Nell’enorme panorama musicale odierno, recarsi ad un live di Axel Rudi Pell significa appartenere ad un paio di segmenti di pubblico piuttosto ben definiti: uno può essere quello della ‘vecchia guardia’, fatta di appassionati di hard rock e del primo heavy metal ben oltre la mezza età; un secondo segmento può idealmente essere quello degli amanti della musica tecnica, dei virtuosismi e di un approccio molto classico agli strumenti, trattandosi in fondo di una band che porta tuttora il nome del chitarrista fondatore, come nella migliore tradizione dei Settanta e degli Ottanta.
Quanto questi due segmenti siano popolari e si possano sovrapporre nel complesso mercato di oggi non lo sappiamo con certezza, ma ci è parso fosse questo il tipo di pubblico che abbiamo visto al Druso di Bergamo quando, per una serie di coincidenze lavorative, ci siamo ritrovati ad avere la possibilità di vedere dal vivo Axel e soci e ne abbiamo immediatamente approfittato.
Per chi scrive, le aspettative erano duplici: poter sentire parte del repertorio di quello che reputiamo il periodo d’oro del chitarrista tedesco, ovvero la decade tra metà Novanta e metà Duemila con dischi come “Magic”, “Oceans Of Time” e “The Masquerade Ball”; oltre a questo, verificare lo stato di salute della voce di Johnny Gioeli, ormai da sempre frontman importante e carismatico della formazione tedesca (che ricordiamo, ad inizio carriera ha visto un altro mostro sacro come Jeff Scott Soto in formazione).
Certo, le ultime produzioni in studio del nostro non sono state proprio degne di nota, perciò quello che volevamo portare a casa era un ritratto adeguato e in linea con una carriera di diverse decadi alle spalle, niente di più.
Arriviamo al Druso di Ranica – poco fuori Bergamo – solamente quando la seconda band di apertura, i tedeschi NIGHT LASER, sta terminando l’esibizione con un certo numero di persone a seguirla con interesse. Del loro hard rock/glam non riusciamo purtroppo a sentire più di tanto, ma ci sono sembrati interessanti.
Ci posizioniamo nel locale in attesa del cambio palco, sperando tra l’altro che gli orari annunciati vengano rispettati. E’ così, e poco dopo le nove e mezza una formazione ormai storica della band di Axel Rudi Pell prende possesso del palco.
Le presenze – ad occhio e croce, sul centinaio abbondante – sono a nostro modo di vedere più che adeguate, soprattutto per essere una serata infrasettimanale. E’ altrettanto evidente però come non ci siano avventori casuali e ci sia una certa attesa, segno che anche nel nostro paese Axel ha una sua piccola fanbase.
Dopo il celere cambio palco, la prima impressione, quando i nostri si mostrano al pubblico è purtroppo legata alla loro età anagrafica: a parte il magrissimo chitarrista, vediamo tutti musicisti piuttosto appesantiti come forma fisica e i segni del tempo si mostrano evidenti. In un periodo in cui ci stiamo abituando a vedere i nostri idoli e le grandi band accusare il tempo che passa, è un dato importante da sottolineare, visto che poi ci sono voluti pochi brani per rimanere meravigliati invece di come il tempo musicale non sembri essere andato avanti più di tanto.
L’inizio è affidato ad un paio di brani abbastanza recenti come “Forever Strong” e “Wildest Dreams” che riempiono la sala con una qualità sonora già perfetta che conferma la buona fama del Druso.
Gioeli ci mette pochissimo a dimostrarsi il solito mattatore, comunicandoci di avere il raffreddore ma di voler esibirsi lo stesso. Musicalmente parlando è sufficiente dire che Axel Rudi Pell nel tempo ha continuato imperterrito a proporre la sua miscela di suono Rainbow, vecchi Scorpions e basi del primo heavy metal degli anni Ottanta (in salsa particolarmente Saxon), ed è questo che sentiremo per tutta la serata che, dopo i primi due pezzi, si sposta progressivamente più indietro nel tempo, colpendo nel segno con estratti dal periodo migliore di album come “Mystica”, “Knights And Queens” and “Oceans Of Time”.
A fianco di poderosi inni hard rock/heavy metal come “Strong As A Rock” hanno il loro spazio in scaletta le ballad (come ad esempio, “Don’t Say Goodbye” quella che abbiamo apprezzato di più), altro punto cardine della produzione del nostro.
Come detto, Gioeli è l’intrattenitore perfetto e interpreta al meglio i brani ma i silenziosi compagni hanno tutti il loro momento, a partire dal virtuoso chitarrista che noi abbiamo sempre amato per la sua presenza sì importante, ma decisamente più discreta di quella di tanti guitar hero per antonomasia: è così anche in quel di Bergamo, e il suo stile di ascendenza Ritche Blackmore e Jeff Beck non è mai al centro dell’attenzione ma sostiene il repertorio.
Due parole vanno spese per i già citati comprimari di lusso, a partire dal tastierista Ferdy Doernberg, il bassista Volker Krawczak e la batteria di Bobby Rondinelli, ormai quasi settantenne. Tutti hanno avuto il loro momento sotto i riflettori con un assolo, le backing vocal o semplicemente un siparietto con il mai domo Gioeli, e l’ora e mezza di set è trascorsa davvero velocemente tra gli applausi e la partecipazione dei presenti.
A fine serata, la primissima riflessione da fare è che la battaglia contro il tempo di certi musicisti rock è legata anche all’intelligenza di come proporsi: Axel Rudi Pell e soci non saranno mai stati headliner al Wacken ma sono una presenza costante, professionale ed adeguata che avremo sempre piacere di rivedere finché si potrà, visto come interpretano il loro ruolo dal vivo ovvero con poca appariscenza, tanta sostanza e intelligenza.
Non avremo visto funambolici assoli di diversi minuti stasera né chissà quali invenzioni sul palco, mentre è stata davvero la musica a parlare. E quella è sicuramente di buonissima fattura, senza ombra di dubbio.