A cura di Marco Gallarati
A qualche giorno di distanza dal discusso show degli In Flames, è la volta dei britannici Anathema giungere in Italia – anche loro in Lombardia, anche loro in zona Milano – per promuovere “Distant Satellites”, decimo e ultimo full di inediti della band rilasciato ormai quattro mesi addietro. Non ci azzardiamo ovviamente a fare dei paragoni tra due entità musicali (In Flames ed Anathema) completamente diverse, ma la loro storia e il loro evolversi di carriera seguono, in un certo senso, sentieri paralleli: entrambe le formazioni, difatti, sono ora lontanissime dai rispettivi esordi di inizi/metà anni ’90, così come entrambe sono intenzionatissime a non voltarsi indietro richiamando nel presente il passato. L’Alcatraz di via Valtellina, settato, come per l’ultima calata italica della Cavanagh Bros. & Co., nella sua meno capiente versione B, è già bello pieno quando chi scrive entra all’interno del locale. Evidentemente, se da una parte il combo di Liverpool ha creato una potente disaffezione in chi li seguiva dai tempi di “Serenades” e “The Silent Enigma”, d’altro canto le derive alternative-rock e le ultime virate electro-oriented hanno fatto guadagnare un bel po’ di ascoltatori al sestetto, che oggi può vantarsi di una cospicua audience matura, abbastanza open-minded e parecchio lontana dallo stereotipo metallaro – tanto che ovunque ci si giri, nella venue meneghina, si scorgono personaggi in camicia o giacca e tenute impiegatizie di varia foggia! La sola band di supporto della serata, gli sconosciuti austriaci Mother’s Cake, sono sul palco da una decina di minuti quando ci approcciamo dentro un Alcatraz già stipato per tre-quarti…
MOTHER’S CAKE
Mother’s Cake, ‘la torta della mamma’: un monicker che, in qualche modo, ci fa venire in mente due grandi band che hanno profondamente segnato il rock (e anche un po’ il metal) dei Nineties e che ancora oggi riescono a mietere successi di livello mondiale. Stiamo parlando di Pearl Jam e Red Hot Chili Peppers e l’accostamento cibo-monicker ci è venuto del tutto spontaneo: già, perché eliminando subito la band di Eddie Vedder dalle possibili influenze dei Mother’s Cake, i RHCP, invece, rientrano con alte probabilità nel novero del background stilistico di questa interessante formazione tirolese, un power-trio che propone un sanguigno e jam-oriented progressive-rock, infarcito di ritmiche funky, psichedelia, virtuosismo e puro e diretto hard-rock. La sezione ritmica composta dal fantasioso batterista Jan Haussels e dal fisicato bassista Benedikt Trenkwalder è il cuore pulsante dell’hard dei Mother’s Cake, che si innalza e si intensifica poi sui ghirigori solistici del frontman, vocalist e chitarrista Yves Krismer, dotato di una voce parecchio sgraziata, il classico timbro giovanile e poco educato che, come può piacere per grinta e spontaneità, può anche far storcere il naso causa perdurante fastidiosità di fondo. Difatti, la sensazione, ripetutasi più volte nel corso della performance, che il terzetto potrebbe diventare molto valido se solo eliminasse i passaggi vocali – o comunque li migliorasse – dal suo stile, è stata decisamente forte. Gli astanti sono parsi rapiti solo in parte dai Mother’s Cake, che hanno strappato convintissimi applausi a tutti i presenti solo al termine della lunghissima chiosa di “Runaway”, brano-scorribanda che ha regalato diversi momenti di gloria. Tutto sommato un discreto intrattenimento, quello offerto dai tre austriaci: giusto quarantacinque minuti di dinamismo prima della vagonata di musica emozionale da vivere assieme agli headliner.
