TYR
Attesi al varco sia dal sottoscritto che da diversi altri presenti, i Tyr si presentano sul palco bardati con pesanti cotte di maglia che si adattano alla perfezione al raffinato epic/folk metal proposto ai quattro nativi delle isole Far Oer. I suoni sono ben lontani dall’optimum ed il tempo a disposizione è decisamente limitato ma sufficiente per far capire ai presenti che i Tyr sono oggi una delle migliori promesse presenti sulla scena classic metal. Il gruppo attacca con la folkeggiante “Regin Smidur” che, cantata in faroese, mette da subito in evidenza la compattezza del gruppo e le abilità vocali e strumentali del leader Heri Joensen. L’ancor poco numerosa audience apprezza la proposta ed incita il quartetto, che dalla sua si dimostra inizialmente un po’ timido e freddino. La band attacca quindi con il materiale più prettamente metal e sguinzaglia a catena tre pezzi da novanta quali “Wings Of Time”, “Hail to the Hammer” e “Ragnarok”. Purtroppo però i minuti passano e la conclusiva “Ramund Hin Unge” chiude un brevissimo ma convincente show, che lascia soddisfatti molti dei presenti e che conferma i Tyr come “abili e arruolati” anche in sede live.
WINTERSUN
Non molto conosciuti in Italia ma molto più popolari nel nord dell’Europa, i Wintersun sono il gruppo di Jari Mäenpää, già cantante e songwriter degli Ensiferum. Il gruppo ha un unico disco da cui estrarre i pezzi per la scaletta, l’omonimo album uscito ormai da circa due anni e all’epoca bersaglio di critiche. Il gruppo infatti è tecnicamente impeccabile anche dal vivo, ma i suoi problemi restano la scarsa originalità delle composizioni e, non da meno, la poca presa che le stesse hanno in sede live. Un mix tra power metal tiratissimo e sonorità vicine ai Children Of Bodom che poco o nulla aggiunge a quanto fatto da molti altri gruppi scandinavi. I Wintersun offrono comunque una buona prova ed aprono le danze in maniera convincente con “Winter Madness”, seguita a ruota da “Beyond The Dark Sun” e “Beautiful Death”. L’una dietro l’altra vengono riproposte quasi tutte le tracce del disco d’esordio tra cui spiccano le convincenti “Battle Against Time” e “Starchild”. Jari Mäenpää è ottimo sia come cantante sia come chitarrista e non perde mai occasione per incitare l’affollata platea. Anche questo show volge presto al termine ed il pubblico applaude calorosamente. Non ci resta che sperare che il più volte annunciato secondo disco dia quel tocco di autenticità che ancora manca ai Wintersun, un gruppo altrimenti dalle notevoli potenzialità.
AMON AMARTH
Eccoci quindi al momento ovviamente più atteso della serata ovvero l’entrata in scena degli Amon Amarth, un gruppo che fino a pochi anni fa qui in Italia era sconosciuto ai più e che adesso si presenta come la migliore realtà del panorama viking death metal scandinavo. Johan Hegg e compagni si apprestano quindi ad appagare ancora una volta a suon di riff spaccaossa i loro fan, gli stessi a cui avevano chiesto qualche settimana fa di scegliere le canzoni da proporre nella setlist. Forti del recente e più che buono “With Oden On Our Side” i cinque, dopo una breve intro sinfonica, irrompono sul palco proprio con i due pezzi d’apertura dell’ultimo disco ossia “Valhalla Awaits Me” e la roboante “Runes To My Memory”. E’ da subito evidente che il pubblico ha già ben metabolizzato i nuovi pezzi, canzoni che tra l’altro sembra apprezzare appieno. Infatti, già dalle prime battute è palpabile il livello di coinvolgimento e soddisfazione dell’audience, tensione che non calerà mai durante tutta l’ora e quaranta minuti di concerto. Il simpatico Johan ringrazia e scherza con i presenti, spiccicando anche qualche parola in italiano del tipo “come state” o il solito “grazie mille!”. I suoni, dapprima un po’ impastati, raggiungono in breve tempo buoni livelli di potenza e limpidezza ed è quindi il turno della devastante “Death In Fire”, accolta dalla folla con un boato. Segue poi “Fate Of Norns”, pezzo questo che risulta meno incisivo dei precedenti e prepara il terreno per “Thousand Years Of Oppression”. Fredrik Andersson alla batteria e Ted Lundstrom al basso formano una sezione ritmica compatta e potente, e le due chitarre di Johan Soderberg e Olli Miikonen macinano riff su riff, come in “With Oden On Our Side”, nella quale si scatena un gran pogo sotto il palco. Ancora pogo nella successiva “Asator”, mentre “An Ancient Sign Of Coming Storm” viene accolta dai fan con un headbanging generale. Altra brevissima intro ed è il turno di “Cry Of The Blackbirds” al termine della quale la band brinda con tanto di alzata di corni. Con le terremotanti “The Last With Pagan Blood”, “Once Sent From The Golden Hall” e “Victorious March” si torna ai primi album tra la gioia e la soddisfazione degli astanti. Il gruppo lascia per poco tempo il palco prima di concludere con il trittico “Pursuit Of Vikings”, “Versus The World” e “Gods Of War Arise”. Gli Amon Amarth si congedano tra saluti e applausi, consapevoli di aver tenuto ancora una volta un’esibizione carica di grinta, ma soprattutto pregna di quella passione che col tempo ha permesso loro di emergere dall’affollata scena scandinava.
Runes To My Memory
Death In Fire
Fate Of Norns
Thousand Years Of Oppression
With Oden On Our Side
Asator
An Ancient Sign Of Coming Storm
Cry Of The Blackbirds
The Last With Pagan Blood
Once Sent From The Golden Hall
Victorious March
Pursuit Of Vikings
Versus The World
Gods Of War Arise