Introduzione e report a cura di Andrea Intacchi
Quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di due si unirono compatti in fila per sei col resto di due, eccetera eccetera… Bene, se ora, dalla filastrocca di zecchiniana memoria, togliete quaranta felini baffuti avrete esattamente il numero dei presenti accorsi al Legend Club di Milano per la prima delle due date italiane degli Angelus Apatrida. Già, indovinato: eravamo in quattro gatti. Che tutti abbiano approfittato della festa ‘santifera’ per scappare dalla city per un weekend fuori porta? Può essere. Che qualcuno non abbia retto agli spaventi mondani dell’appena trascorsa Notte delle Streghe? Meno probabile. Sta di fatto che le file di persone assiepate alla transenna di fronte ai quattro di Albacete saranno state complessivamente tre-barra-quattro. Chiariamoci: nessuno si aspettava chissà quale sold-out, ma un numero ben diverso di presenze metallare, thrasher in primis, era sicuramente auspicabile. Ora, senza voler cadere o scadere in facili piagnistei, invitiamo i gentili utenti ad evitare frasi fatte o elucubrazioni mentali simili sottoforma di ‘dobbiamo supportare la scena metal’ e smettere di chiedersi perché certe band, anche più titolate, o semplicemente più famose degli Angelus, compiono ormai un doppio salto a pie’ pari tra Francia, Svizzera e Austria, evitando così il nostro paese. Un trattamento, e veniamo finalmente allo show, che non ha assolutamente scalfito la prestazione della band iberica. Se il loro ultimo album celebra il rito della ghigliottina un motivo ci sarà: teste mozzate ovunque tra riff al fulmicotone e passaggi più tecnici e ricercati per un’ora di sano e sudorifero thrash metal. Ad accompagnare la data milanese degli Angelus, due gruppi made in Italy: gli Enemynside e gli Ural. Buona lettura!
URAL
‘Thrash metal from outer space’. Così riportano le spille degli Ural, distribuite sul tappetino riservato al merch della band. Un thrash vecchia maniera, quello riversato dai cinque giovani piemontesi, che riporta la macchina del tempo agli anni ’80, quando residui punk e accenni di crossover trovavano più di una possibilità d’incontro con il genere metal menzionato. Di fronte ad una platea ahinoi scarsa, il quintetto torinese non perde tempo e attacca nell’immediato con “Werewolf”, tratta dal loro ultimo full-length “Just For Fun”. Un album che, vista la sua recentissima pubblicazione (lo scorso settembre), verrà quasi interamente riproposto nel corso della mezz’ora a disposizione. Supportati da un audio di tutto rispetto (nota non di poco conto e che conferma il Legend come uno dei migliori locali della zona sotto questo aspetto), gli Ural proseguono la propria esibizione su continui cambi di ritmo, lanciando una dedica speciale alla donne in occasione del brano siglato “W.D.W”. Discreta la prova globale della band, ma menzione speciale per il singer Andrea Calviello ed il batterista Filippo Torno. Ed è con “Party With The Wolf”, tratta dall’omonimo debutto, che il gruppo di Ivrea si congeda dai presenti lasciando così il posto agli amici romani Enemynside.
ENEMYNSIDE
Seguendo linee thrash più moderne, scendiamo geograficamente in Centro Italia, località Roma, per dare ascolto agli Enemynside. Come i colleghi saliti on stage in precedenza, anche la band capitolina è fresca-fresca di release: è di fine ottobre, infatti, la pubblicazione di “Chaos Machine”, album importante che ha rimesso prepotentemente in pista il gruppo guidato dalla coppia formata da Francesco Cremisini e Matt Bellezza. Ma se in studio il sound ed il mordente in generale hanno messo in mostra una determinazione d’intenti davvero convincente, in versione live (almeno per la data milanese) qualcosina si è raffreddato. Non tanto dal punto di vista tecnico, quanto piuttosto da quello emozionale, adrenalinico: c’è da dire, a parziale giustificazione del gruppo, che l’atmosfera fin troppo ‘intima’ della serata non l’ha certo aiutato in tal senso. La band non è sicuramente alle prime armi, tuttavia, se anche dall’altra parte della transenna non vi è una risposta calda e partecipativa, tutto diventa più complicato. Precisato ciò, la decina di pezzi esplosiva messa in atto dal quartetto romano ha confermato quanto già scritto in sede di recensione dell’ultima fatica: brani come “Black Mud”, “Deadline”, “Terror” o la stessa “Frozen Prison Cell” hanno replicato il tiro anche nell’esecuzione dal vivo, dimostrando le buonissime capacità individuali di ognuno dei quattro componenti. Uno show discreto, quindi, quello concluso dagli Enemynside, che ci si aspetta di rivedere in un contesto più…affollato. Ed ora prendiamo posizione, stanno arrivando gli Angelus Apatrida…
ANGELUS APATRIDA
Sì, ok, accennare una presa di posizione dopo quanto descritto nella presentazione dell’evento fa abbastanza ridere, ma tant’è. Professionali al 100%, letali come rasoi, gli spagnoli hanno annichilito tutto e tutti, senza se e senza ma. E pensare che, proprio qualche istante prima di imbracciare la propria chitarra, Guillermo ‘Polako’ se la rideva con alcuni dei presenti, tra una birra e l’altra, rivelando che anche in occasione dell’ultima calata sul suolo italico, in compagnia degli Skeletal Remains, il pubblico non aveva risposto alla grande: “Cosa devo dire? Ovvio che ci dispiace…suoneremo per chi c’è“. Ed è stato mostruosamente di parola. Gli Angelus Apatrida occupano le proprie postazioni sull’intro dell’ultimo album, “Cabaret De La Guillotine”, terminata la quale iniziano l’operazione di devasto proprio con l’opener del disco stesso. “Sharpen the Guillotine” ha la capacità di livellare i timpani nel giro di tre nanosecondi, prima che il refrain prenda tutti per mano, o meglio per la testa, in un tourbillon di energia pura. Un brano per capire che i quattro di Albacete sono dannatamente in forma, e la successiva “One Of Us” non fa che confermarlo ulteriormente. Particolarmente su di giri è il drummer Victor che, sarà lo stesso Guillermo a ricordarlo, compì una vera impresa proprio in quell’ultima data italiana, quando riuscì a malapena a prendere in mano le bacchette in quanto fortemente influenzato. Niente a che vedere con la stato di forma sciorinato in quel del Legend: “Immortal” prima e “Vomitive” poi non danno tregua agli astanti e, mentre lo sparuto headbanging si intravede agli angoli del locale, anche nel mezzo qualche corpo inizia a smuoversi per quello che si potrebbe definire un pogo in formato mini ma intenso. Nonostante la sua scarsità, infatti, il pubblico ha partecipato attivamente all’intero concerto, riuscendo così a ‘moltiplicare’ misteriosamente l’euforia globale della serata. “Downfall Of The Nation” e la superba “End Man” non fanno che confermare la qualità live dell’act iberico il quale, dopo un breve spazio pubblicitario per la propria birra (la Martyrs, fruttata, 7.8% di gradazione, non male), ci spara in pieno volto una violentissima “Serpents on Parade” ad anticipare il canonico finale, riassunto nella primordiale “Give ‘Em War” e in “You Are Next”. Cosa aggiungere? Peccato per chi non c’era: si è perso un concertino mica male. La classica serata thrash per pochi intimi; pochi, ma buoni.