Report a cura di Edoardo De Nardi
Il Titty Twister di Parma è ancora una volta teatro dell’estremo, ospitando l’unica passata italiana del Continental Crucifixion Tour capitanato dagli Archgoat, ma accompagnato da più che valide realtà dell’underground internazionale. I paladini finlandesi del black/death metal più intransigente infatti condividono il palco con la musica certamente più atmosferica di Bölzer e Svartidaudi, regalando nel complesso un gustoso spaccato sulle varie correnti del metal estremo odierno. Per motivi di causa di forza maggiore, non riusciamo ad assistere alle performance di Hadit e Whiskey Ritual, entrambe le band italiane poste in apertura della serata, ma gli ottimi commenti tra i presenti lasciano presagire un inizio ideale rispetto alla qualità elevata del resto del bill. La possibilità inoltre di assistere in una location intima e contenuta allo spettacolo di gruppi abituati a palchi di ben altra dimensione e portata rappresenta un ulteriore motivo di interesse nel seguire con trasporto la scaletta prevista, contornata da un pubblico coinvolto ed incuriosito dalla prova live di alcuni dei nomi al momento più lanciati e rispettati da stampa ed addetti ai lavori nell’intero circuito mondiale.
EGGS OF GOMORRH
Riusciamo ad assistere all’intero show degli Eggs Of Gomorrh e dobbiamo ammettere che l’esperienza si rivela parimenti piacevole ed estenuante. I Nostri, infatti, sono forse i più forsennati tra i gruppi in programma e le loro fulminanti ripartenze e i loro cambi di tempo creano il marasma necessario ad aumentare la foga e l’impeto del pubblico, fornendo una prova caotica ma meticolosa. Gli svizzeri annodano intorno ad un death metal marcio e contaminato il loro primo riferimento, finendo spesso però per imbastardirsi col black ed il thrash più veloce, lasciando veramente poco spazio per riprendere fiato tra un riff e l’altro. Lo show del cantante principale, B.N.G.V., è massacrante al punto giusto, tanto nella voce quanto nella resa scenica, accompagnato nei growl abissali dal chitarrista J.FHRR che gestisce con abilità entrambe le mansioni all’interno del gruppo. Il suono della chitarra rimarrà sotto gli altri strumenti per tutto il tempo, facendo si che l’audience venga attirata primariamente dalle bordate del basso e lasciando in secondo piano l’articolato scorrere della sei-corde; l’impatto generale del gruppo è comunque debordante. Gli estratti dal debut “Rot Prophet” scorrono via veloci, fino ad arrivare alla conclusiva cover di “Ritual” dei Blasphemy che, furbamente, aiuta a strappare gli ultimi consensi positivi tra i presenti sugli Eggs Of Gomorrh, meritevole band apripista di questo tour europeo.
BÖLZER
E’ il duo svizzero dei Bölzer a succedere rapidamente alla prima band, cominciando ad attirare sottopalco i primi curiosi e riempiendo gradualmente la sala del Titty Twister. Fin dalle prime battute di carriera, i Bölzer sono stati contornati da un polverone mediatico decisamente consistente, realizzando nel giro di poco tempo tour mondiali di grandissima visibilità ed espandendo il loro nome in maniera imprevedibile, soprattutto alla luce dell’esiguo materiale in studio rilasciato fino ad allora. Per i due, questo è il primo importante set di date in supporto all’uscita di “Hero”, primo vero full rilasciato a fine dell’anno passato, e si nota da parte loro l’interesse a mantenere nello stesso tempo lo spirito battagliero e fiero dei primi tempi e l’evoluzione più epica e spirituale del nuovo materiale, in una fusione che a conti fatti risulterà magnetica e segnante. Si parte proprio con l’incipit del nuovo album, in cui i numerosi amplificatori di KzR vomitano impietosi gli arabeschi della chitarra a dieci corde del corpulento frontman in un impasto sonoro ancora non perfetto, ma già sinuosamente avvolgente. Lo scorrere lungo, quasi meditativo, di molti dei brani, crea una magica empatia col pubblico che va a crescere minuto dopo minuto, lasciando che il climax s’innalzi grazie alle sciabolate di chitarra, ai pattern spartani e finemente schematici di HzR alla batteria, alla voce ululante ed evocativa, raggiungendo una fusione superiore tra le varie parti in campo. Il potere ritualistico dei Bölzer è racchiuso proprio nella semplicità quasi primitiva delle sue componenti, nella ruvidezza totalmente fisica del suono e del corpo che si eleva fino all’atmosfera e all’anima, appagando ogni aspetto interessato nella fruizione del loro spettacolo. Si abbandona momentaneamente la dimensione terrena per seguire quasi in trance le eroiche vicende del duo, che riff dopo riff conquista definitivamente l’attenzione di tutti i presenti. L’intesa ormai ampiamente rodata tra i due musicisti permette di dar vita ad un’amalgama sonora ricca e composita, quasi incredibile se si considera la mancanza di basso e seconda chitarra, ma perfettamente costituita e non mancante di niente in termini di spessore o presenza. In men che non si dica si arriva alla fine dello show, ed è solo in quel momento che si realizza la capacità ipnotica dei Bölzer, che ci scaraventano nuovamente nella crudezza della vita reale dopo averci letteralmente fatto sognare in ogni secondo del loro set.
