Report a cura di William Crippa
Fotografie di Francesco Castaldo
22 marzo, giorno degli attentati in Belgio, e per questo tutti sono un poco più tristi; ma è anche il giorno dell’arrivo a Milano, e precisamente all’Alcatraz di via Valtellina, del tour 2016 di Avantasia a supporto del magnifico “Ghostlights”, uscito da meno di due mesi. Sorprende molto constatare che i controlli da parte delle forze dell’ordine, fino a qualche tempo fa davvero rigidi, a dispetto di quanto accaduto a Bruxelles, siano a dir poco inconsistenti. Entrati nel locale, ci rendiamo conto immediatamente che oggi il pubblico delle grandi occasioni non è mancato, ed anche se non c’è stato il sold-out, poco è mancato. Il palco, già allestito su due livelli e con una imponente scala al centro, è davvero molto bello, addobbato a mo’ di rovine. Niente supporting act questa sera e alle 20.30 precise si parte!
AVANTASIA
Ore 20.30 precise, giù le luci e prepotente parte dagli altoparlanti del locale la suggestiva “Also Sprach Zarathustra” di Strauss (per i meno avvezzi ai compositori classici, è il main theme di ‘2001: Odissea Nello Spazio’, o, per i tipi terra-terra come chi vi scrive, l’entry music di Ric Flair in WCW e WWE), accompagnata da un vortice di fari roteanti ad illuminare tutto il locale. La band che supporta Sammet ed i suoi ospiti prende posto sullo stage condotta da un tifo che definire da stadio è quasi riduttivo, prima di dare il via alle danze con “Mistery Of A Blood Red Rose”, opener del nuovo capitolo dell’opera volante, durante la quale Tobias Sammet, leader degli Edguy e mastermind del progetto, appare in cima alle scale per poi scendere in un vero tripudio da parte del pubblico. Tobi, faticando a parlare tra le urla di gioia dei fan, spiega che l’occasione sarà una gran serata di gala, con un concerto della durata di più di tre ore, lasciando poi spazio ai musicisti per l’attacco della potente “Ghostlights”, premiata da un boato enorme con l’arrivo on stage di Michael Kiske. Kiske, che qualcuno ricorderà negli Helloween dei due “Keeper…” ma anche con gli Unisonic dell’amico Kai Hansen, sembra in serata positiva, sorride in maniera quasi (quasi però) amichevole e non appare neppure troppo antipatico, vanitoso e pieno di sè come suo solito, a fare da contraltare a Ronnie Atkins, cantante dei Pretty Maids, che entra in scena dopo di lui per “Invoke The Machine” e “Unchain The Light”; Ronnie cerca di fare il duro con il suo giubbotto di pelle ed il cantato rabbioso, ma in realtà sprizza simpatia da ogni poro. Introdotto come la principale influenza che ha spinto Sammet nella creazione di Edguy ed Avantasia, ecco apparire il quasi settantenne Bob Catley in cima alle scale per cantare “A Restless Heart And Obsidian Skies”: rumoroso, dalla venue parte il coro all’indirizzo del cantante dei Magnum, prima di fare un salto a “The Mistery Of Time” con la conclusiva “The Great Mistery”. Il pubblico, davvero variegato, è composto da giovanissimi metallari e attempati rocker, cinghiali classici e ragazzine seminude, ma non manca il pubblico generalista, arrivato in giacca e cravatta direttamente dall’ufficio o staccatosi per una sera dalla visione di ‘Amici’, attratto dalla portata dell’evento; la venue è calda ed accoglie ogni nuovo ospite come se fosse il più importante della serata, e si lascia coinvolgere in ogni angle ed in ogni gag da parte di Sammet e soci. Viene annunciato un salto nel passato, ma non in un passato troppo lontano, visto che il brano che segue è la splendida “The Scarecrow”, title-track del terzo album, sulla quale fa il suo ingresso in scena Jorn Lande, che duetta e gioca con Tobias lungo tutti gli undici minuti di durata