A cura di Davide Romagnoli
Sette anni fa usciva “Leaving Eden”. Un disco di svolta per la creatura di Mick Moss, sdoganatosi totalmente dalle influenze dell’amico e collega Duncan Patterson e dalle reminescenze elettroniche dei primi due lavori. Un disco che fu accolto bene e male. Introspettivo. Semi-acustico. Un disco che nella cornice del Legend 54 di Milano vediamo riproporre nella sua totalità e con l’intera band ben sette anni dopo. Alcuni di noi non hanno ancora lasciato l’Eden. A quanto pare.
THE SHIVER
Apripista della serata gli italianissimi The Shiver, tornati in territorio materno dopo le scorribande live nel territorio d’Oltralpe e l’uscita del loro terzo lavoro “The Darkest Hour”. Proposta interessante, il loro dark rock mischiato a schitarrate aggressive, che li pone a metà strada tra l’alternative più moderno e la composizione intima quasi dark. Dal pubblico sembra si sentano paragoni a metà tra l’azzardato e l’azzeccato quando salta fuori l’appellativo ‘Paramore oscuri’. Al di là delle definizioni, la prestazione di Faith e soci risulta piacevole e un’interessante introduzione al main act della serata, dimostando di meritare un ascolto attento e approfondito.
ANTIMATTER
Introdotta da “Paranova” dall’ultimo “Fear Of A Unique Identity”, la scaletta di questa sera riserva sorprese piuttosto piacevoli: oltre a “Last Laugh” dal buon vecchio “Saviour” e alcuni dei brani migliori dell’ultimo album, possiamo apprezzare per la prima volta il singolo “War”, del nuovo progetto Sleeping Pulse, e risentiamo finalmente alcuni bellissimi brani dimenticati tratti da “Leaving Eden”, che spiccano sicuramente per intensità e impatto. La band e il sound ottimo del locale aiutano Mr. Moss a integrarsi perfettamente nel mood della serata, apparendo sia come cantautore dotato di una certa aurea alla quale porsi con rispetto magistrale, sia come vecchio compagno bontempone al quale togliere lo sgabello mentre ci si beve una pinta insieme. Cornice e situazione intima che racchiudono l’essenza del disco in questione, riuscendo a riportare on stage quello che di buono era stato riprodotto su nastro. Il pubblico è piacevolmente coinvolto e interessato ai minimi dettagli dei passaggi di ogni pezzo, dall’ebow che sciorina melodie oniriche e fluttuanti agli arpeggi di Mick, fino all’interessante contrappunto ritmico di batteria e basso, mai scontat0. Poco importa infatti -data la situazione- la dimenticanza da parte del frontman di alcuni versi di “Fighting For A Lost Cause”, che concludeva “Leaving Eden”. Poco importa perchè è tutto vero. Ed è proprio quella dimensione di familiarità palco-spettatore che permette di tornare a casa con le tasche piene e le orecchie soddisfatte. Nulla di trascendentale. Ma la purezza e l’onestà -e un pugno di belle canzoni- restano elementi importanti per un apprezzamento sincero. E quando le luci del Legend 54 si spengono completamente per la cover di “Welcome To The Machine” dei Pink Floyd non si può che meditare. E promuovere il buon vecchio Mick Moss ancora una volta.