Report a cura di Bianca Secchieri
Scavallata la seconda metà di settembre, archiviati gli open air e le ferie, è ora di ricominciare con la stagione concertistica, e Bologna si dimostra prontissima in questo senso. La curiosità e l’interesse del pubblico verso la band polacca Batushka sono notevoli ed è infatti un Alchemica gremito di gente ad accoglierci già poco dopo le nove e mezza. E’ un’audience trans-generazionale, che vede assieme elementi della vecchia guardia e liceali ai primi concerti, e che parla con accento veneto e toscano, oltre che emiliano-romagnolo. Sebbene ci aspettassimo un buon ritorno di pubblico, restiamo comunque sorpresi, perché la risposta di questa sera nei confronti di un gruppo abbastanza controverso supera decisamente le nostre aspettative.
Il range di sentimenti che i monaci ortodossi suscitano negli amanti del black metal è ampio e decisamente estremo: da un lato chi dissente completamente, ritenendo il progetto poco più di una furba operazione di marketing, accusando la band di pensare più all’aspetto monetario che a quello artistico (negli ultimi tre anni sono usciti un solo disco e una buona decina di maglie diverse); dall’altro chi è rimasto genuinamente stregato da una proposta di certo unica nel suo genere, o è sensibile all’innegabile hype che avvolge e supporta i Batushka. Noi ci collochiamo idealmente nel mezzo, non nel senso ‘paraculo’ di democristiana derivazione del termine, ma perchè curiosi di (ri)vedere all’opera questo misterioso collettivo per provare a sostituire qualche punto interrogativo con un punto fermo. Ci saremo riusciti?
DARKEND
La band reggiana sta suonando già da una decina di minuti quando riusciamo a varcare la soglia del locale: sotto al palco l’attenzione è alta e l’atmosfera già caldissima, non solo a causa della temperatura clamorosamente elevata – la premessa sull’estate che volge al termine è miseramente contraddetta da un clima che continua a superare i venticinque gradi praticamente notte e giorno – ma grazie anche alla prestazione intensa del sestetto.
I Darkend all’Alchemica giocano in casa, ma scelgono comunque di non risparmiarsi, dimostrando di essere in grado di intrattenere e risultando in linea con il mood della serata. Animae, voce e frontman, muta sul palco in una creatura dall’aspetto trasfigurato da trucco rituale e lenti a contatto bianche, che conduce l’ascoltatore nel mondo oscuro creato dalla band. L’aspetto scenico e teatrale nei Darkend è parte integrante dello show: elementi sciamanici e ritualistici – che non si rifanno ad un immaginario ben preciso – si uniscono a quelli classici del black metal di band come Cradle Of Filth e Dimmu Borgir (aspetto scenografico che li collega facilmente agli headliner Batushka). A livello prettamente musicale la prestazione dei Nostri non presenta sbavature di rilievo, si tratta di una formazione compatta e ampiamente rodata, che sa come tenere il palco e gode di suoni adeguati ad una proposta complessa e variegata come la propria. Il black metal dei Darkend è articolato e si dipana in brani lunghi che incorporano influenze e stili diversi, tanto che la semplice etichetta ‘symphonic black’ si dimostra ormai insufficiente a definire la musica del combo, che ha acquisito una connotazione che travalica il black metal abbracciando il più vasto concetto di metal estremo.
I Darkend utilizzano al meglio il tempo loro concesso e la risposta del pubblico è positiva nonostante il clima in sala sia sempre più rovente.
BATUSHKA
Una lunga intro sottolinea l’entrata in scena degli otto musicisti polacchi. Candele e croci ortodosse fanno bella mostra di sé e la band indossa gli usuali paramenti che ricalcano quelli degli autentici sacerdoti della chiesa ortodossa (di tradizione russa), mentre i volti incappucciati di tutti i membri sono nascosti da una tela simile a garza. Questo aspetto richiama i connazionali Mgla, che da sempre salgono sul palco a volto coperto e che sono spesso accostati anche musicalmente ai Batushka (paragone onestamente piuttosto ingiustificato).
In pochi minuti si crea un’atmosfera di attesa autentica, il cosiddetto religioso silenzio di chi sta assistendo a qualcosa di diverso e lo fa per la prima volta, con annessi filmati dal cellulare, anche se in misura fortunatamente assai minore rispetto a quel che ci si sarebbe aspettati, segno di ritrovata intelligenza o del fatto che i più erano impegnati a conservare le energie per respirare, a voi la scelta.
Al di là di tutto, l’ensemble scenico dei Batushka è esteticamente coinvolgente e di sicuro impatto, peccato che in occasioni affollate come questa un palco basso e di dimensioni abbastanza contenute finisca per limitare la visibilità delle retrovie, rendendo la fruizione dello show non ottimale. Per contro, in queste situazioni ci si avvantaggia della sensazione di raccoglimento ed intimità che è quasi impossibile da ricreare in location più vaste. Questi i pro e i contro riscontrati rispetto alle precedenti esibizioni dei polacchi che abbiamo avuto modo di vedere nel recente passato. Show che sono facilmente comparabili tra loro, dato che la setlist è la stessa da che i Nostri hanno iniziato a calcare i palchi: l’intero album “Litourgiya”, fortunatissima e a tutt’oggi unica loro uscita. Il contratto firmato lo scorso anno con la statunitense Metal Blade ha infatti fruttato al momento solo una (ennesima) ristampa del disco originariamente uscito a fine 2015 per la Witching Hour Productions, la piccola label del cantante Bart.
Molti sono venuti con la speranza di ascoltare un’anticipazione di nuovo materiale, speranza lecita, ma per l’appunto vana. Eppure era abbastanza prevedibile, non solo perchè mancavano i proclami Facebook del caso, ma anche e soprattutto perché “Litourgiya” è, come dice la parola stessa, un servizio di culto, e come tale ha tempi e modi precisi, che mal si concilierebbero con cambiamenti di setlist; oppure no? Perché le grandi domande che ci rimangono, anche al termine del concerto, sono proprio queste: cosa ne sarà dei Batushka? Cosa si può proporre dopo una messa ortodossa in salsa black metal? Come rimanere credibili agli occhi di pubblico e critica (o meglio, come ritrovare credibilità)? Naturalmente non lo sappiamo, l’unica certezza che ci rimane è di aver assistito ad uno spettacolo che pur avendo perso l’effetto novità resta sicuramente qualcosa di unico nel suo genere. Tutto qui? No, perché i quaranta minuti o poco più di musica proposti sono effettivamente capaci di trasportare l’ascoltatore in un luogo ‘altro’, sempre che questi sia ben disposto in questo senso. I molti live che i Batushka si sono lasciati alle spalle negli ultimi due anni e mezzo ci consegnano una band coesa e precisa, che suona esattamente come su disco. Ciò che manca completamente è la componente ‘umana’, sul palco ci sono gli officianti di un rito, non dei musicisti metal. Ecco quindi che l’assenza di ricerca del contatto con il pubblico (aspetto comune in ambito black metal) acquista un significato ulteriore in questo contesto.
Lasciamo l’Alchemica affamati di ossigeno – anche se un fortunato incrocio di condizionatori, che lavoravano a più non posso, ci ha consentito di goderci comunque il concerto – ma abbastanza soddisfatti, in attesa dei Batushka di un futuro che speriamo ormai prossimo.