A cura di Giacomo Slongo
Tech Trek Europe 2023, ovverosia blast-beat, mostri e numeri da circo in chiave modern death metal. Una navicella aliena che gli Archspire – ormai definitivamente stabilitisi ai piani alti del genere – hanno fatto atterrare con l’aiuto dei veterani Psycroptic e Benighted e della new sensation Entheos anche in quel di Milano, ottenendo quella che non esitiamo a definire una risposta di pubblico straordinaria e, una volta tanto, incoraggiante circa lo stato di salute della scena estrema tricolore. Nonostante la serata ‘da culo pesante’ per eccellenza e lo svolgersi simultaneo di Inter-Juventus a pochi chilometri di distanza, sono state infatti centinaia le persone recatesi al Legend Club per partecipare all’evento, con un’ampia fetta di giovanissimi a testimoniare il cambio generazionale e a movimentare incessantemente il parterre a suon di circle pit, cori e stage diving, mettendo i gruppi nelle condizioni di esibirsi in una cornice degna di questo nome, oltre che in linea con quelle del resto del Vecchio Continente.
Causa traffico in direzione del capoluogo lombardo, entriamo nel locale quando gli autori del recente “Time Will Take Us All” hanno già salutato i presenti, ma poco male; appurato dai commenti in sala che il gruppo di Chaney Crabb e Navene Koperweis (ex Animosity, ex Animals as Leaders) non ha deluso le aspettative degli amanti del filone djent, nulla si frappone tra noi e il resto del pacchetto, per un tripudio di tecnica, senso dello humor e brutalità il cui livello di guardia viene subito chiarito dall’arrivo sul palco dei francesi…
Passano gli anni, cambiano i musicisti (fatta ovviamente eccezione per il frontman/membro fondatore Julien Truchan), ma un concerto dei BENIGHTED resta sempre sinonimo di impatto e divertimento sulle note di un brutal-core che, mescolando le influenze di alcuni pezzi grossi del nuovo millennio, non perde praticamente un colpo. Musica che sa essere sia frenetica e concitata, attingendo dalle derive grind di Aborted, Cattle Decapitation e Misery Index, sia groovy e dal quoziente di cafonaggine elevatissimo, a riprova di come Hatebreed e Despised Icon siano stati pienamente interiorizzati dal quartetto, in un flusso di blast-beat e stacchi mosh che questa sera viene davvero accolto a braccia aperte dalla platea. In effetti, la risposta del pubblico agli estratti di “Obscene Repressed” e “Necrobreed” – perno centrale della setlist – può dirsi degna di quella riservata solitamente ad un headliner, con lo stesso Truchan che, quando non impegnato a barcamenarsi fra mille tonalità di growl e scream, appare visibilmente sorpreso e divertito dal massacro di corpi di fronte a lui.
Uno show, in definitiva, verso cui è difficile muovere critiche: venticinque anni di esperienza alle spalle non sono bruscolini, e i Benighted, guidati dalla fisicità di un frontman nato e dalla preparazione di chi gli sta intorno (Kévin Paradis alla batteria su tutti), colpiscono in pieno il bersaglio grosso, con la marcia “Let the Blood Spill Between My Broken Teeth” a chiudere una performance muscolare e trascinante.
A questo punto della serata, il tiro viene alzato ulteriormente dagli PSYCROPTIC e dalla loro proposta vorticosa, tagliente, ma sempre attenta ai concetti di orecchiabilità e presa sull’audience. Spostatosi ormai da anni su un death/thrash moderno e martellante, scelta che a conti fatti gli ha permesso di trovare una sua dimensione all’interno del panorama estremo, affrancandosi dalla brutalità tout court dei primi lavori, il gruppo si presenta sul palco forte degli ottimi riscontri dell’ultimo “Divine Council”, mettendo le cose in chiaro nel giro di pochissimi minuti.
