Report a cura di Chiara Franchi
Foto a cura di Davide Serafini
Guidare verso Majano la sera del 22 luglio è un po’ come andare verso Mordor: man mano che la meta si avvicina, i profili delle montagne avvolte in una coltre di nubi color piombo si fanno sempre più nitidi, illuminati di tanto in tanto da qualche inquietante lampo rossastro. Chi è già sul posto manda messaggi poco rassicuranti riguardo al meteo: “Promette male, ma speriamo bene”. Memori dell’alluvione abbattutasi sui Down due anni fa, non possiamo che incrociare le dita. Anche perché il Festival di Majano, vera istituzione da queste parti del Friuli (e non solo), meriterebbe davvero tutte le benedizioni, inclusa quella del clima. Quanti festival sono rimasti, in Italia, capaci di offrire gratuitamente band del calibro di Down, Trivium, Lacuna Coil e Anthrax? E di offrirle in uno spazio adeguato, su un palco degno di un grande evento, con un’organizzazione pressoché impeccabile e un contorno di sagra paesana il cui menù, a detta di chi lo ha testato, è una vera delizia? Infatti, dopo averci spaventato con qualche goccia poco prima dell’inizio dello show, il Qualcuno o Qualcosa lassù deve aver capito che una serata come questa non si meritava l’inclemenza della pioggia. No, una serata come questa merita solo applausi. Vediamo perché!
ANTHRAX
Gli Anthrax sono in Italia per due grandi occasioni. La prima è la promozione del loro nuovo album “For All Kings”, uscito a gennaio e accolto da pubblico e critica, come qualsiasi nuovo lavoro di una band storica, tra ovazioni e alzate di sopracciglio. La seconda è il trentacinquesimo anniversario di carriera della formazione newyorkese, per il quale ci uniamo di cuore all’“Happy Birthday” gridato sul palco da Joey Belladonna. Ma come sono questi Anthrax, dopo ben sette lustri di attività? Prima di scendere nei dettagli, ci sembra doveroso precisare che il chitarrista solista Jonathan Donais è in squadra da soli tre anni e, soprattutto, che Charlie Benante sembrerebbe aver tirato pacco all’Europa anche stavolta, facendosi sostituire dal già collaudato, superlativo Jon Dette. Quindi, in un certo senso, quelli di stasera sono gli Anthrax per tre quinti e mezzo. Pochi, ma buoni: fin dall’entrata in scena sulla solenne “Impaled” e dalle primissime note della nuova “You Gotta Believe”, la band appare in ottima forma, sia musicalmente che fisicamente. Certo non si può dire che Belladonna si scanni di headbanging, ma alla faccia dei suoi cinquantacinque anni portati malissimo, quanto a entusiasmo e corde vocali c’è eccome. La scaletta prosegue con “Monsters At The End”, fedele all’incipit di “For All Kings”. I brani superano brillantemente la prova palcoscenico, ma per quanto calorosa sia stata l’accoglienza del pubblico, niente può scatenare il pogo meglio della tripletta “Caught In A Mosh”, “Madhouse” e “Got The Time”. In generale, la setlist ha visto una netta predominanza dell’ultima release, ma l’affezione dei fan verso la discografia degli anni Ottanta e Novanta si è fatta sentire forte e chiara. Come quando il pubblico ha invocato a gran voce “Antisocial” e, neanche a farlo apposta, si è alzata dal palco proprio la cover dei Trust. On stage, la presenza poco fisica di Joey Belladonna è ampiamente compensata dall’incontenibile piacioneria di Frank Bello e dal carisma “caprino” di Scott Ian, praticamente due mitragliatori caricati a riff. A fare le spese dell’energia della storica coppia basso-chitarra ritmica è Donais, meraviglioso dal punto di vista tecnico ma costantemente in ombra, non è chiaro se per scelta della band o perché soffocato dall’esuberanza dei colleghi. Per il resto, la performance si mantiene per tutto il tempo su livelli altissimi, proseguendo dritta, diretta e incalzante come i pezzi che si susseguono uno dopo l’altro. Perfino la marcia (da intendersi qui sia come sostantivo che come aggettivo) “March Of The S.O.D.”, cover degli Stormtroopers Of Death che dovrebbe fare da “sgroppino” fra portate di un certo calibro come la classica “Medusa” e “In The End”, si rivela un espediente per caricare ancora di più la molla. L’encore è affidato a “Breathing Lightining” e all’irrinunciabile “Indians”, chiudendo il concerto con quell’accostamento tra nuove hit e vecchie glorie che ben sintetizza le due anime di questo tour. Al termine dell’ora e mezza circa di spettacolo, possiamo confermare che gli Anthrax volano ancora molto in alto: con la schiettezza musicale che li contraddistingue unita ad una grande efficacia tecnica e ad una presenza trascinante, i Nostri hanno coinvolto non solo i fan, ma anche chi era venuto “solo” per vedere un gruppo famoso senza spendere un euro. Ciliegina sulla torta di questa serata da ricordare, un sound come non ci capitava di sentire da anni. Caro Festival di Majano, ha avuto ben ragione Scott Ian, certamente ignaro di cosa potesse significare per la gente di qui sentirgli proferire questa frase, quando ha gridato nel microfono “I fuckin’ love Friuli”: ci vediamo l’anno prossimo!
Setlist:
Impaled
You Gotta Believe
Monster At The End
Caught In A Mosh
Madhouse
Got The Time (Joe Jackson)
Fight ‘Em ‘Til You Can’t
Evil Twin
Medusa
March Of The S.O.D. (Stormtroopers Of Death)
In The End
Antisocial (Trust)
Encore:
Breathing Lightning
Indians