flynn, essendo presenza costante anche nei suoi ‘Electric Happy Hour’ in streaming, ma dal vivo si impegna molto fisicamente e al microfono riduce il suo apporto allo stretto necessario. I Machine Head hanno ancora un impatto notevole e Robb è un frontman di assoluto livello, stasera forse anche troppo su di giri, forse per un imprevisto eccesso alcolico. Dimostra grandissima connessione col proprio pubblico e ingaggia le prime file a più riprese, dimostrando anche autoironia nel mostrare un cartellone che prende in giro il suo linguaggio scurrile, intonando un coro musicale di bestemmie e lanciando bicchieri a lunga distanza. Ad essere sinceri però, per la prima volta, la sua prova vocale comincia a scricchiolare: lo notiamo in alcuni segmenti in cui il suo ruggito si fa troppo secco e rauco, quasi rotto, e soprattutto quando non si può nascondere dietro la potenza e il volume dei riff nella melodica “Darkness Within” a metà scaletta, eseguita in maniera debole e con qualche stonatura di troppo. Una serata no capita a tutti per carità, lungi da noi decretare il declino del leader maximo dei MH, ma è strano constatare un difetto del genere proprio in questo tour in cui l’impegno è decisamente ridotto. Lo show prosegue comunque senza intoppi, anche quando viene ripescata “From This Day” e il pubblico dimostra di averla accettata con una risposta simile alle intramontabili “Davidian” e “Halo”. Beers up, nonostante gli intoppi i Machine Head sanno fare ancora bene il loro mestiere. (Maurizio Borghi)
Setlist:
Become The Firestorm
Imperium
Ten Ton Hammer
I Am Hell (Sonata in C#)
Choke On the Ashes Of Your Hate
Darkness Within
From This Day
Davidian
Halo
AMON AMARTH
Da dove cominciamo? Partiamo dal presupposto che ormai – e basta andare a un qualsivoglia festival all’estero per accorgersene – gli Amon Amarth sono una vera e propria azienda, il cui prodotto ha portato alla nascita di un’intera generazione di aspiranti vichinghi, equipaggiati con ogni genere di gadget e capo d’abbigliamento griffato col loro iconico logo, in abbinamento con l’immancabile mjolnir e, nei casi più appariscenti, del corno riempito di birra. Questo per dire che comunque parliamo di una band che è arrivata letteralmente sul tetto del mondo, passando da una peculiare e sapiente combinazione di epic e death metal, ad una versione molto più catchy ed orecchiabile di quest’ultima, con risultati a volte molto convincenti, altre leggermente meno, se si esclude il recentissimo (e deludente, a parere di chi scrive) “The Great Heathen Army”. Purtroppo però pare che, col trascorrere degli anni, la potenza dei loro concerti abbia iniziato a stagnare, fino ad apparire quasi come una sorta di copione da seguire pedissequamente, con un risultato finale che definiremmo con una parola ben specifica: quadrato, come un blocco di ferro perfettamente levigato, ma dal sapore quasi dozzinale, quasi come l’elmo con le corna (noto falso storico) su cui è montata la batteria.
La scaletta è invero quanto di più prevedibile si potesse pensare, composta da ben quattordici hit ben note a chiunque si sia imbattuto in un loro show almeno una volta; e non siamo certi di cosa faccia più scalpore, tra il fatto che il pezzo più datato sia l’inflazionata “Pursuit Of Vikings” o la mancanza pressoché totale di piglio in sede live degli unici due brani inseriti in scaletta provenienti dal sopracitato full-length uscito poco tempo fa. Qualcuno prova a chiamare a gran voce una “Death In Fire” che non arriverà mai, e in tutta sincerità anche i vari siparietti sembrano perdere qualche colpo, incluso quello che vede il pubblico sedersi a terra per remare.
Zero sorprese quindi, e anche a livello di esecuzione e spettacolo la minestra è sempre la stessa, con però meno energia e cattiveria rispetto a quanto possiamo ricordare di aver visto in passato; senza contare che, a parte il sempre più o meno possente Johan Hegg, i singoli membri della band appaiono abbastanza anonimi nella loro resa personale odierna.
Tutto questo significa che lo show di stasera degli Amon Amarth non ci è piaciuto? No, perché comunque alcune parentesi restano davvero esaltanti, come “Deceiver Of The Gods”, “Cry Of The Black Birds” e la conclusiva “Twilight Of The Thunder God”, ma sta di fatto che la grinta e la voglia di mietere vittime di questi presunti vichinghi si è sensibilmente ridimensionata. Ci auguriamo che in futuro la band svedese possa ritrovare la sua sete di sangue, per tornare, come in passato, a pogare come dannati ai loro concerti e affogando nell’idromele. (Roberto Guerra)
Setlist:
Guardians Of Asgaard
Raven’s Flight
Deceiver Of The Gods
The Pursuit Of Vikings
The Great Heathen Army
Heidrun
Destroyer Of The Universe
Put Your Back Into The Oar
Cry Of the Black Birds
The Way Of Vikings
Shield Wall
First Kill
Raise Your Horns
Twilight Of The Thunder God