Introduzione e report di Roberto Guerra e Andrea Intacchi
Fotografie di Benedetta Gaiani
Uno dei concerti più importanti di dicembre è anche uno dei più attesi in assoluto di questo 2024 ormai agli sgoccioli, composto da un trittico di autentiche leggende del thrash metal americano e teutonico, abbinate in maniera ottimale per fornire uno show ad altissimo contenuto di mazzate e acciaio mortale, con un risultato che si è tradotto in un glorioso sold-out in quel dell’Alcatraz di Milano.
Questo ha però generato qualche controversia, soprattutto per via di un apparente sovraffollamento della venue, con le conseguenti e fastidiose code ai bagni, nonché una difficoltà più o meno evidente nell’esecuzione dell’immancabile moshpit, il quale necessiterebbe di uno spazio di manovra maggiore per essere davvero divertente per tutti.
Si tratta comunque di considerazioni dalla valenza limitata, anche perché non ci viene in mente un’altra location nel Nord Italia che avrebbe potuto permettere un risultato simile, numeroso e, nel contempo, gremito e vivace; senza contare che una venue più grande, come il più classico palazzetto dello sport sulla falsariga del Forum di Assago, avrebbe rischiato di non riempirsi a sufficienza, minando così il risultato finale.
Ebbene, all’avvicinarsi della sera il pubblico è già in fermento, e noi non facciamo assolutamente eccezione, in quanto siamo pronti per gettarci nella mischia in compagnia dei primi protagonisti di uno show la cui line-up andrebbe insegnata nelle scuole, come minimo. Buona lettura!
Come già annunciato alla vigilia, la prima ora di ‘storia del thrash metal’, è scattata alle 18.30, orario in verità non proprio fortunato per recarsi con facilità nel capoluogo meneghino: vuoi il canonico caos del fine settimana, vuoi un susseguirsi di eventi extra musicali in programma lo stesso giorno, la mole di traffico in entrata ha raggiunto livelli altissimi.
L’unica soluzione, per chi ha potuto, è stata quella di muoversi in anticipo, tant’è anche, intorno alle 16.30, la coda di persone all’esterno del locale milanese era già importante: un flusso continuo che si è riversato di gran carriera all’interno del locale una volta aperte le porte, prendendo d’assalto sia il guardaroba, sia (soprattutto) la zona merch dove – ahinoi! – abbiamo constatato dei prezzi a dir poco esorbitanti.
Sono state le note di “(You Gotta) Fight For Your Right (To Party)” a darci il segnale: la campanella è suonata ed è il giunto il momento di sedersi, o meglio di salire sui banchi di scuola. L’intro è malvagia, suona di attesa, facendoci già intuire che il massacro sta finalmente per iniziare.
“Avevo visto la setlist in anteprima e quando ho letto che l’avrebbero suonata all’inizio, ho fatto le corse per arrivare in tempo, ma purtroppo non ce l’ho fatta“. Sono le parole di un amico presente al concerto, giunto in leggero ritardo, palesemente rammaricato per non aver potuto vivere da vicino il festival di energia sudorifera sprigionata da “D.N.R”: i TESTAMENT mettono piede on stage e la lezione prende così inizio.
Sì, perchè quello di venerdì sera è stato un vero e proprio trattato di come poter radere al suolo la platea con maestria e divertimento. E’ parso evidente, infatti, osservando da vicino i volti di Chuck, Steve, Eric e soprattutto di Alex (meno visibile il nuovo batterista Chris Dovas in quanto coperto dal drumkit; confidiamo tuttavia anche nel suo compiacimento), come i cinque statunitensi siano andati ben oltre il semplice, e comunque sempre ben costruito, compito in classe: lo spirito trasmesso dal palco è stato quello di una vera e propria celebrazione, coinvolgendo tutto e tutti, sia sul piano emozionale, sia soprattutto su quello fisico.
E se una sentitissima “Return To Serenity” ha colpito nel segno per quanto concerne il primo dei due aspetti, sono state le mine esplosive targate “First Strike Is Deadly” e “Low” a scatenare poghi selvaggi, mentre qualcuno ha tentato di non distogliere gli occhi dagli esercizi in grande stile elargiti da Mr. Skolnick.
Con una scaletta magari non proprio da greatest hits (i grandi classici avevano trovato spazio nelle date estive), comunque ascoltare “Electric Crown”, dal più che sottovalutato “The Ritual” è sempre un piacere.
L’ora a disposizione termina presto e allora Chuck, trasformatosi nel frattempo in versione natalizia con tanto di cappello a forma di abete e palline colorate a corredo, ha buttato lì una terminale “Into The Pit”, così da chiudere il primo terzo di una serata thrash destinata a rimanere tra quelle più riuscite negli ultimi anni. (Andrea Intacchi)
Lo scettro dorato della violenza di oggi è tutto per i teutonici KREATOR, i quali hanno fatto sfoggio di una scenografia on stage ricchissima di elementi, tra demoni assortiti e corpi impiccati, rigorosamente ammantati di rosso e appesi al di sopra di Mille Petrozza e compagni.
Lo scoppio della recentissima “Hate Uber Halles” ha scatenato il putiferio tra gli astanti, che hanno deciso di dare il via a una carneficina superiore a quella dedicata a chi ha suonato prima, protraendola per tutta la durata dello show, arricchendola nelle giuste occasioni con crowd surfing, circle pit e wall Of death di sorta, prontamente incalzati dallo stesso Mille e dal sound terremotante della sua band.
