Ultimamente Firenze e dintorni si sono fatti scenario di vari eventi metal, grazie al fatto che diversi locali stanno via via organizzandosi per serate in questi termini adeguate. L’ultimo club che ci viene in mente, in ordine cronologico, è il Cycle di Calenzano, che recentemente ha dato spazio a band come Cancer Bats o Cannabis Corpse: magari non l’elite della scena, tuttavia gruppi validi e particolarmente vivaci su palco. Il 14 marzo è stata la volta, invece, degli Anaal Nathrakh: forse il totale degli avventori non era un numero esorbitante, ma è anche vero che la data é stata confermata all’ultimo momento. A fare da contorno c’erano diverse band locali, principalmente orientate verso panorami grind e/o crust: ogni tanto bisognerà pur lasciare da parte i buoni sentimenti e prestare attenzione ai cantori dell’agonia dell’Occidente!
HYAENA RABID
Questi ragazzi si presentano come dei facinorosi dal coltello facile e la cosa non ci dispiace affatto, perché ben si lega alla sostanza della loro musica, ovvero un grindcore arrabbiato e isterico. I presenti, oltre al gradimento, mostrano di conoscere i pezzi proposti dal gruppo e questo non ci stupisce, avendoli visti già diverse volte in giro. Le costanti delle loro esibizioni sono costituite da una certa dose di carisma, che sopperisce ad un’espressione un poco statica, e dalla prova pregiata (in relazione al genere) del batterista. Da segnalare il pezzo in chiusura, di cui purtroppo non conosciamo il titolo, che mostra parti rallentate ma dal discreto groove.
DOOMED HUMANITY
Immaginatevi un ibrido disomogeneo tra Repulsion e primi Darkthrone e Burzum: è sufficiente per capire se vi sarebbero piaciuti oppure no. Questa band non ha proposto niente di originale eppure, col suo crust-grind dissonante ammorbato di black metal, è riuscita a dipingere in maniera piuttosto ‘impressionista’ il rigetto che volge – presumibilmente, dai proclami fatti – alla moderna situazione socio-politica. Sinceramente estremi, in un’accezione decisamente anni ’80, la loro musica rappresenta inferni umani affogati da cascate di pessimismo viscoso e nero, il cui principale limite risiede in una maturazione non del tutto compiuta: più che un omogeneo amalgama, infatti, i Doomed Humanity suonano quella che è una sintesi ancora disordinata tra le influenze dei due vocalist (di cui uno bassista, quello più ‘core’, e uno chitarrista, quello più ‘black’), come si può chiaramente ascoltare nell’ultimo pezzo proposto, un’alternanza (discontinua, ma trainante) di grind e black metal.
DISMAL FAITH
Unica band, tra tutte, non coinvolta nel grind: in mezzo a tanto pessimismo ben argomentato, i Dismal Faith propongono un ‘allegro’ metalcore bombastico e accessoriato, piuttosto convenzionale. Trovandoci a raccontare la resa live di questa band possiamo certo dire che sono stati vivaci, col pubblico che mostrava pure un certo apprezzamento; tuttavia è stato anche palese come fossero un poco fuori contesto, grazie a soluzioni amichevoli come ritornelli melodici e un po’ emozionali, corredati dagli immancabili breakdown-salvagente.
ANAAL NATHRAKH
I più attesi, ovviamente. Da subito sono chiare le intenzioni: travolgere tutto, con la maggiore ferocia possibile. Apparentemente un asserto del genere può sembrare scontato, tuttavia apre ad una considerazione che – in loco – ci ha sorpreso: se è vero che gli Anaal Nathrakh non hanno certo rinunciato (né dovevano!) alle loro litanie maledette, è anche vero che la loro esibizione è stata assai più fisica e grind di quanto ci saremmo aspettati. Ovviamente abbiamo gradito parecchio, tuttavia siamo in grado di comprendere anche le motivazioni di chi possa essere rimasto colpito nella maniera opposta, avendo un poco lasciato indietro la loro componente ‘spirituale’. Sin dall’inizio i suoni sono buoni, favoriti anche dall’acustica (il Cycle Club, tra le altre cose, funge da sala prove), e rendono al meglio i pezzi dell’ultimo album (“Vanitas”), tuttavia V.I.T.R.I.O.L. ha inizialmente avuto qualche difficoltà sul pulito, probabilmente perché non era caldo abbastanza: non a caso dopo, su pezzi come “The Final Absolution”, si riprenderà alla grande. Nel frattempo, gli altri membri della band macinano tutto quanto stia loro a tiro: una menzione d’onore va al batterista, capace come pochi di portarsi dietro tutti gli altri membri, facendo letteralmente cadere sul pubblico un’incessante pioggia di schiaffi in doppia cassa. Non contenti di quanto fatto fino a questo momento, gli Anaal Nathrakh esprimono una furia ancora maggiore quando viene il momento di “Forging Towards Sunset”: il pubblico gradisce, ma solo perché teme ulteriori ritorsioni fisiche. In un batter d’occhio il concerto volge alla chiusura, affidata ad esecuzioni magistrali di “In The Constellation Of The Black Widow” e “Do Not Speak”, che lasciano il pubblico a ‘rosicare’ poiché il tutto non ha superato i tre quarti d’ora.