27/02/2006 - Avenged Sevenfold + Bullets And Octane @ Rainbow - Milano

Pubblicato il 06/03/2006 da
A cura di Maurizio “Big Mo” Borghi
 
28 Febbraio, Rainbow Club di Milano: una delle novità più chiaccherate del panorama hard rock/heavy metal decide di far partire, stranamente, il proprio tour europeo dall’Italia (per poi dedicarsi amplissimamente al solo Regno Unito). Gli Avenged Sevenfold sono senza dubbio un fenomeno: i giovanissimi (tutti con poco più di vent’anni), forti di un contratto con la major Warner Bros, hanno stupito con un album incredibile, ispirato tanto dal metal classico quanto dal rock vizioso dei fondamentali Guns ‘n Roses, per poi diventare piccole icone di stile e far parlare di sé attraverso la stampa, con servizi fotografici pazzeschi (eccezionale quello ispirato a Sin City sul Metal Hammer inglese) e storie di sesso, droga e politica che sembrano uscire dalla bocca del maestro Axl Rose. Prova del fuoco dunque questa esibizione nel club milanese: il gruppo difatti deve dimostrare di non essere una di quelle sempre più frequenti montature ad opera della stampa e delle case discografiche. Le rockstar in erba hanno già dei seguaci fedelissimi anche in Italia, che si schierano già nel pomeriggio in attesa dei loro beniamini.

BULLETS AND OCTANE

Aprono i Bullets and Octane, branco di sbandati direttamente da OC, California. Quale migliore proposta di un rock ‘n roll selvaggio e imbevuto di alcoolici per far partire la festa? Pur essendo totalmente sconosciuto il quartetto si dimostra coinvolgente e scanzonato nello stile che oramai è diventata prerogativa dei gruppi nordeuropei come i Backyard Babies: via le aderentissime t-shirt e fuori il corpo tatuatissimo del trascinatore Gene Louis, che le tenta davvero tutte per svegliare la massa, con risultati simpatici. Il frontman non ha sicuramente un’ugola eccelsa, ma per tutto il concerto riesce a mantenerla sufficientemente calda e sporca. Nulla di nuovo dal punto di vista musicale, il gruppo dà il meglio nei pezzi più tirati e casinisti, che riflettono la loro attitudine anche al di sotto del palco. Divertenti.

AVENGED SEVENFOLD

L’immancabile intro strumentale, molto movimentata e dal piglio cinematografico, fa da colonna sonora all’entrata delle giovani star, da poco in cima alla classifica di TRL negli Stati Uniti (non che la cosa faccia piacere a un metalhead, ma è sempre un indice della popolarità raggiunta negli States). The Reverend si siede dietro una batteria sufficientemente bassa da fare notare la sua figura, Johnny Christ maschera il viso giovane sotto un cappello bianco e dei capelli fucsia, e la coppia di asce composta da Zacky Vengeance e Synister Gates, uno destro e uno mancino, fa da cornice, sempre coperta di tatuaggi e truccata di tutto punto. M. Shadows scuote subito il pubblico e si atteggia in movenze parecchio simili al suo riferimento Axl: bandana con cappellino da trucker girato, occhiali “aviator” e i muscoli in bella vista, per far colpo sulle ragazzine: esteticamente impeccabili questi Avenged Sevenfold, ma è la musica che conta, e proprio dal fattore squisitamente musicale arrivano le prime cattive notizie. L’impianto del Rainbow non è proprio il meglio, il missaggio dei suoni è però più che soddisfacente (non dello stesso livello il volume), tanto da fare notare subito parecchi scivoloni. La formazione non è infatti in grado di riproporre al meglio la maestosità delle composizioni di City of Evil, che hanno sì arrangiamenti complessi e difficili da ricalcare, ma che non vengono nemmeno rispettate ed esaltate a livello di pathos e coinvolgimento nell’esecuzione. Se il gruppo è una gioia per gli occhi e semina pose e coreografie da star navigate si percepisce, in maniera purtroppo negativa, una esecuzione abbastanza fredda e “recitata”, quando metal e rock dovrebbero essere sanguigni e passionali. C’è da dire che è la prima data del tour europeo e che una serata no può capitare a chiunque, e che il piccolo club magari non soddisfa una formazione quasi abituata ad attenzioni eccessive in patria e nel Regno Unito. La performance in ogni caso sale di livello di pezzo in pezzo, come la voce del dotato M. Shadows che si dimostra allenata, potente e graffiante: se la stessa nei primi pezzi era quasi incerta ora della fine è risultata convincente, tagliando furbescamente gli acuti più insidiosi. La scaletta pesca quasi interamente da City of Evil come ci si poteva aspettare, escludendo totalmente brani dell’esordio “Sounding the Seventh Trumpet” ed eseguendo dal capolavoro “Waking The Fallen” solo “Unholy Confessions” e “Chapter Four”, più vicine al sound attuale. Power metal, hard rock e pose plastiche a tutto andare dunque, con gli highlight annunciati di “Bat Country”,”Burn It Down”,”Beast And The Harlot” e “Trashed And Scattered” che fanno impazzire un’audience davvero poco critica. A sorpresa i nostri attaccano “Walk” dei Pantera, citati più volte come influenza (non troppo manifesta a dire il vero), e, orrore e raccapricci, quasi nessuno tra le giovani teste acconciate all’ultima moda riconosce lo storico pezzo. Qualche consenso in più raccoglie l’intro di “Paradise City”, resta il fatto che i presenti dovrebbero studiarsi un pochetto i classici del genere per capire da dove arriva cotanta grazia che compone City Of Evil! Un prova non del tutto convincente tirando le somme, che delude in parte le aspettative (altissime) di chi ha adorato il disco. Rimandati.

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