Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Matteo Cereda e Marco Gallarati
Foto a cura di Francesco Castaldo
Tra Machine Head e Amorphis, entrambi protagonisti all’Alcatraz di Milano, passano solo tre giorni ma in realtà l’atmosfera, l’affluenza di pubblico e la portata degli eventi in questione è talmente diversa e diversamente sentita che ci pare di essere capitati, una volta entrati nella venue, su di un altro pianeta. La desolazione romulana del mercoledì, infatti, all’entrata così come nella platea ridotta del settaggio B, fa da contraltare al furore klingon della domenica precedente, in preda a spasmi da delirio. Ma invero non ci si stupisce più di tanto: giorno feriale, orari degni di assonnate galline narcolettiche, freddo, la Milano caotica e, infine, un tris di gruppi che, per quanto dimostratisi ampiamente all’altezza della situazione, risulta piuttosto imparagonabile ai protagonisti del The Eighth Plague Tour. Ma non stiamo certo qui a fare accostamenti improponibili, per cui facciamo buon viso a cattivo gioco e andiamo a goderci con rilassatezza una data che, oltre agli ormai assoldati finlandesi, è riuscita a mettere in mostra altre due interessanti formazioni: i folli ed istrionici Leprous e i bravissimi post-gothic-death metallers Nahemah. E si parte proprio con loro, difatti…
NAHEMAH
19 e qualche minuto: addetti ai lavori, i primi fan, baristi e i tecnici…non c’è praticamente nessuno a vedere i Nahemah, band spagnola originaria di Alicante che questo portale vi aveva posto all’attenzione in tempi non sospetti, sia in occasione di “The Second Philosophy”, sia quando uscì, due anni fa, l’ultimo “A New Constellation”. Ebbene, si dice che una band non è tale fin quando non supera la prova dell’esibizione dal vivo. Detto fatto, ci fidiamo: e allora dobbiamo semplicemente dire che i Nahemah sono un gruppo enorme! Sarà stato il silenzio, sarà stata la pace, oppure la vacuità della venue nella mezzora di esibizione degli iberici, ma fatto è che Pablo Egido e compagni, affiatatissimi, posati, professionali, umili, non sbracati, hanno piazzato sul palco un lotto di canzoni eseguite magistralmente e con dei suoni assolutamente perfetti, tanto da non farci ricordare, in questo 2011, una performance più sorprendente ed emozionante di questa. Il post-gothic-death metal del quintetto, che tanto sa di Katatonia, Novembre, Opeth, si è dipanato in modo naturale e profondo nella calma di un’atmosfera attenta e rapita – almeno nel metro quadrato attorno al sottoscritto – guidato dall’altissimo vocalist in modo superbo, sia quando impegnato in tristi clean vocals, sia quando uso ad un growl disperato e straziante ma altresì caldo e pieno. Peccato; un vero peccato che il 90% delle persone presenti in seguito per gli Amorphis si sia perso un concerto così bello. Andate a vederli assolutamente, se ricapitano in giro! O andate ad ascoltarvi subito, ad esempio, un pezzo come “Under The Morning Rays”.
(Marco Gallarati)
LEPROUS
Non ci avevano convinto un anno fa, quando suonarono di supporto ai Therion, ma dopo gli ottimi risultati ottenuti con l’ultimo disco in studio a titolo “Bilateral”, crescono le aspettative nei confronti dei promettenti Leprous. La band scandinava si cimenta in un metal progressivo che, rispetto al passato, limita le influenze estreme, aggiungendo intriganti commistioni avantgarde di scuola tipicamente norvegese. Le partiture complesse risultano forse di difficile presa per chi non flirta con il genere o non conosce la band, ma rispetto a quanto visto lo scorso anno dobbiamo ammettere che l’ascesa dei Leprous è costante e mantiene fede alle già citate premesse di “Bilateral”. Proprio l’ultimo arrivato rappresenta il piatto forte della serata e attraverso pezzi quali “Thorn”, “Restless” e “Forced Entry” il grande potenziale tecnico-compositivo ed esecutivo del quintetto nordico viene sprigionato alla grande. Il singer nonché tastierista, Einar Solberg, supportato molto bene ai cori dal resto della band, guida la truppa ad una prestazione compatta, denotando netti miglioramenti dal punto di vista vocale, pur lasciando ancora qualche dubbio sull’efficacia di certe vocals urlate. Al termine dell’esibizione gli applausi in platea sono piuttosto tiepidi, ma vanno interpretati come la reazione di un pubblico distante da questo tipo di sonorità. Per il resto non resta che segnalare la bellissima “MB Indifferentia” come pezzo migliore della setlist e ribadire il riscatto dei Leprous a quanto visto e ascoltato nella scorsa occasione.
