Report a cura di Matteo Cereda
Steven Wilson sbarca in Italia per presentarci la sua nuova release “Hand. Cannot. Erase.”. Anche questa volta, come accadde per la precedente tournée, il musicista anglosassone sceglie il teatro come location per l’evento. Una scelta azzardata, vista la matrice prettamente rock della musica, che tuttavia a suo tempo si rivelò azzeccata in virtù del clima raccolto e della complessità delle composizioni di “The Raven That Refuses To Sing”. La diversità dei nuovi brani suggerisce qualche dubbio in più sulla riproposizione della cornice teatrale, ma al di là di questo piccolo interrogativo c’è il tutto esaurito al Dal Verme di Milano per assistere a quella che, vista la qualità dei musicisti e delle composizioni in questione, si prospetta come una serata di grande musica.
Alle 21 in punto come da programma calano le luci all’interno del Teatro Dal Verme e Adam Holzman, con delicati tocchi di pianoforte, attacca l’intro del nuovo “Hand. Cannot. Erase.”, introducendo il resto della band sul palco a suon di applausi scroscianti. Wilson ovviamente è l’ultimo ad entrare in scena: tutti ormai in platea sono accomodati in postazione pronti per gustarsi la serata. L’inizio, come prevedibile, è tutto per l’ultimo sopracitato album e vengono eseguite in serie le prime cinque tracce. Ogni canzone è accompagnata da un video appositamente creato sulla musica, che rende l’esperienza assolutamente totale. L’interpretazione di pezzi fantastici quali “3 Years Older”, la titletrack o la nostalgica “Perfect Life” acquisisce ulteriore enfasi con il supporto delle immagini, senza dimenticare la prestazione tecnica ineccepibile dei musicisti. La resa sonora appare buona ma leggermente inferiore rispetto a ciò che avevamo apprezzato al Teatro della Luna in occasione del precedente tour. La probabile causa di questa piccola pecca va ricercata nella differente natura delle nuove composizioni, più che nell’acustica della nuova location. I nuovi pezzi infatti presentano partiture tendenzialmente più pesanti e spesso cariche di effetti elettronici, che a tratti possono saturare un po’ il sound. Se pensiamo infine alla carica che può sprigionare una sezione ritmica composta da Nick Beggs al basso e Chapman Stick e Marco Minnemann alla batteria, ecco che non stupisce più di tanto in alcuni frangenti il suono eccessivamente pieno delle canzoni. Wilson si presenta come sempre in abiti tutt’altro che appariscenti, come a rimarcare che ciò che conta è la musica: dal punto di vista tecnico risulta come sempre inappuntabile e sul fronte canoro dimostra sempre maggior disinvoltura e varietà di interpretazione. Rispetto al solito, Steven si dimostra in questa serata anche maggiormente loquace, concedendosi qualche dialogo in più con la platea, alla quale spiegherà che, oltre all’esecuzione dei brani da “Hand. Cannot. Erase.”, ha deciso di inserire in scaletta per la gioia dei presenti una serie di altri pezzi tratti da tutto il suo repertorio, pezzi che, per affinità musicali o tematiche, ben si collegano con l’ultima fatica solista. Con questa premessa vengono eseguite bellissime versioni di “Index” e “Harmony Korine” del progetto solista, ma anche cicche dal repertorio targato Porcupine Tree quali “Lazarus” e, più in là nel finale, una versione debordante di “Sleep Together”, che farà agitare la testa a molti e sorgere qualche dubbio in più sulla location teatrale. Purtroppo, in una comunque positiva versione con tanto di video animato dell’ottima “Routine”, Steven ci spiega che le vocals femminili presenti nella versione studio saranno proposte in base per l’impossibilità di reclutare Ninet Tayeb per il tour, mentre gli amanti del progressive più puro hanno goduto allorché si è presentato il momento dell’articolata “Ancestral”, coronata fra l’altro da un assolo da urlo del funambolo Guthrie Govan alla chitarra. Per il gran finale c’è stato spazio per i capolavori “The Watchmaker” e “The Raven That Refuses To Sing”, salutati dal pubblico con un’autentica ovazione finale. Oltre all’eccelsa performance dei musicisti, lo spettacolo di Steven Wilson e della sua band ci ha fatto entrare nella storia delle canzoni attraverso un’esperienza fra immagini e musica che in questo momento nella scena rock non ha eguali. Quasi due ore di concerto ad altissima intensità, la caratura più moderna e pesante delle nuove composizioni forse non avrebbero disdegnato questa volta una location più tradizionalmente rock, ma ciò pare solo un piccolo dettaglio storto a confronto della grandezza di Steven Wilson, della sua band e della sua musica.