Non ci è dato sapere perchè uno dei tour più interessanti che inaugura la stagione autunnale non passi per lo Stivale (“ragioni logistiche” è la motivazione che è stata addotta ad un promoter italiano lì presente), sta di fatto che, visto che il carrozzone metalcore sfiorava il Nord nella data di Zurigo, alcuni compatrioti si sono lanciati nel trasfertone svizzero, imbarcandosi in code sfiancanti e odiosi calcoli sulla valuta. Se per il traffico ci si può solo votare al santo prediletto,la questione cambio era agevolatissima: pressochè ovunque, e anche nel locale e ai banchi del merchandise, è stato possibile pagare in Euro e ricevere il resto in Franchi svizzeri. Il Rohstofflager, club battuto frequentemente da show metallici, risulta quasi introvabile, se non per la coda di nerovestiti che affolleranno il locale fino alla saturazione completa; una volta entrati non è molto di più di un sotterraneo di un palazzo, diviso in zona bar, dove è stato allestito con ampio spazio il merchandising, e una uguale sezione per la zona concerto, quest’ultima davvero spartana ma dotata di un balconcino comodo comodo. Pure la birra è a buon mercato: i presupposti per un’ottima serata ci sono davvero tutti…
MAROON
In conformità alla famigerata puntualità Svizzera, i tedeschi cominciano alle 20:00 spaccate, in una ‘sala concerti’ solo parzialmente riempita dal pubblico più puntuale. Molti erano assolutamente disinteressati e ciondolavano nella zona bar/merch, mentre nelle prime file i mosher hanno iniziato il riscaldamento roteando gli arti e agitandosi per il piacere della band. Una prova ordinaria e inficiata dai soliti problemi da opener – ovvero suoni bassi, pubblico freddo e missaggio sbilenco. Da segnalare che Andre Moraweck ha un inguardabile taglio da Hitler e ha la brutta abitudine di parlare in inglese, anche se la quasi totalità dei presenti parla lingua tedesca! Nemmeno la setlist mostra novità interessanti: un concerto che nessuno ricorderà a lungo… i teutonici sembrano proprio in parabola discendente.
HIMSA
Anche se “Summon In Thunder” ha riservato ben poche novità (pur restando un album soldissimo), assistere ad uno show degli Himsa resta un’esperienza goduriosa per tutti coloro che apprezzano il connubio hardcore/metal. Se il gruppo non si risparmia un secondo, il frontman John Pettibone riesce anche a fare di più: di sicuro è uno che fa la differenza, muovendosi come un ossesso e lanciandosi a più riprese verso il pubblico, anche rischiando, vista la statura, di schiantarsi rovinosamente contro le transenne… ad un certo punto mima anche un bambino in lacrime quando la security lo prende in braccio e lo riposa, di peso, sul palco. La scaletta, essendo un’esibizione ridotta, non permette di eseguire molto di più dei pezzi noti e apprezzati, lasciando l’amaro in bocca. Posizione ingiusta nel bill a quanto il pubblico ha avuto modo di vedere, purtroppo non si può fare a meno di notare che la formazione sembra incatenata all’underground con poche vie di fuga. Se davvero arriveranno in Italia, nei primi mesi dell’anno nuovo per un tour da headliner, farseli scappare sarebbe un peccato mortale.
DARKEST HOUR
Alla fine dei quaranta minuti concessi agli Himsa ci si rende conto che il locale è stracolmo, a fatica si può andare nell’altra sala per abbeverarsi. Un tour che a Milano avrebbe contato realisticamente 200/300 anime ne ha fatte a Zurigo almeno il doppio. Tutti supportano la band di Washington quando sale sul palco, per esplodere nella solita furia thrash con la loro caratteristica attitudine metal mischiata a pose da rocker spaccone, mescolando il vecchio e il nuovo materiale, che suona omogeneo quasi provenisse dallo stesso album. Certo i Darkest Hour non sono i primi della classe, e forse non lo saranno mai, ma è indubbio che i nostri riescano a mettere in piedi un live show coi controca**i, quanto ci si aspetta da una band che da una decade mischia professionalità e passione.
AS I LAY DYING
Quando è il turno degli As I Lay Dying, freschi di un trionfale Warped Tour, il locale sembra sul punto di scoppiare e la temperatura sale vertiginosamente, rendendo difficoltoso pure il mosh alle prime file. Molte ragazze, iniziato il concerto scatenandosi per il bel Tim Lambesis, devono cedere alla mancanza d’ossigeno e ritirarsi ai lati del palco, quasi collassate, per riprendere fiato in qualche modo. L’impatto del gruppo è consistente ed è frutto di una compattezza, un affiatamento e un rodaggio risultato di date su date: in questo modo anche le composizioni più ruffiane dell’ultimo “An Ocean Between Us” coinvolgono tutto il pubblico in cori e battimani. A proposito di melodici, il nuovo acquisto Josh Gilbert si dimostra da subito all’altezza del giudizio del cantante: un bassista e una voce davvero capace che non perde un colpo sulle note alte dei chorus e che regala un attimo di fiato al frontman. Nessuno rinuncia per la temperatura asfissiante all’attacco frontale di “Forever” e le altre, eseguite con entusiasmo e fedeltà assoluta. Poco prima del finale, il drummer Jordan Mancino (no, non ho notato se è davvero mancino) regala un assolo a dire il vero abbastanza canonico, ma che il pubblico dimostra di apprezzare, se non altro per rendere tributo al musicista che durante tutto il concerto non ha fatto una singola sbavatura. I pezzi del nuovo album hanno passato definitivamente la prova del fuoco, e gli As I Lay Dying si confermano tra i migliori!
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