Report a cura di Carlo Paleari
Non sembra vero che siano già passati vent’anni dalla pubblicazione di quel gioiello che risponde al nome di “Holy Land”, eppure per molti, compreso il sottoscritto, la passione per la band brasiliana nasce proprio con la pubblicazione di quest’album, e molti di voi sicuramente ricorderanno la strabiliante performance che Matos e soci tennero al primissimo Gods Of Metal, che li vide suonare subito prima dei Manowar al vecchio PalaVobis di Milano. Di acqua sotto i punti ne è passata tanta da quel giorno e la band ha attraversato momenti molto difficili, a partire dallo split con André Matos che lasciò alla guida della band la coppia di chitarristi Bittencourt / Loureiro, fino al passato recentissimo, che ha visto Kiko passare alla corte di Dave Mustaine nei Megadeth. Fa un po’ strano, oggi, vedere celebrato un album dal vivo da parte di una formazione che, per quanto eccelsa, ha in comune con la line up originale del disco il solo Rafael Bittencourt. La sensazione, se vogliamo, è un po’ quella di una tribute band di lusso e, probabilmente, questo pensiero deve aver attraversato la mente di molti potenziali avventori, col risultato che il Circolo Colony appare tutt’altro che pieno, nonostante il buon successo di pubblico che queste celebrazioni solitamente riescono a riscuotere.
STAGE OF REALITY
Il compito di aprire le danze per la serata spetta agli Stage Of Reality, band fondata dal chitarrista Andrea Neri (ex-Astarte Syriaca), che ci propone un hard rock dalle venature progressive. Bisogna dare atto a questi musicisti di aver fatto davvero il possibile per coinvolgere gli astanti: saliti sul palco, infatti, questi ragazzi si ritrovano davanti ad un vuoto desolante, con pochissimi spettatori impegnati al bancone del bar o allo stand del merchandising. Sicuramente dover iniziare alle 20.30, ovvero ben due ore prima degli headliner, non aiuta, ma la band si rimbocca le maniche e regala una manciata di canzoni tratte dal loro album “The Breathing Machine”. Abbiamo anche il piacere di ascoltare un’anteprima del loro prossimo lavoro, con la performance del nuovo singolo “Never”, e saggiamente il gruppo sceglie anche di giocarsi la carta della cover, proponendo una buona versione di “Crazy Train” di Ozzy Osbourne. Non possiamo dire che la performance del gruppo ci abbia travolti ma, davvero, di fronte alle premesse iniziali, ritrovarsi al termine del set con un discreto quantitativo di persone ad applaudire è il miglior complimento che la band possa ricevere.
SAILING TO NOWHERE
Tocca poi ai capitolini Sailing To Nowhere lavorare su quanto fatto dagli Stage Of Reality per alzare ulteriormente la temperatura del Colony. La band, guidata dall’ex-Kaledon Marco Palazzi, sale sul palco e appare molto sicura di sé e strutturata anche dal punto di vista visivo, presentandosi con un look dal sapore fantasy. La loro proposta è un power metal dalle forti influenze progressive, caratterizzata dalla doppia voce, maschile e femminile. Anche in questo caso la band ci dà una panoramica del suo album di debutto, “To The Unknown”, regalandoci un’anticipazione del nuovo lavoro, in uscita a febbraio, con il brano “Fight For Your Dreams”. I musicisti suonano con efficacia e il pubblico pare apprezzare la performance. Certamente non abbiamo a che fare con una band dalla spiccata personalità: la proposta dei Sailing To Nowhere ha ancora necessità di crescere in originalità per riuscire ad emergere in un panorama che sta diventando progressivamente saturo. La buona performance dal vivo e le capacità musicali del gruppo lasciano ben sperare affinché questo salto di qualità avvenga al più presto, magari già con l’album in uscita.
