Report e introduzione a cura di Gennaro Dileo
Assistere ad un concerto da headliner del mitico four piece americano è un evento con la E maiuscola che sa quasi di miracolo per chiunque abbia divorato su cd le fantasmagoriche composizioni di Kelly Shaefer & C. I floridiani Atheist – assieme a Death, Pestilence, Nocturnus e Cynic – hanno scritto almeno due capolavori del death metal più tecnico e progressivo: “Unquestionable Presence” e “Elements”, due album che nei primi anni ’90 hanno ridisegnato e di conseguenza innovato il concetto di comporre musica estrema condita da una strabiliante perizia tecnica. Il recente e valido come back discografico “Jupiter”, si rivela una ghiotta occasione per partire in tour celebrativo al quale Metalitalia.com non poteva mancare per nessun motivo, anche se rimarchiamo con un certo disappunto che a fine serata erano presenti soltanto poco più di cento persone. Piccola polemica: ma il supporto alla scena dove è finito?
EXHUMED
Comodamente posizionati in prima fila, ci prepariamo ad assistere alla performance della cult band californiana, nata nei primi anni ’90 e rimasta orgogliosamente impantanata nel più marcio underground sfornando una buona quantità di demo, split e qualche full length. Intorno alle 21:15 il four piece guidato dallo storico leader Matt Harvey sale sul palco per deliziare i nostri timpani con un violento e primordiale death metal che rimanda ai riff dei primissimi Slayer, Possessed e Death, frullati con lievi spruzzate hardcore. Lo scream acido di Harvey – alternato saltuariamente al growl del bassista Leon Del Muerte – esalta il sound infernale che viene forgiato da canzoni come “Necromaniac”, “The Matter Of Splatter” e “Forged in Fire (Formed In Flame)”, veri e propri assalti all’arma bianca che ci costringono ad un incessante headbanging. Nonostante tutto i ragazzi dimostrano di avere una buona padronanza tecnica degli strumenti, con un plauso particolare al chitarrista Wes Caley, impegnato in una rivisitazione della celebre “Eruption” dei Van Halen. Il pubblico dimostra di gradire il sanguinolento antipasto, in attesa di gustarsi il piatto forte della serata. Pollice alto.
ATHEIST
Dopo un cambio di palco durato poco più di venti minuti, si alza il sipario, si accendono i riflettori e le note vorticose di basso e chitarra che rincorrono le folli ritmiche di "Unquestionable Presence" danno il via ad una prova di forza intensa ed emozionante. Il sorridente frontman ed ex chitarrista Kelly Shaefer dimostra sin dal primo secondo di avere ancora le corde vocali in ottima forma, oltre a rivelarsi un ottimo intrattenitore incitando continuamente il pubblico a fare headbanging e a lanciarsi nel pit. Lo storico batterista Steve Flynn è poco meno di una piovra dietro le pelli, impegnato a scandire tempi dispari con disarmante potenza e naturalezza, seguito a ruota dal nuovo entrato Travis Morgan, giovane bassista che ha eseguito con eleganza ed innegabile perizia tecnica le complesse partiture. "Mineral" e soprattutto "Air" sono state accolte con un boato dai fan mai domi, episodi nei quali i due giovani chitarristi Chris Baker e Jason Holloway si sono sbizzarriti in break e rifiniture prestigiose. Spazio anche all’evergreen "Mother Man" – il buon Shaefer non ha fatto nulla per nascondere il suo amore per la marijuana – e alle nuovissime "Second to Sun", "Live And Live Again" e "Faux King Christ", composizioni dalle quali traspare l’innato talento dei Nostri, condito con un pizzico di mestiere. Spetta a "Piece Of Time" – che scatena un curioso mosh, nel quale i presenti raggruppati nelle prime due file – compreso il sottoscritto – si sono impegnati a scuotere con violenza le transenne – sigillare un’esperienza da ripetere non appena possibile. Icone.