Introduzione di Giacomo Slongo
Report a cura di Giacomo Slongo e Giovanni Mascherpa
Il fenomeno black metal del momento (insieme ai Mgla) approda in Italia in occasione del suo primo tour europeo, dando modo ad un’audience che non sia quella dei festival di assaporare le salmodianti trame alla base del fortunatissimo esordio “Litourgiya”. Un successo strepitoso e – per certi versi – inaspettato, quello dei Batushka, capaci in appena dodici mesi di polarizzare l’attenzione dell’intera comunità underground e di balzare in testa alle preferenze di chi, dalla musica estrema, esige sia aggressività che una cospicua dose di ricercatezza ed eleganza (anche e soprattutto a livello visivo). Ad accompagnare il collettivo polacco in questa tranche di date, dopo che in principio era stato lasciato intendere che ce ne sarebbero stati diversi, un solo gruppo spalla, gli Arkona, da poco reduci dalla pubblicazione del loro sesto full-length “Lunaris”, per una serata dalle tinte rigorosamente nere che ha spinto diverse centinaia di persone in quel del Colony di Brescia…
ARKONA
Da non confondersi con gli omonimi folk metaller russi, gli Arkona sono una delle realtà più longeve del panorama black metal polacco. In circolazione ormai dal lontano 1993, il gruppo del chitarrista Khorzon (unico sopravvissuto della line-up degli esordi) ha sempre agito sotto i radar, pubblicando i propri lavori in sordina e riuscendo soltanto di recente a fare un salto di visibilità grazie al contratto con la solida Debemur Morti, stabilmente in prima linea quando si parla di sonorità ferali e diaboliche. Il tour in questione rappresenta quindi la cosiddetta ‘occasione della vita’ per il quartetto di Perzów, che dal canto suo si rende protagonista di uno show essenziale (in linea con la tipologia di sound proposto) ma ficcante, sorretto per buona parte dall’imponente figura del cantante/bassista Drac, unico musicista sul palco a non dare l’impressione di essere una cariatide. Soprassedendo sull’eccessiva freddezza, fattore abituale in contesti di questo tipo, il concerto degli Arkona può sostanzialmente essere visto come un crescendo: i primi brani – complici dei suoni tutt’altro che eccelsi – fluiscono dalle casse senza colpo ferire, con la batteria e lo screaming a sovrastare le dinamiche prodotte dalla coppia d’asce, ma basta poco alla band per aggiustare il tiro e conquistare i favori del pubblico, appagato dalla miscela di black norvegese proveniente dallo stage. Senza troppe sorprese, sono gli episodi del suddetto “Lunaris” a fare la parte del leone, tra arie orchestrali in odore di Emperor e Limbonic Art, rasoiate degne degli Immortal dei tempi d’oro e un senso di malessere preso di peso da un “De Mysteriis Dom Sathanas”, per quella che, a conti fatti, risulterà essere la performance più lunga della serata (cinquanta minuti contro i quaranta dei chiacchieratissimi headliner). Nonostante qualche incertezza, non possiamo che promuoverli.
(Giacomo Slongo)
BATUSHKA
Il potere dei canti gregoriani. Nessuno poteva immaginare suscitassero una tale forza suggestionale nelle menti di chi ascolta metal estremo. A saperlo, magari qualcuno ci avrebbe pensato prima a utilizzarli! Scherzi a parte, guadagnarsi una tale religiosa attenzione da un uditorio formato da appassionati di black metal, giunti in discreta massa al Colony per l’occasione, non è cosa da poco. Farcela con un solo disco alle spalle, un’impresa al limite dell’impossibile. L’hype suscitato dall’esordio i Batushka riescono a suffragarlo con una performance che condensa abilmente aspetti visuali e sonori, all’interno di un’interpretazione dei riti ortodossi raffinata e coinvolgente. Il danzar nell’aria del turibolo maneggiato dall’uomo formato-montagna alla voce principale, mentre tutti gli altri componenti della band sono alle rispettive postazioni, introduce a un’esibizione solenne, colma di una sacralità che, nel caso dei polacchi, prende il sopravvento sulla malvagità normalmente insita nel metal estremo. I suoni si rivelano immediatamente idonei a dare risalto a ogni aspetto della performance, lasciando leggermente in secondo piano soltanto lo screaming. La pulizia vocale lascia di stucco: i canti suonano cristallini, le voci si intersecano in splendida armonia, senza che sussistano disallineamenti con le versioni da studio dei singoli pezzi. Il tono distaccato dei musicisti non sorprende; essi si connotano quali semplici diffusori di un messaggio, da qui la spersonalizzazione dell’individuo e la negazione di qualsiasi gestualità che non sia funzionale alla riproduzione della musica. Considerato il corredo visivo molto vicino a quello rinvenibile in una basilica durante una funzione religiosa, con candele ovunque e un’icona raffigurante la copertina di “Litourgiya” di fronte al microfono, tra il pubblico è tutto uno scattare foto con lo smartphone, scena non proprio usuale in questo tipo di concerti e che dà l’idea di quanto incida il contorno nel suscitare attenzioni su un black metal comunque piuttosto tradizionale. In ciò sta anche il segreto del successo ottenuto finora, perché se è vero che i barocchismi conturbanti imbastiti dalle chitarre e dalle voci pulite dipingono un corollario di meraviglia anche attorno alle parti più vibranti, l’impeto ritmico e la determinazione del riffing rimangono sempre elevati, brucianti pur nella loro visionarietà mistica. L’ariosità dei singoli pezzi e la rifinitura di ogni particolare farebbe quasi pensare che i Batushka stiano veramente officiando un rito ortodosso, con qualche piccolo cambiamento apportato dal proprio gusto personale, perché di malignità propriamente detta ci pare ve ne sia molta di meno che in altre realtà dedite ad alchimie ritualistiche. Un aspetto che forse lascia leggermente deluso chi vorrebbe sentire scorrere brividi di paura lungo la schiena durante un concerto black metal. Alla luce di una prestazione non inficiata da imperfezioni e trascinante dall’inizio alla fine, non ci sentiamo però di dare colpe ai Batushka per questa loro relativa morbidezza. Chiunque avrebbe gradito un’esibizione lievemente più lunga, in sala si sperava magari che ci fosse del nuovo materiale da scoprire. A quanto pare, per ora bisogna accontentarsi delle canzoni di “Litourgiya”, le cui qualità hanno ampiamente compensato la durata modesta dello spettacolo.
(Giovanni Mascherpa)