SVARTIDAUDI
A differenza dei loro predecessori, gli Svartidaudi impiegano molto tempo, sicuramente ben più di quello previsto in scaletta, per il loro cambio palco e per la prova dei suoni, smorzando in parte l’entusiasmo andato creandosi nel pubblico fino a pochi minuti prima. Da un certo punto di vista però, l’attesa è comprensibilmente giustificata dalla grande ricchezza tecnica e strumentale messa in mostra dagli islandesi nel loro black metal atmosferico e moderno. Delle band in cartellone, questa è infatti quella tecnicamente più preparata ed esigente ed il suo interesse a raggiungere delle premesse soddisfacenti prima di iniziare il concerto sottolinea in realtà un interesse rigoroso verso se stessa e verso gli spettatori. Qualche minuto in più del previsto comunque, e la carica annichilente del combo si abbatte sul Titty Twister senza pietà, per un’ora di concerto circa che lascia cicatrici visibili al suo termine. Gli Svartidaudi fanno della dissonanza il loro pane quotidiano, la sbilenca base della loro angosciante architettura musicale, e realizzano ciò con arpeggi di chitarra fuori di testa, accompagnati da ritmiche furiose ed un comparto basso/batteria a dir poco fantasioso, spesso sprezzante rispetto a soluzioni più canoniche ed originale nel creare strutture ritmiche non convenzionali e molto dinamiche. Anche in questo caso, non si segnalano dei suoni particolarmente nitidi, soprattutto per poter godere appieno dei fini intrecci strumentali della band, ma è comunque evidente il carico di follia e negatività che questi ragazzi portano con loro, ammorbando nel giro di poco la sala da concerto con il loro black metal nocivo e velenoso. La prova vocale è ossessiva e scorticante, improntata su registri medio bassi piuttosto inusuali per una band black metal, ed i lunghi pezzi presentati, estratti in larga parte dall’album “Flesh Cathedral”, ci calano in una dimensione di paranoia totale, tanto è il disagio espresso dalla musica degli islandesi in questo concerto. Ci vuol poco a farsi ammaliare ora dai complessi pattern di batteria, ora dagli strutturati giri di basso, ora dallo stridente lavoro delle doppie chitarre, realizzando un’opera del male iper-dettagliata, nonché fulgido esempio in carne ed ossa di come la famigerata scena islandese, sempre più seguita ed apprezzata, contenga davvero alcune delle perle migliori del nuovo millennio legate alla scena black metal. Forse non tutti i presenti riescono a sopportare una concezione così masochista ed esagerata della dimensione live e verso il finire della scaletta parte del pubblico abbandona momentaneamente la sua postazione ma, a parte questo, non possiamo che segnalare la prova di un gruppo grandioso e maligno, perfettamente conscio delle proprie capacità e, anche se non troppo diretto, comunque legato ad un’idea generale di estremo vivida e vibrante, connessa a sensazioni istintive e primordiali, in linea con le altre band della serata e soprattutto con gli headliner assoluti, gli Archgoat.
