A cura di Lorenzo Ottolenghi
Pratteln è un piccolo paese della Svizzera tedesca, addossato al confine con Francia e Germania, ma facilmente raggiungibile anche dall’Austria, dal nord Italia e pure da alcuni temerari provenienti dalla repubblica Ceca. A Pratteln l’unica cosa degna di nota è lo Z7, un grande capannone dove molte band, che non riescono a “permettersi” tour intensivi nei paesi appena citati, si fermano a suonare. Il locale è grande, l’acustica buona e la birra, nonostante ci si trovi in Svizzera, riesce ad essere meno cara che in Italia. In questa cornice abbiamo assistito allo show dei Behemoth e delle band che li stanno accompagnano per l’Europa in questi giorni, perdendoci, purtroppo, il concerto degli Svarttjern (ma siamo giustificati: stavamo intervistando Nergal). Ecco, quindi, il report di una serata di ottima musica, con una serie di band in gran forma.
INQUISITION
I blackster colombiani erano la band che più suscitava dubbi, non certo per la qualità della musica proposta, ma per la scelta, coraggiosa anche se rischiosa, di presentarsi live nella formazione “originale”, formata dai soli Incubus alla batteria e Dagon a voce e chitarra. Nonostante l’impatto visivo scarno, con il solo Dagon che si muoveva tra due microfoni posti ai lati del palco, invece, gli Inquistion sono riusciti a creare un sound pieno ed un muro che, grazie agli effetti e ad un’accordatura particolarmente “estrema”, ha sopperito alla mancanza di un basso. Il pubblico, già abbastanza numeroso, è dapprima scettico, ma il mood ritualistico che la band riesce a creare e le vocals di Dagon (un po’ penalizzate dalla dimensione live, vista la loro peculiarità) conquistano gli astanti che per “Embraced by the Unholy Powers of Death and Destruction” e “Those Of The Night” diventano molto più numerosi davanti al palco che ai due banconi del bar. Gli Inquisition chiudono un ottimo show con “Infinite Interstellar Genocide” e lo stand con le loro magliette viene preso d’assalto, a testimonianza di un concerto riuscito e di una band che meriterebbe molta più attenzione di quanta ne riceva normalmente.
IN SOLITUDE
E’ il turno degli In Solitude, band classic metal svedese con una componente doom/stoner, lievemente presente nell’ultimo “Sister” ma molto più marcata dal vivo. Il vocalist Pelle, persona simpatica e alla mano, sul palco si trasforma, creando gran parte delle atmosfere occulte che i cinque propongono su disco. Il concerto è totalmente incentrato sull’ultimo full-length del gruppo, probabilmente in virtù dell’ottima ricezione da parte della critica; le atmosfere oscure e tetre, che spaziano tra doom e NWOBHM, si fanno parte integrante della serata, nonostante il genere proposto dagli In Solitude sia estremamente lontano dal black metal che, in qualche modo, unisce tutte le altre band. L’apertura con “Death Knows Where” coglie subito nel segno ed il pubblico, ormai numeroso, si lascia trascinare dal carisma ritualistico e vagamente lisergico della band. E’ la seconda parte del concerto, però, a risultare quella più riuscita, con il doom di “A Buried Sun” che risulta molto gradito agli astanti, tanto da scatenare da più parti la richiesta “more doom”, probabilmente riferendosi ai vecchi lavori del five-piece svedese. I ragazzi sul palco sembrano gradire la richiesta, ma la scaletta è rigida e si prosegue con “Sister”, per terminare, facendo contenti tutti con “Witches Sabbath”, unica concessione al repertorio pre-Sister. Dopo i primi concerti,quindi, è chiara (e ben riuscita) l’atmosfera cupa ed occulta che farà da climax fino allo show dei Behemoth.
