a cura di Dario Cattaneo
In questa fredda notte del 13 febbraio ci troviamo al Live Club di Trezzo, in attesa di sentire i brasiliani Angra, al ritorno in terre italiche con un tour da headliner a supporto del nuovo “Aqua”, dopo ben quattro anni di assenza dopo il controverso “Aurora Consurgens”. Anche se lo split dai tre quinti della band originale appartiene oramai al lontano 1999, dalla scarsa affluenza di fan alla sala si può notare subito come nemmeno la bellezza di undici anni siano bastati a far digerire questo drastico cambio di formazione (e in parte anche di stile). Quindi, con una sala tristemente mezza vuota e con una resa sonora decisamente non all’altezza, comincia una serata che ha visto buone prestazioni e tanta simpatia, ma che anche ci dice che purtroppo i tempi del successo stratosferico della band carioca siano oramai del tutto passati… Vediamo come è andata.
KATTAH
Il compito di aprire per gli Angra a questo giro spetta ai giovani Kattah, provenienti dal Brasile, anche se la copertina arabeggiante del loro debutto “Eyes Of Sand” e le numerose influenze mediorientali presenti nel sound farebbero pensare ad un’origine diversa. Prodotti dal bassista degli Shaman Fernando Quesada, i Kattah rappresentano una giovane promessa nell’ambito power metal, autori di un album carino che mischia diverse influenze per rendere più interessante una proposta che a prima vista potrebbe sembrare un po’ derivativa degli stessi Angra. Guidati dal bravo cantante Roni Sauaf, autore di un’ottima prestazione sia dal punto di vista vocale che scenico, la band ci propone un sound fresco e abbastanza maturo, che vede nelle complesse costruzioni quasi progressive di “Lebanon Aura” e nelle melodie immediate di canzoni come la stessa “Eyes of Sand” i propri punti di forza. Il singer Roni, dotato di un’impronta vocale che ricorda abbastanza da vicino quella di Falaschi, si mostra da subito molto attivo e coinvolto dal concerto, e regala al pubblico numerosi salamecchi, smorfie ed inchini, incurante del fatto che solo poche decine di persone assiepate sotto il palco sembrano essere interessate al loro show. Sono proprio l’entusiasmo e gli acuti del cantante che ci fanno promuovere questa giovane band la quale, convinta della qualità dei propri pezzi ed ancora piena di giovanile entusiasmo, riesce a passare sopra lo scarso seguito e i ricorrenti problemi sonori (verso la fine l’amplificatore del bassista è addirittura saltato). Si segnala alla fine dello show una portentosa prova dietro ai tamburi sempre del cantante Sauaf, con un pezzo intitolato “Maracatu”: brano al limite del progressive, in esso il bravo musicista ricorda il Portnoy dei vecchi tempi per stile ed istrionismo. Un applauso dunque ad una band giovane della quale siamo curiosi di sentire un eventuale secondo come-back discografico.
ANGRA
Dopo la prestazione inaspettatamente gradevole degli sconosciuti opener, tocca agli headliner Angra calcare il palco e cercare di attirare l’attenzione dei fan presenti che, se anche con l’inizio dello show sono più numerosi rispetto a prima, risultano ancora decisamente pochi rispetto allo standard degli show che ricordiamo con la vecchia formazione nel periodo “Fireworks”. Proprio la scarsa affluenza sarà uno dei punti che ci farà ricordare questa serata come una fatta di luci e ombre, invece che di un concerto memorabile. Forti di una scaletta oramai consolidata che privilegia decisamente il periodo Falaschi rispetto al glorioso passato, i cinque carioca partono subito a palla con l’opener del nuovo album “Aqua”, attaccando furiosamente con i veloci ritmi di “Arising Thunder”, resa in maniera coinvolgente e ben seguita dal pubblico. Questo iniziale entusiasmo sembra confermare le buone critiche che l’ultima release ha raccolto dal momento della sua uscita, e attesta il ritorno discografico degli Angra come un disco di qualità apprezzato dai fan. Il passato degli Angra torna però prepotente con un’infuocata realizzazione della storica “Angels Cry”, pezzo ancora cantato a squarciagola da tutti i presenti. Il trasporto con cui la canzone viene accolta dal pubblico non fa però che confermare che l’ingombrante passato del gruppo è ancora un duro fardello con cui il combo brasiliano deve fare i conti, anche perché Edu falaschi, per quanto cantante di razza e buon frontman, non può reggere la potenza e l’altezza delle note un tempo cantate da Andre Matos. Dalle successive “Curse Of Nature” e “Awake From Darkness” si cominciano però ad evidenziare i primi fastidiosissimi problemi sonori. Il volume eccessivamente alto, quasi giustificato nelle prime due song dove si cerca l’impatto più che la precisione, comincia ad essere un serio limite alla band, e gli acuti di Falaschi, nonché una mal prodotta chitarra di Bittencourt, spesso ci stridono nelle orecchie. Molti tendono ad associare un volume alto ad una performance più ‘metal’, ma questo può andare bene quando si parla dei Manowar, non degli Angra che da sempre privilegiano la qualità della proposta musicale e la cura nel dettaglio in canzoni musicalmente ricche e piene di influenze. Volendo anche passare sopra a questo aspetto, però, non si può non accennare al fatto che la resa sonora sulla voce di Falaschi, metallica negli acuti e impastata sui toni bassi, non sia assolutamente all’altezza del concerto che i fan si aspettavano. Ci tocca così assistere ad una “Lease Of Life” assolutamente rovinata da ronzii e vibrazioni nella parte iniziale e ad un duo “Spread Your Fire” e “Waiting Silence” decisamente impastate e insufficienti dal punto di vista sonoro. Una prima sorpresa la abbiamo constatando la presenza di Bittencourt alla voce in “The Voice Commanding You”, pezzo in cui il chitarrista si rivela anche abbastanza bravo come vocalist. Dopo un terremotante assolo di batteria di Confessori e un interessante interludio chitarristico ad opera del bravissimo Louireiro, si ritorna ai pezzi cantati con “Heroes Of Sand” e “Rebirth”, e per fortuna il sonoro sembra migliorare un po’ rispetto al disastro centrale. La chiusura del concerto è affidata al passato con una veloce successione di hit dell’era Matos come “Nothing To Say”, “Carry On” e “Nova Era”. La chiusura dello show avviene all’insegna del divertimento. In puro stile Nightmare Cinema (una band fittizia inventata dai Dream Theater che gioca sugli opposti Nightmare-Dream e Cinema-Theater), i cinque musicisti si scambiano gli strumenti ed eseguono la cover di Heaven And Hell con una formazione rimaneggiata che vede Louireiro al basso, Bittencourt alla voce, Confessori alla chitarra, Andreoli alla batteria e Falaschi alla chitarra. Dopo quest’ultima simpatica sorpresa lo show finisce e torniamo a casa colpiti dalle prestazioni e dalla presenza sul palco ma delusi dalla resa sonora e dallo scarso seguito.