Un programma sfizioso per gli amanti del metal estremo: guidato dai lanciatissimi Behemoth, il tour con Kataklysm e Aborted si preannuncia dispensatore di violenza. In molti hanno sete di sangue a giudicare dalla piccola folla che riempie il Rainbow, che si dimostrerà entusiasta non solo degli headliner. Sfortunatamente l’orario proibitivo dell’inizio ci impedisce di assistere alla prova dei Lyftrasyr, che in ogni caso non sembrano aver lasciato una grossa traccia ad ascoltare i pareri dei presenti.
ABORTED
Come sempre gli Aborted sono rappresentati in maniera sfavillante dal frontman Sven de Caluwé, che si appresta a presentarci il nuovo “Slaughter & Apparatus: A Methodical Overture” senza farsi problemi nel modificare la formazione, pratica a cui ci ha abituato nella storia oramai decennale dei belgi – notevole a proposito la prova del nuovo batterista Dan Wilding, potente e veloce come pochi. In una setlist che supera i 40 minuti i pezzi dell’ultimo album si integrano perfettamente con il passato, in una prova dalla resa sonora superiore alla norma dell’infame locale meneghino e un megapogo finale su richiesta del frontman che lascia entusiasti i presenti. Sempre un piacere.
KATAKLYSM
Pochi minuti di cambio palco ed è il turno dei canadesi guidati da Maurizio Iacono, la cui simpatia sul palco (e anche aldisotto, visto il tempo che ha passato a chiaccherare col pubblico) è proporzionabile ai bicipiti smisurati. Death metal diretto, senza colpi di testa ma con un tiro sufficiente a provocare l’headbangin’ dei fan. La parte migliore la fanno le battute di Maurizio, in italiano ovviamente, che tira in ballo il pallone e non smette di incitare le prime file per i 45 minuti a loro disposizione. Di certo i Kataklysm non sono e non saranno mai delle star, ma con l’attitudine semplice e diretta che li caratterizza restano un gruppo godibile per quasi tutti i presenti, sicuramente un jolly per riempire i tour di molti esperti di metallo estremo. Si conferma lo stato di grazia dell’acustica del Rainbow, quasi un miracolo.
BEHEMOTH
La parabola ascendente dei Behemoth non si ferma e, dopo lo sconcertante successo a stelle e strisce grazie alla apparizione all’Ozzfest, i polacchi tornano nella già conquistata Europa per sfoggiare la propria supremazia. I Behemoth sono una superba, rodatissima, spietata macchina death metal: l’asta del microfono e le aquile sugli ampli fanno da semplice coreografia ai quattro che, truccati e in abiti guerreschi, recitano il ruolo di marziali sterminatori. “Recitano”, perchè tutto lo show è abilmente studiato e quasi coreografato: i messaggi destabilizzanti dell’ingrugnito Nergal (“Siamo venuti per saccheggiare e scopare le vostre donne!”), le pose plastiche della formazione, la precisione millimetrica con la quale tutto il materiale viene eseguito, la maschera di Pazuzu… in sintesi tutti retaggi black metal della formazione. Tutto questo potrebbe diventare enorme difetto se non seppellito da una esibizione sopra le righe, che cita immancabilmente “Demigod” e “The Apostasy” ma che non trascura il passato recente (“As Above So Below” da “Zos Kia Cultus”) e remoto (“Decade Of Therion” e “Chant For Eschaton 2000” da “Satanica”). Dopo un breve assolo di Inferno, lo show si avvicina alla fine con il devastante trittico formato da “Slaves Shall Serve”, “Christians To The Lions” e “Decade Of Therion”, che chiudono un set principale senza macchia. Il gruppo ritorna ancora fresco per i bis e qui arrivano le sorprese: dopo una ispirata “Sculpting The Throne Ov Seth”, Nergal regala ai presenti una chicca, introdotta dallo stesso frontman come un pezzo di uno dei suoi gruppi preferiti in assoluto: parliamo della versione stravolta di “I Got Erection” dei Turbonegro, che lascia l’audience perlopiù dubbiosa (quasi nessuno conosceva i rockers norvegesi) e in minima parte esaltata e allibita allo stesso tempo. Decisamente la ciliegina sulla torta di uno spettacolo incendiario!
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