(Matteo Cereda)
Setlist:
Thorn
Restless
Passing
MB. Indifferentia
Waste Of Air
Dare You
Forced Entry
AMORPHIS
Con la bella coreografia incentrata sull’artwork dell’ultimo “The Beginning Of Times” che campeggia sullo sfondo, gli Amorphis fanno il loro ingresso in scena acclamati da un pubblico in verità non molto numeroso all’interno dell’Alcatraz milanese, settato in versione ridotta per questo evento. La partenza è come prevedibile dedicata all’ultima e comunque positiva uscita in studio della band finlandese, pertanto, dopo una buona versione di “My Enemy”, segue la melodicissima “Mermaid” e la più movimentata “Crack In A Stone”, quest’ultima intervallata da “The Smoke” del comunque recente “Eclipse”. Sin dalle prime battute del concerto possiamo apprezzare una buona resa sonora, che predilige il sound delle chitarre a quello dominato dalle tastiere udito sull’ultimo lavoro. Dal suo canto, la band scandinava sembra in buona forma, trainata dal carismatico singer Tomi Joutsen, abilissimo nei passaggi dal terrificante growl che lo contraddistingue ai puliti. Lo spettacolo entra nel vivo con l’esecuzione di “Against Widows”, estratta dall’indimenticato capolavoro “Elegy”, cui fa seguito la coinvolgente “Sampo”, per un mix di vecchie e nuove sonorità assai godibile. La successiva “You I Need” dimostra come, pur avvalorate da linee vocali di primo piano, le ultime composizioni risultino decisamente ripetitive nella struttura, e lo scivolone degli Amorphis prosegue anche nei minuti successivi con un discutibile accenno a “Pussy” dei Rammstein che per fortuna poi sfocia in “Karelia”. A tornare sulla retta via servono i classici, ed allora ecco il leader Esa Holopainen sciorinare il riff tagliente di “Vulgar Necrolatry”, seguita dall’acclamata “Into Hiding”. Il finale, prima della meritata pausa, è di spessore ed affidato alla bellissima “Sky Is Mine”, invero non interpretata al meglio da Joutsen, la trascinante “Alone” e “Magic And Mayhem”, recentemente rivisitata nell’omonima raccolta. Al rientro in scena non mancano gli incitamenti e, dopo i doverosi ringraziamenti, Tomi Joutsen, con il suo immancabile microfono esteticamente retrò, presenta “Silver Bride”, da annoverare tra i pezzi più orecchiabili e trascinanti di “Skyforger”. Prima della chiusura non poteva mancare “My Kantele”, pezzo simbolo del vecchio corso, in cui Holopainen accenna anche la versione acustica con un ‘effetto banjo’ sulla chitarra, per poi lasciare l’epilogo ad “House Of Sleep”, diversa dalla precedente ma caratterizzata dal medesimo grado di coinvolgimento, confermando la tutto sommato pacifica coesistenza tra vecchio e nuovo negli Amorphis, una band che ha saputo rialzarsi da un momento difficile e viaggia ora a vele spiegate.
(Matteo Cereda)
Setlist:
My Enemy
Mermaid
The Smoke
Crack In A Stone
Against Widows
Sampo
You I Need
Vulgar Necrolatry
Into Hiding
Sky Is Mine
Alone
Magic And Mayhem
Encore:
Silver Bride
My Kantele
House Of Sleep