STILL REMAINS
ATREYU
Il Rainbow è riscaldato dalle anime che l’hanno riempito discretamente quando gli headliner, decisamente attesi, cominciano la scaletta con una delle loro hit più conosciute: “Bleeding Mascara” rende palese l’abisso tra gli Atreyu e i manichini che hanno suonato prima di loro. Alex Varkatzas è in perfetta forma fisica (ha perso diversi chili dall’ultima apparizione italica al Flamefest) e vuole mostrarlo alle fan prima con una t-shirt smanicata, poco dopo mettendosi a torso nudo e mostrando il fisico, alimentando le fantasie pruriginose di molte Hot Topic girls. Come previsto il pit esplode con un coinvolgimento poco fisico (niente mosh) e molto emotivo, cantando a squarciagola tutti i ritornelli delle successive “Becoming The Bull”, “When Two Are One” e “Doomsday”. Come avrete capito il materiale tratto dal fresco “Lead Sails Paper Anchor” domina la scaletta in lungo e in largo, ma è un danno lieve tenendo conto che si tratta del miglior disco dei ragazzi di O.C. da anni, che allontana parecchio gli Atreyu dai tempi dello swedish metalcore di “Suicide note…”: oggi la band, rodatissima, energica e davvero piacevole, riesce a dimenarsi tra hardcore, metal e rock in maniera agile e orecchiabile. Unica neo le stecche clamorose del frontman quando si tratta di cantare veramente: in “Lose It” Varkatzas ha rimediato veramente una brutta figura, dando subito spazio (per fortuna) al perfetto Brandon Saller, che non ha mancato una nota pur impegnato dietro le pelli. Dopo una versione infuocata del tributo all’hard rock di “Blow”, che fatto la felicità del piccolo Dan Jacobs, il concerto si chiude con “Right Side Of The Bed”, hit irrinunciabile da “The Curse”, giusto per accontentare i fan di vecchia data. Sopravviveranno facilmente al declino annunciato del metalcore.