del pezzo; Sammet scherza con l’ex Masterplan ed Ark e spiega ai fan come è nata l’ispirazione per “Lucifer”, visto che Jorn è proprio come questo personaggio, bello e letale. Tocca ora a chi è sempre stato sul palco esibirsi da cantante solista, e viene chiamato all’appello anche Oliver Hartmann, rinomato come artista solista ma anche rimpianto come fantastico cantante negli At Vance, prima di Mats Leven e Rick Altzi: l’episodio affidato a Hartmann è la potente “The Watchmaker’s Dream”. Certo, tutto questo va e vieni di cantanti è fantastico, ma non bisogna dimenticare chi è sul palco dall’inizio dello show per suonare: confermatissima la line-up del precedente tour, con Felix Bohnke degli Edguy ed Andre Neygenfind alla sezione ritmica, a supportare al meglio la coppia di asce, composta dal succitato Oliver Hartmann e dal grandissimo produttore Sasha Paeth, e le tastiere di Miro Rodenberg; ai cori troviamo l’apprezzatissima Amanda Somerville e l’unica new entry di questo tour, Herbie Langhans dei Sinbreed. Da sottolineare i suoni perfetti, sempre, e non poteva essere altrimenti con Paeth sul palco. La band si diverte e suona alla grande, elevando ogni singolo vocalist arrivi di volta in volta sul palco. Tocca infine anche ad Eric Martin, Mr. Big, presentarsi al pubblico dell’Alcatraz, sulle note di “What’s Left Of Me”, annunciato come il cantante più chiacchierone e ‘bocca larga’ del rock. Tutti gli ospiti sono apparsi ed è quindi ora delle esibizioni collettive, con la superba “The Wicked Symphony”, che vede impegnati Lande, Martin, Langhans e Hartmann, oltre allo stesso Sammet. Lo show prosegue con il secondo singolo dal nuovo album, “Draconian Love”, eseguito da Herbie Langhans, e con la fantastica “Farewell”, che vede impegnata in prima persona la favolosa Amanda Somerville, accolta a centropalco con un boato grandissimo da parte della venue. Da infarto vero è il trittico “Stargazers”, “Shelter From The Rain” e “The Story Ain’t Over”, con un grandissimo Catley a fare da mattatore. Sammet prende la parola per ringraziare il pubblico, dicendosi sorpreso però del mancato sold-out di stasera; questo è infatti il quattordicesimo show di questo tour e su quattordici concerti ben dodici sono stati sold-out; questo in realtà non è così importante, perchè il calore del pubblico meneghino ripaga alla grande la mancanza del tutto esaurito. La stanchezza comincia a farsi sentire nel pubblico, ma l’asticella si alza nuovamente con “Let The Storm Descend Upon You”, il brano più lungo ed impegnativo di “Ghostlights”, oltre dodici minuti di complessità strutturale, al termine del quale fortunatamente parte la molto più ‘semplice’ “Promised Land”. Si torna al power metal tedesco puro con la doppietta “Reach Out For The Light” e “Avantasia”, prima che Eric Martin salga in cattedra con la sua faccia tosta per sostituire Sammet in “Twisted Mind” e “Dying For An Angel”, che porta alla pausa. L’encore si apre con il brano che ha riportato in vita Avantasia dopo i primi due dischi, “Lost In Space”, al quale segue il gran finale con tutto il cast al completo per il medley “Sign Of The Cross”/”The Seven Angels”, che chiude il concerto dopo ben 203 minuti! Cosa dire per chiudere? Abbiamo assistito ad uno show incredibile, suonato ad un livello ottimo e che ha visto alternarsi sullo stage nove (9!) cantanti gestiti in maniera perfetta, tenendo la tensione sempre sotto controllo e senza avere mai tempo morto sul palco in quasi tre ore e mezza. Certo, l’audience esce dall’Alcatraz davvero stanca e provato, ma anche felicissima e conscia di aver assistito ad una esibizione in grado di spostare molto in alto l’asticella della perfezione oggettiva.