Introduzione e report di Roberto Guerra
Fotografie di Fabio Livoti
Un umido mercoledì sera milanese in quel dell’Alcatraz di Milano si dipana in compagnia di un trittico di band accomunate, almeno sulla carta, dall’appartenenza a quello che viene ritenuto il filone più attuale del power metal: una serata quindi rivolta fortemente a una determinata schiera di giovani fruitori, ma in grado di far drizzare le antenne anche a molti appassionati dal background più navigato, soprattutto in concomitanza degli attimi finali della serata.
Non mancherà qualche perplessità data da determinate soluzioni messe in risalto dalle prime due line-up in scaletta, ma considerando che parliamo di una proposta generale su cui non mancano quasi mai gli spunti di discussione, la nostra curiosità risulta comunque palpabile. Ci fa inoltre piacere entrare e notare che la scelta del locale è stata quella di preparare il palco nella versione A, destinata agli eventi più grandi, anche se con l’ausilio del telo nero alle spalle dei presenti, così da limitare la sensazione data da una affluenza meno massiccia di quanto ci fossimo inizialmente aspettati. Buona lettura!
Apriamo le danze in compagnia degli svedesi BROTHERS OF METAL, il cui successo di pubblico riscontrato in tempi recenti ci risulta a tratti un po’ inspiegabile, considerando che parliamo di una line-up dedita ad una proposta power-oriented estremamente basilare, poco provvista di grinta e basata su quella che è la componente più melodicamente catchy del genere proposto, abbinata ovviamente ad una presentazione poco distante dai proverbiali ‘vichinghi dell’Ikea’ agghindati ad hoc.
Inoltre, non ci spieghiamo perché una band così banale e musicalmente sempliciotta abbia bisogno di una line-up così numerosa, se non per alimentare ulteriormente il lato più visivo dell’esibizione; anche perché le singole prove non sono nulla di speciale, il guitar work non si sposta mai oltre le linee base e la sezione ritmica risulta anche troppo quadrata. Nonostante appaia evidente il gradimento da parte di una buona fetta di presenti, che non mancano di cantare e applaudire in concomitanza della nota “Yggdrasil” o della conclusiva “Defenders Of Valhalla”, a titolo personale riteniamo il loro sound eccessivamente banale e il loro show del tutto sprovvisto di quell’efficacia e di quella forza che non dovrebbe mai mancare durante un concerto metal, soprattutto da parte di una band che ha deciso di utilizzare come nome il titolo di una canzone dei Manowar, i quali ci hanno insegnato già da tempo l’importanza di essere impattanti, nel momento in cui si mette in scena uno spettacolo appartenente al nostro genere preferito.
Un discorso simile si potrebbe fare anche per gli scozzesi GLORYHAMMER, i quali perlomeno riescono nel compito di proporre dei pezzi piacevoli e più pregni di quegli elementi tanto cari a chi da sempre ritiene il power metal uno dei filoni più coinvolgenti, anche se con un risultato finale ancora modesto.
Sarà che queste realtà, quasi più legate alla gimmick che alla musica vera e propria, da un po’ di tempo a questa parte ci coinvolgono a titolo personale meno rispetto a qualche anno fa, ma in generale non neghiamo di aver emesso qualche sbadiglio durante lo show dei Gloryhammer.
Ci sono armature colorate, voci improbabili, martelli di gommapiuma, comparse vestite da goblin in calzamaglia e persino la rocca di un castello sul palco, ma per quanto riguarda la musica possiamo dire di aver trovato ancora una volta piacevoli le parentesi dedicate alle varie “Angus McFife”, “Universe On Fire” e “Hootsforce”, le quali continuano a convincerci in misura maggiore rispetto a quelle provenienti dal recente “Return To The Kingdom Of Fife”, dalla band descritto come ‘il miglior nuovo album di sempre’; complice anche il nuovo frontman Sozos Michael, dotato di un’ottima ugola, ma generalmente ritenuto un gradino sotto rispetto al suo predecessore Thomas Winkler sul fronte dell’interpretazione e della presenza scenica.
Ciò nonostante il pubblico gradisce, si viene a formare persino un’area di pogo e i musicisti appaiono sufficientemente divertiti, oltre che adeguatamente in parte per quanto riguarda le loro singole prove, ma per quel che ci riguarda permane quella sensazione di effimero che ultimamente sembra dominare una grossa fetta del mercato power metal europeo, costringendo di fatto altre realtà ben più talentuose a giocare un altro campionato, rivolto a chi considera questo genere molto più che mero intrattenimento visivo e plasticoso.
Il discorso cambia totalmente nel momento in cui un palco in pieno stile giapponese a tinte cyberpunk accoglie i finlandesi BEAST IN BLACK di fronte al fiero sguardo della statua della belva leonina.
La formazione nordica, seppur di provenienza mista per quanto riguarda i singoli membri, dal momento della sua fondazione non ha mai smesso di scalare le classifiche, incrementando il proprio livello di popolarità ed ergendosi al di sopra di molte realtà analoghe preesistenti, inclusi quei Battle Beast da cui il leader Anton Kabanen ha preso le distanze già diversi anni fa, conscio che presto si sarebbe trovato headliner ad eventi e tour di tutto rispetto su palchi importanti.
La loro proposta risulta tanto gradita agli ascoltatori moderni, quanto dannatamente classica nella sua essenza e per questo appetibile anche per chi ha gusti più old-school, a prescindere che si analizzi la loro matrice heavy/power o la moltitudine di elementi di provenienza synthpop e retrowave.
La scaletta pesca da tutti e tre gli album disponibili sul mercato, e pur essendoci qualche assenza riteniamo che fosse difficile fare di meglio sul fronte del repertorio selezionato; non a caso, sin dalla iniziale “Blade Runner”, il pubblico va letteralmente in visibilio iniziando a pogare come se fosse un concerto dei Testament, e l’energia trasmessa dai cinque ragazzoni on stage risulta tangibile e ben dosata, tra una capatina su Marte e una citazione al manga “Berserk”.
La band svolge ottimamente il proprio mestiere, senza lesinare su qualche dovuta parentesi in solitaria, come il tema di “Super Mario” proposto dal chitarrista Kasperi Heikkinen o gli strilli dello stesso Anton, anch’egli provvisto di sei corde tra le mani, in concomitanza di alcuni ritornelli. L’asso vocale che risponde al nome di Yannis Papadopoulos invece ogni tanto sembra faticare leggermente, ma considerando il periodo stagionale in cui la salute è messa a repentaglio, nonché la quantità assurda di richieste di virtuosismi cui il Nostro è sopposto continuamente, riteniamo di aver poco da criticare.
Tutti gli occupanti del palco si divertono moltissimo e noi più di loro, arrivando in un baleno alle battute finali e confermando di fatto quella che è la nostra opinione su una band tra le più discusse del panorama, ma anche una delle più meritevoli di attenzioni e apprezzamenti da parte di ascoltatori più o meno giovani.
Non ci dispiacerebbe una presenza minore di basi, grazie all’ausilio di un tastierista, ma è probabilmente l’unica critica effettiva che ci sentiamo di fare a una band che, ad oggi, non ci ha ancora mai deluso dal vivo e su disco.
Setlist Beast In Black:
Blade Runner
Bella Donna
Beast In Black
Sweet True Lies
Broken Survivors
From Hell With Love
Hardcore
Moonlight Rendezvous
Zodd The Immortal
Ghost In The Rain
Highway To Mars
Blind And Frozen
Die By The Blade
One Night In Tokyo
End Of The World
BROTHERS OF METAL
GLORYHAMMER
BEAST IN BLACK