CRADLE OF FILTH
Ma prima della band di Nergal e Inferno c’è un gruppo di supporto che è stato, spesso, headliner in serate di questo tipo. Piacciano o meno, i Cradle Of Filth sono un pilastro della scena estrema ed i loro lavori (specie il trittico “Total Fucking Darkness”, “The Principle Of Evil Made Flesh” e “Vempire”) possono essere ascritti alla genesi della seconda ondata black metal. E, come è giusto che sia, Dani Filth non vuole un ruolo da comprimario; non headliner, ma non certo secondo a qualcuno. Questo, probabilmente, contribuisce a creare un concerto di altissima caratura, per una band che ha sempre visto nel suo leader anche un elemento discontinuo nella dimensione live. Così con le “solite” macchine del fumo ed uno schermo alle spalle della band a proiettare video ed immagini, l’ennesima formazione live dei Cradle Of Filth esordisce con una convincente “Chtulhu Dawn” (preceduta da una intro con un insolito Dani che porta un bastone con una testa di capro). Oltre alla buona forma del cantante, colpisce subito Lindsay Schoolcraft che, oltre alle tastiere (in parte, ci è parso, riprodotte come base) copre il ruolo fondamentale di female vocals; sempre Lindsay, nel corso del concerto, eseguirà gran parte delle corali spesso suonate proprio dalla tastiera. La setlist cerca di coprire la sterminata discografia dei Cradle Of Filth e ci regala una splendida “Summer Dying Fast” ed un’ottima “The Principle Of Evil Made Flesh” di cui ricorre il ventesimo anniversario. Ci vuole qualche momento per realizzare che sono passati vent’anni (come da “In The Nightside Eclipse”, due dischi epocali per due band che, ai loro albori, furono protagoniste di un tour storico) e metabolizzare il pensiero di quanta strada abbiano fatto i CoF. Il concerto prosegue con un frontman di tutto spessore che sa come pungolare ed ammaliare il pubblico, fino all’immancabile “Nymphetamine”. Ma, forse, il meglio deve ancora venire. Da “Burn In A Burial Ground” dedicata alle band compagne di tour (compresi i Behemoth “from the depths of Poland”) a “Cruely Brought Thee Orchids” (“tomorrow is valentine day, let’s commiserate together”) e all’attesissima “Her Ghost In The Fog”. Dani non può, naturalmente, rinunciare ad un encore e, richiamato sul palco da un pubblico entusiasta, si congeda con “Funeral In Carpathia”. Forse gli show dei Cradle Of Filth, negli ultimi anni, hanno preso la tendenza ad essere un po’ troppo simili fra loro ed a volte si è avuta l’impressione che ci fosse più mestiere che passione; ma quando Dani Filth è in stato di grazia e la band riesce a fare un concerto come si deve, con la giusta acustica ed un palco adeguato, allora i vampiri inglesi non possono che ricordare a tutti perché sono diventati ciò che sono. La serata potrebbe, quindi, concludersi così e sarebbe stata un’ottima serata di musica metal. Ma una tempesta infernale sta per abbattersi sullo Z7.