Al microfono, come ormai da tradizione per la dimensione live, troviamo l’esperto Jason Keyser, di ritorno da queste parti dopo la data degli Origin di gennaio, con il bassista Todd Stern a supportare l’operato dei fratelli Joe e David Haley, i quali – rispettivamente impegnati alla chitarra e alla batteria – incarnano da sempre la forza motrice e il cuore pulsante della formazione australiana. Secondo questo assetto ultraconsolidato, i Nostri si cimentano in un set chirurgico senza essere asettico, in equilibrio costante fra assalti all’arma bianca e puntuali digressioni cadenzate, pescando a piene mani dalla fatica dello scorso anno per irretire i novizi e soddisfare i fan del nuovo corso, vero target di riferimento dello show odierno.
L’impatto di episodi come “This Shadowed World”, “Red Asunder” o della più datata “(Ob)Servant”, complice una tecnica strumentale messa al servizio di un songwriting magari poco originale, ma sicuramente spontaneo e fluidissimo, è di quelli che non perdonano, e sulle ali di questa compattezza gli Psycroptic fanno letteralmente il bello e il cattivo tempo, coniugando finezze e cattiveria con l’autorevolezza di chi, oltre a non avere più nulla da dimostrare, bazzica il giro da una vita. Una prova maiuscola, sancita nel migliore dei modi dall’incedere euforico della conclusiva “Enslavement”.
In apertura di articolo, tiravamo in ballo gli alieni per descrivere la natura degli ARCHSPIRE e del loro techno-death parossistico, e dopo averli visti all’opera sul palco non possiamo fare altro che riprendere quel concetto nel tentativo di restituire il senso di esagerazione e disumanità della loro prova. Un jet supersonico finito nell’acceleratore di particelle del CERN e catapultato in una galassia di creature tentacolari e sanguinarie, simili all’essere che campeggia sul flyer di questo tour. A grandi linee, è questa l’immagine evocata dalla musica della formazione di Vancouver, estremizzazione concettuale del suono di Necrophagist, Origin e Spawn of Possession che in sede live non perde nulla rispetto alla sua versione in studio, e che anzi fa cadere ancora più a terra la mascella vista la palese assenza di trucchi o artifici. Tutto ciò che i cinque offrono su disco viene replicato senza sbavature anche in questa cornice, con la nota – a margine – che nello sciorinare certe trame alla “Fast & Furious” i canadesi sembra stiano suonando la sigla della Pimpa, tanto appaiono sciolti, rilassati e propensi allo scherzo.
Attingendo esclusivamente dalle ultime due fatiche per Season of Mist, quei “Relentless Mutation” e “Bleed the Future” che a conti fatti ne hanno forgiato il mito, e contando su dei giochi di luce dal sapore sci-fi, gli Archspire seppelliscono il pubblico meneghino sotto una coltre di evoluzioni vertiginose e ‘mitragliate’ di riff e ritmiche vagamente più catchy, condendo il tutto con melodie epiche e stacchi jazz/fusion mai troppo cerebrali o pretenziosi. Menzione a parte, poi, per il frontman Oliver Rae Aleron, vero asso nella manica del progetto che con il suo stile inconfondibile mutuato dall’hip-hop (non a caso, i cambi palco sono stati accompagnati da pezzi di gente come Eminem e 50 Cent) ha falcidiato la sala e sbalordito i presenti con le metriche di un growl monocorde, sì, ma anche perfetto in questo contesto, in un’escalation impazzita che l’incipit di “Calamus Will Animate” ha esemplificato al meglio. Ora della fine, sembra che la testa ci debba scoppiare come in “Scanners”, ma d’altronde anche questo fa parte del gioco; esagerati sotto molti aspetti, attenti però a non calcare la mano del minutaggio complessivo, gli Archspire si congedano dopo circa tre quarti d’ora di mattanza, confermando (se mai ce ne fosse stato il bisogno) una cosa: certi numeri da capogiro non si vedono esattamente tutti i giorni. Esperienza da provare.
Setlist
Remote Tumour Seeker
Bleed the Future
Abandon the Linear
A Dark Horizontal
Human Murmuration
Golden Mouth of Ruin
Calamus Will Animate
Involuntary Doppelgänger
Drone Corpse Aviator