ANATHEMA
Alle 21 in punto, sgomberata la spartana scenografia dei Mother’s Cake, l’approccio visivo allo stage è quanto mai ‘infiammato’: il cover artwork rosso-nero di “Distant Satellites” viene ripreso sia sull’enorme telone di fondo che sui pannelli laterali e, com’è logico che sia, anche dal costante uso di luci rosse, che imperverseranno lungo tutta la durata dello show e che offriranno una bella dose di suggestioni. Osservando inoltre la disposizione della strumentazione sul palco, in attesa che arrivino i musicisti, notiamo qualche cambiamento alla solita line-up Anathema: da sinistra a destra del fondo-palco, infatti, troviamo a) una postazione di percussioni con annessa una tastiera, b) i sintetizzatori con microfono effettato che usa Vincent Cavanagh durante “Closer” e c) la batteria vera e propria, ma quest’oggi circondata stranamente da una protezione in plexiglas – non sappiamo se usata per motivi di sicurezza o per qualche trovata di perfezionismo acustico; in più, dalla parte di Daniel Cavanagh campeggiano un altro paio di tastiere. Insomma, la curiosità per capire come si sistemeranno i musicisti è alta e, quando il tastierista Daniel Cardoso si va a sedere alle pelli, lasciando lo storico drummer titolare, John Douglas, a fungere da percussionista, a dire il vero un po’ storciamo il naso. In prima fila, poi, ecco Danny, Vinnie e Jaime imbracciare le loro asce e la sempre più coinvolta e dinamica Lee Douglas – che evidentemente ha sconfitto la timidezza che la contraddistingueva fino a qualche tempo fa – fronteggiare l’audience già inneggiante. E’ ora di partire, finalmente, e per la bellezza di un’ora e cinquanta gli Anathema delizieranno gli accorsi con un’esibizione trascinante e sentita, carica di pathos ma, lasciatecelo dire, un po’ meno malinconica del solito e quasi ‘allegra’. Il sestetto inglese punta molto, anzi moltissimo, su “Distant Satellites”, tanto da eseguirlo praticamente per intero e riservando il primo dei due encore, solitamente dedicati a brani storici o a quelli più attesi, all’ultimo nato, suonando la strumentale “Firelight”, la title-track e la conclusiva “Take Shelter”, inframezzate da quel capolavoro d’emozione e feeling chiamato “A Natural Disaster”, durante la quale la Douglas viene sepolta da applausi convintissimi. Danny ci fa sapere, addirittura, che “Take Shelter” è una canzone che a loro piace moltissimo, quasi a voler giustificare la sua esecuzione come ultimo pezzo. Sacrificato al totem di “Distant Satellites”, perciò, il restante materiale proposto ha visto “Weather Systems”, “We’re Here Because We’re Here” e “A Natural Disaster” prevalere su tutta la rimanente discografia degli Anathema, che hanno completamente dimenticato i dischi editi a cavallo del nuovo millennio, perle quali “Judgement”, “A Fine Day To Exit” e “Alternative 4”, rappresentato solamente da una deludente versione di “Fragile Dreams”, cantata male da uno stanco Vinnie ma sostenuta dalle grandi ovazioni del pubblico. A parte questo finale dolceamaro, va comunque raccontato che ancora una volta la formazione british ha saputo incantare gli astanti grazie alla sua innata arte e alla sua sconfinata eleganza d’espressione: è stato interessante seguire, episodio dopo episodio, le prestazioni incrociate di Cardoso e Douglas, che si sono scambiati il posto durante la proposizione della magica “The Beginning And The End” e di “Fragile Dreams”, con il primo però impegnato solo alla tastiera-vicino-alle-percussioni e non anche alle percussioni. Toccante e da ricordare, fra i momenti più alti della performance, la versione acustica di “Are You There?”, interpretata da un Danny Cavanagh sempre più anima ‘giocosa’ della band e che ha trovato anche il tempo di sorbirsi un ‘happy birthday’ collettivo e spontaneo nato dalla platea; e impossibile non citare di nuovo anche “Closer”, con il cui incedere mesmerizzante e straniante siamo volati per l’ennesima volta in un’altra dimensione. Un concerto ottimamente riuscito, questo degli Anathema, sebbene, per i motivi sopra descritti, abbia avuto qualche difettuccio lieve e soprattutto solo soggettivo; anche perché, se la perfezione non è di questo pianeta, non vediamo cos’altro si possa chiedere ad una compagine così unita e artisticamente valida. Forse di suonare ancora una “Sleepless” violentata e resa irriconoscibile? Nah, non scherziamo…
Setlist:
The Lost Song, Part 1
The Lost Song, Part 2
Untouchable, Part 1
Untouchable, Part 2
Thin Air
Ariel
The Lost Song, Part 3
Anathema
The Beginning And The End
Universal
Closer
Are You There?
Encore 1:
Firelight
Distant Satellites
A Natural Disaster
Take Shelter
Encore 2:
Fragile Dreams