BEHEMOTH
Nergal. Inferno. Orion. I Behemoth (Nergal, soprattutto, essendo l’unico membro presente fin dalla nascita della band, quando ancora si faceva chiamare Holocausto ed era parte di un circuito NSBM da cui si è ampiamente allontanato e che ha rinnegato con forza) da Sventevith in poi non hanno mai sbagliato un colpo. Una progressione lenta e costante che li ha portati al clamoroso successo di “The Satanist”. Tutto è immenso nello show della band polacca, dal drumkit di Inferno a Orion e Seth ai lati di Nergal, fino ai tre microfoni costituiti da una sorta di piccolo altare su cui brillano quattro piccole fiammelle. Si parte con “Blow Your Trumpets Gabriel” e “Ora Pro Nobis Lucifer”; il nuovo disco è uscito da dieci giorni ed il pubblico conosce già perfettamente i pezzi. Non c’è spazio per fronzoli ed interazione col pubblico (da tempo Nergal dice praticamente solo una frase durante i concerti, oltre ad annunciare qualche pezzo ed a ringraziare sporadicamente); lo spettacolo è dato dalla band, da come è preparato il palco e dal fumo, ma – soprattutto – dalla musica. Non c’è respiro mentre si continua: “Conquer All”, “As Above So Below” ed una violentissima “Slaves Shall Serve” che scatena un moshpit massacrante e concede la prima pausa del concerto. Qualcosa si muove nel palco privo di illuminazione ed i Behemoth riattaccano con “Christians To The Lions”, mentre due enormi croci riverse in ferro prendono fuoco. Si prosegue con una splendida “The Satanist” un po’ diversa da come suona su disco: il growl è affidato in gran parte a Seth e Orion, mentre Nergal canta con voce quasi pulita (cosa che aveva più volte anticipato, mentre il disco era in fase di registrazione, ma che non ha avuto riscontri nella versione pubblicata), poi “Ov Fire And The Void” che lascia spazio all’impressionante drumming di Inferno, che gioca un ruolo fondamentale nel sound dei Behemoth. Si spazia ancora nel repertorio degli ultimi dischi ed il concerto si chiude con l’annichilente duo formato da “At The Left Hand Ov God” e “Chants For Eschaton 2000”, in cui la sezione ritmica formata da Inferno e Orion dimostra una sincronizzazione perfetta ed una pesantezza sonora al limite del sostenibile. Così i Behemoth lasciano il palco. Naturalmente tutti sanno che manca ancora qualcosa; lo Z7 è al buio: le orecchie fischiano, si sente ancora l’odore del fumo ed il calore delle fiamme quando un muro di fuoco da il via a “O Father O Satan O Sun !”. E’ più che evidente che quella dei Behemoth non è una canzone: è musica, certo, ma è anche un’invocazione ed un proclama di fede nell’uomo, nella ribellione, nel padre e nello spirito di tutto, secondo i principi di Crowley che pervadono l’arte della band polacca. Poco prima della lunga parte recitata che costituisce la seconda metà del pezzo c’è una brevissima pausa, poco più di un attimo e – mentre la voce inizia a scandire “O Lion-Serpent Sun” – i Behemoth appaiono con una maschera nera a foggia di testa di capro. Il rito prosegue, la voce sale di intensità raggiungendo un pathos incredibile, mentre quasi urla “O my Father, O Satan, O Sun !” un muro di fiamme copre tutta la larghezza del palco. Quando il fuoco si abbassa, la musica è terminata e la band non è più sul palco. Così, con una commistione di violenza e poesia, in uno spettacolo musicale e visivo si chiude la bestemmia di Nergal, Inferno e Orion. Un grido blasfemo che lascia violentemente esterrefatti e sgomenti, qualcosa che è durato un attimo ma che ha un’eco di millenni. Non è il credo satanico quasi esageratamente esplicito dei Behemoth, non è l’odio verso dio ricordato ad ogni frase; quello che colpisce è costituito da persone che sono quello che cantano, una band di metal estremo che inneggia al male ed alla libertà, alla vita ed alla morte con un messaggio iniziatico eppure universale che grida a Lucifero “tuo è il regno, la potenza e la gloria”. Il pubblico lascia lentamente lo Z7; alcuni si attardano per l’ultima birra, altri scambiano qualche parola fumando l’ultima sigaretta. Il passo dei più è lento, non c’è quell’atmosfera festosa tipica di molti concerti: fuori piove ed ognuno torna da dove è venuto, conscio di aver assistito a qualcosa di veramente unico.
Setlist:
Blow Your Trumpets Gabriel
Ora Pro Nobis Lucifer
Conquer All
Decade Of Therion
As Above So Below
Slaves Shall Serve
Christians To The Lions
Driven By The Five-Winged Star
The Satanist
Ov Fire And The Void
Alas, Lord Is Upon Me
Furor Divinus
At the Left Hand Ov God
Chant For Eschaton 2000
Encore:
O Father O Satan O Sun!