La scaletta in sé ha rappresentato un elemento controverso, visto che si è trattato della ‘solita’ selezione messa in scena dai Kreator, più volte nelle ultime occasioni, con parecchi brani più o meno recenti e qualche classico collocato in momenti strategici – dalle immancabili “Phobia” e “Enemy Of God”, passando per il singolo “666 – World Divided”, culminando in “Hordes Of Chaos (A Necrologue For The Elite)” e “Hail To The Hordes”, il tutto trasudando quella verve dalla parvenza contaminata e trasversale che permea tuttora le opere post anni ‘2000 della band, la quale, fortunatamente, ha dato il via alla seconda parte dello show con la devastante “Betrayer”, direttamente dalla fine degli anni ’80, per la gioia di tutti quei fan un po’ più nostalgici.
“Satan Is Real” ci è simpatica come canzone, anche se continuiamo a chiederci come mai la band si ostini a tenerla in scaletta, trattandosi di un brano estremamente melodico, ma anche abbastanza evitabile in sede live, al contrario di una “Phantom Antichrist” che ci fa ancora storcere il naso nella sua versione su disco, ma che dal vivo ha svolto ottimamente il suo lavoro grazie ad una sapiente dose di botte musicali, prima di una “Strongest Of The Strong” dedicata ai colleghi che li hanno accompagnati in questo tour.
La grinta sprigionata dai musicisti on stage, abbinata ad una pulizia esecutiva invidiabile in fase solista, non è bastata tuttavia a tutti gli astanti, i quali, in alcuni casi, hanno manifestato la voglia di qualche tuffo nel passato in più. Desiderio avveratosi con il trittico “Terrible Certainty”, “Violent Revolution” e “Pleasure To Kill”, che hanno così messo una pezza su quella sensazione di aver assistito ad uno show un po’ troppo fossilizzato sulla parte moderna della carriera, che abbiamo comunque apprezzato.
A scanso di questo, e di una leggera prevedibilità, lo show dei Kreator è stato da premiare in quanto, oggettivamente, sono stati coloro che hanno spinto più forte sull’acceleratore, sciorinando una quantità di aggressività ed estro sanguinario ineguagliabili quest’oggi, rendendo di fatto onore al territorio europeo in questo tour a prevalenza americana. (Roberto Guerra)
Riprendere le forze dopo il massiccio uppercut dei Testament e l’orda furiosa dei Kreator non è stato semplice: d’obbligo una passeggiata d’alleggerimento e un giusto rinfresco delle fauci; eseguite entrambe le attività, ci si è rimessi in postazione.
All’appello, per chiudere definitivamente il terzo capitolo del nostro libro thrash, mancavano gli ANTHRAX: in attesa quindi del nuovo album, Scott e compagni sono tornati nel nostro paese dopo ben sei anni di assenza (l’anno era il 2018, in occasione del tour di ‘addio’ degli Slayer) e, diciamolo, il loro stato di forma è parso ancora su buoni, buonissimi livelli.
E se qualcuno aveva qualche dubbio circa le condizioni vocali di Joey Belladonna, la prova di venerdì ha messo a tacere anche alcuni scettici dell’ultima ora: che il day-off del giorno precedente abbia giovato sulla performance globale della band? Può darsi. Rimane il fatto che anche lo show del gruppo di New York ha lasciato pochi spazi di riflessione, pestando dritti, in onore del “Metal Thrashing Mad”.
E allora, al termine di un intro-fiume, francamente un po’ lunghetta, con un video in cui personaggi del mondo metal e no (da Steve Harris a John Carpenter, da Dave Mustaine a Keanu Reeves, da Phil Anselmo sino ad un acclamatissimo Stephen King) hanno esaltato il quintetto americano, è stata “A.I.R.” a dare il via ad un nuovo vortice di moshpit e crowd surfing, con lo stesso Belladonna ad aizzare costantemente la folla, mentre là dietro tal Charlie Benante inizia a fendere colpi sulla propria batteria ‘funkopopeggiante’. Nessun demone al seguito degli Anthrax, solo un maxi logo glitterato d’argento sullo sfondo, quasi a definire a chiare lettere chi stava suonando in quel momento.
La scaletta, da diverso tempo ormai, non conosce grandi variabili, ma la grinta esplosiva di brani come “Caught in a Mosh”, “I Am The Law” e la più ‘recente’ “Fight’em ‘Til You Can’t”, non hanno molte rivali in tal senso. L’interazione col pubblico è sempre stata una delle armi vincenti da parte di Belladonna e compagni: con un Frank Bello instancabile, spaziando in ogni angolo dello stage, è stato lo stesso frontman americano a chiedere quanti dei presenti fossero al loro primo concerto con gli Anthrax, ricevendo parecchi responsi, a testimonianza di come la vecchia scuola riesca a chiamare a sé anche le nuove generazioni.
E’ stato invece un boato quello che è risuonato tra le mura dell’Alcatraz in seguito alla semplice domanda di Scott Ian: “Do you like thrash metal?“, salvo riprendere nell’immediato un metallaro distratto, reo di non aver risposto all’appello: “Ehi, perchè non alzi la mano? Non ti piace il thrash metal? Pensavi di essere ad uno show di Zucchero?“; e via di “Metal Thrashing Mad” giusto per chiudere la questione.
La seconda parte dello show, consolidando il target euforico dell’intera serata, ha avuto i suoi picchi di entusiasmo con “Medusa” e l’immancabile trittico finale con l’inno generazionale “Antisocial” a fare da apripista per “Indians” e la conclusiva “N.F.L.”. Un’ autentica ‘killer mosh sorpresa’, come recitava uno dei poster dedicati all’evento, a conferma della storicità di un triplice concerto, il cui sold-out è stato solo uno dei dati ad evidenziare il valore della serata; il resto lo hanno fatto i faccioni esausti con tanto di sorriso a trentadue denti apparsi fuori dal locale volta terminato l’ultimo riff. (Andrea Intacchi)
TESTAMENT
KREATOR
ANTHRAX