DEMIANS
Alle 19.50 in punto salgono sul palco i francesi Demians: per chi non li conoscesse, possiamo dire che si tratta del progetto del polistrumentista Nicolas Chapel, qui supportato da Antoine Pohu al basso e da Gaël Hallier alla batteria. I nostri entrano sul palco tranquillamente, quasi all’improvviso, abbigliati con t-shirt e jeans. La disposizione degli strumenti, con la batteria sulla stessa linea di chitarra e basso, sa molto di jazz club ed anche l’attitudine è la stessa. Chapel introduce brevemente i brani e nulla più, quindi tutti i quaranta minuti del concerto sono dedicati alla musica. E che musica! I ragazzi sfoderano una prestazione letteralmente identica a quanto sentito su disco, con dei picchi di intensità all’altezza di “Naïve” e della conclusiva “The Perfect Simmetry”, davvero superba. Musicalmente il trio è preparatissimo e con poche note riesce a creare un’atmosfera malinconica che risulterà un antipasto perfetto per il piatto forte degli Anathema. La loro proposta in definitiva è un progressive dalle tinte cupe, che ricorda i Porcupine Tree, i Pain Of Salvation e i Dream Theater più soffusi. Peccato che il concerto finisca presto; li rivedremo volentieri in futuro, magari con più tempo a loro disposizione.
ANATHEMA
Sono le 21.03 quando uno per uno gli Anathema entrano sul palco del Rolling Stone. Come spesso accade, Vincent e Daniel Cavanagh si presentano in giacca e camicia e prendono subito il centro del proscenio. Le luci sono puntate tutte su Vincent, vero leader della band che non tradisce le attese e che sfodera una prestazione vocale e strumentale di qualità piuttosto alta. A livello prettamente tecnico-strumentale la performance di chitarre, voce e tastiere è stata decisamente buona, mentre la sezione ritmica a volte ha preso qualche abbaglio. Questione di lana caprina, dato che l’aspetto tecnico passa in secondo piano di fronte ad un concerto che fa delle emozioni il suo punto di forza. Ed infatti quelle non sono mancate. Volendo trovare dei difetti al live, potremmo dire che i brani vecchi erano proprio pochi, ed oltretutto abbastanza stravolti rispetto agli originali: Vincent non vuole più cantare come in passato, la chitarra di Daniel è molto più pulita e le tastiere di Les Smith fin troppo presenti. Inoltre il flavour generalmente cupo ed opprimente dei primi lavori non è quasi più rintracciabile e lascia posto ad un’atmosfera rock autorale comunque apprezzata da larga parte del pubblico. Vi sono stati anche degli inserti acustici forse un po’ prolissi, ma anche questi accompagnati dal clamore della folla. Detto questo, ascoltare dal vivo brani splendidi quali “A Dying Wish”, “One Last Goodbye” (da brividi), “Flying”, “Are You There” o “Sleepless” è sempre un’emozione. Da segnalare anche un sentito e doveroso omaggio ai Pink Floyd con una breve citazione di “Another Brick in the Wall” ad opera del terzo Cavanagh, il bassista Jamie. In definitiva gli Anathema anche dal vivo sono cambiati, sono molto più progressive, rockeggianti e rilassati, però un loro concerto, soprattutto se di due ore, è sempre un appuntamento che nessun fan dovrebbe permettersi di perdere.