ARCHGOAT
Sono anni ormai che i fratelli Puolakanaho mancano dalle scene italiane e possiamo tranquillamente affermare che la sete di sangue e di Archgoat ha di nuovo raggiunto livelli altissimi tra i maniac italiani in questo interminabile lasso di tempo. I finlandesi si sono costruiti nel corso di trenta anni di carriera una reputazione inossidabile ed uno stato di cult band riconosciuto a livello mondiale, elemento che porta a riunirsi tutti gli amanti della musica estrema più bestiale, satanica e delirante che ci sia, in un ritrovo, più che un concerto, che odora di fratellanza underground fin dai primi minuti della loro esibizione. Tra le novità più rilevanti si segnala sicuramente la presenza dietro le pelli del nuovo batterista Goat Aggressor, un pelo più dritto e schematico del suo predecessore, mentre a livello generale niente sembra essere cambiato nell’attitudine blasfema e becera dello squadrone Archgoat: la loro presenza impassibile e sprezzante, il loro suono devastante, le loro canzoni intramontabili sono sempre là, a farsi beffa di noi e della foga imperante che conquista l’audience presente, presto trasformatasi in un pogo sotto palco che sa più di girone infernale che non di normali persone ad un concerto metal. La scaletta, simile ormai da anni, non fa esclusione delle migliori cartucce sparate dal trio nella sua discografia, eseguite per l’occasione con una precisione decisamente inusuale rispetto agli standard a cui ci hanno abituato in passato, e lascia che ogni fan possa vivere il proprio momento di gloria sulle sinistre note dei suoi beniamini. La ormai classica apripista “Nuns, Cunts & Darkness”, “Lord Of The Void”, “Rise Of The Black Moon”, “Apotheosis Of Lucifer”, fino alle battute finali di “Hammer Of Satan”: tutte le canzoni eseguite, insomma, esaltano oltremodo il carattere privo di compromessi della band, la loro essenza profondamente oscura ed anticristiana, la loro verve distaccata e ritualistica che rende lo show una temibile cerimonia riservata a pochi, fedeli, intimi partecipanti. La voce di Lord Angelslayer è come sempre profondissima, gutturale, del tutto bestiale e priva di connotati umani, mentre la chitarra di Ritual Butcherer macina riff dopo riff senza sosta, alternando le bombardate rapidissime in blast beat ai famigerati rallentamenti al limite del doom che rappresentano la dualistica personalità della band fin dagli esordi, lasciando il tempo di rifiatare prima di immergersi nuovamente nella successiva iniezione di blasfemia e di malvagità. Come scritto, tutto gira alla perfezione e persino una dimensione così intima e ‘sentita’ sembra incitare gli Archgoat a dare vita ad una prestazione praticamente impeccabile, pure nei rari momenti dove emergono imperfezioni e sbavature, in realtà del tutto in linea con lo spirito marcio del loro black/death e quindi perfettamente inserite nel contesto generale. Il pubblico non è certo quello dei grandi numeri degli enormi festival estivi, ma ciononostante non vengono mai a mancare un calore ed una partecipazione più che viva da parte di quelli che sono venuti, creando un’atmosfera veramente underground che raramente si ha modo di respirare così nettamente in questi periodi di concerti con cellulari in mano e macchine fotografiche sempre in primo piano: per questa volta, fortunatamente, è stata la musica a dimostrare la sua supremazia, è stato il vecchio spirito ‘old school’ a prevalere su tutto e, ci venga perdonato l’afflato lievemente retrogrado, per una volta si torna a casa con le orecchie che fischiano e le ginocchia che sanguinano per i tanti colpi ricevuti; per una volta si torna a casa provati, stanchi, ma totalmente appagati per aver assistito ad un concerto Metal, di quelli con la M maiuscola, che non lasciano prigionieri ma solo conferme e certezze circa il roseo futuro del genere – riferendosi alla prova di Bölzer e Svartidaudi – e circa l’imbattibile superiorità della vecchia scuola, corrispondente al nome Archgoat.