ANGRA
Sono circa le 22.40, quando finalmente salgono sul palco gli Angra sulle note di “Newborn Me” e possiamo subito constatare l’ottima forma della band. Rafael Bittencourt si fa affiancare alla chitarra dal bravo Marcelo Barbosa, che non fa rimpiangere l’assenza di Loureiro, suonando con precisione e trasporto; la sezione ritmica di Felipe Andreoli e Bruno Valverde non perde un colpo e si arricchisce anche della presenza di un percussionista affermato come Dedé Reis, che sarà molto importante nell’economia del concerto, soprattutto nei passaggi più etnici di “Holy Land”, e che delizierà il pubblico con una inusuale esibizione di capoeira proprio durante la title-track. Infine, ma non ultimo per importanza, al microfono troviamo il nostro Fabio Lione che, ormai, si destreggia con assoluta maestria nel repertorio della band. Il cantante toscano ha ovviamente un timbro molto diverso sia da quello di Matos che da quello di Falaschi, ma la resa di tutti i brani è stata più che buona: Fabio è un grande professionista e sa dosare la sua voce, andando a colmare i passaggi fuori dal suo spettro vocale, con il mestiere di chi ha consumato i palchi e sa maneggiare perfettamente il suo talento. Dopo un paio di pezzi, “Wings Of Reality” e “Final Light”, arriva il momento del piatto forte della serata, ovvero l’esecuzione integrale di “Holy Land”. Inutile dire come pezzi da novanta quali “Nothing To Say”, “Carolina IV”, “Silence And Distance” o la title track abbiano infiammato il cuore dei presenti. Il suono non sempre risulta eccelso, almeno dalla posizione in cui ci troviamo, con le percussioni e la batteria che spesso coprono la voce di Lione o i passaggi con la chitarra acustica. Sul palco non è presente un tastierista, quindi tutte le parti di pianoforte e le orchestrazioni sono affidate a delle basi registrate: questo un po’ ci dispiace, ma capiamo l’esigenza di dover riproporre necessariamente certi passaggi di molte canzoni. Fabio Lione riesce ad essere convincente durante l’esecuzione dell’intero album, e ci è parso in difficoltà solo in alcuni passaggi di “Z.I.T.O.”, ma stiamo scrivendo di piccole sbavature, che non hanno inficiato la resa finale. Bittencourt, inoltre, si prende in carico le parti vocali di tre pezzi, quelli più lenti, ovvero “Make Believe”, cantata a squarciagola dall’intero locale, la conclusiva “Lullaby For Lucifer”, riproposta in solitaria accompagnato dalla chitarra acustica, e sopratutto “Deep Blue” che, pur non essendo un brano suonato di frequente, riceve una vera e propria ovazione, con dei bellissimi momenti in cui Rafael lascia al pubblico il piacere di cantare con trasporto. Certo, Bittencourt rimane un chitarrista e non un cantante ma nessuno può negargli il diritto di prendersi questo meritato momento tutto per sé. Terminata la performance di “Holy Land”, contrariamente a quanto successo un paio d’anni fa, dove la band presentò una scaletta decisamente striminzita, questa volta gli Angra non hanno intenzione di fermarsi e regalano al pubblico un piccolo excursus sulla loro carriera ormai venticinquennale. Bittencourt si concede un ultimo momento in solitaria con “Silent Call”; “Waiting Silence”, “Angels And Demons”, “Rebirth” e “Nova Era” omaggiano il periodo migliore di Edu Falaschi, mentre dal debutto viene proposta solo “Time”, accolta con calore dal pubblico. Si conclude questa bella serata tra gli applausi e i ringraziamenti e non possiamo che dirci soddisfatti di questa celebrazione che unisce i vecchi Angra con i nuovi. Certo, è un peccato vedere meno di duecento persone partecipare a questa festa, perché un disco eccelso come “Holy Land” avrebbe meritato un anniversario in grande stile; ma poco importa, ci rimettiamo in strada in una serata uggiosa di fine autunno dopo aver solcato i mari del Nuovo Mondo, tra paesaggi lussureggianti, il caldo sole dei Caraibi e lo sciabordio delle onde. Non possiamo davvero chiedere di più.