Report di Giacomo Slongo
Fotografie di Benedetta Gaiani
Dopo le polemiche dell’ultima settimana, fra petizioni per la difesa del bene comune, lettere al sindaco e impegni (mantenuti) a benedire il luogo con acqua santa, esorcizzando sia il pubblico che il locale dagli effetti del Maligno, l’Unholy Trinity 2025 si è svolto come da programmi in un tranquillo e soleggiato mercoledì di inizio aprile.
Indubbiamente, parliamo di uno dei più grossi eventi estremi annunciati per quest’anno, in grado di riportare in Italia i Behemoth dell’amato/odiato Adam Darski alla testa di un pacchetto completato dalle istituzioni del black metal norvegese Satyricon e dai combattenti del Mediterraneo Rotting Christ, per una serata dal forte appeal che – non a caso – ha fatto sì che l’Alcatraz venisse settato nella sua conformazione principale, senza magari raggiungere il pienone di Cannibal Corpse, Municipal Waste e compagnia (per citare un’altra data dalle tinte forti), ma difendendosi comunque egregiamente a livello di numeri.
“Black metal has never been so bigger”, dirà il frontman polacco nel corso della performance, in uno dei suoi pochi scambi di battute con il pubblico; a fronte di certi risultati, come dargli del tutto torto?
Chi scrive, aveva salutato i ROTTING CHRIST in quel di Atene, quando lo scorso 29 giugno, nell’incredibile cornice dell’Anfiteatro del Licabetto, la band dei fratelli Tolis aveva celebrato sontuosamente i suoi trentacinque anni di carriera, in una scaletta orientata tanto sul materiale più recente, quanto sull’indimenticato (e imbattibile) repertorio degli anni Novanta.
Oggi, con una decina di cartucce da sparare prima di cedere il posto a Satyr e Frost, la band greca opta invece per la solita, controversa scelta di relegare il passato remoto alla sola “Non Serviam” (con l’aggiunta di “Societas Satanas”, cover dei Thou Art Lord”) e di concentrarsi sul periodo post-“Aealo”, tanto che il backdrop con l’artwork di “Κατά τον δαίμονα εαυτού” (da cui verranno estratti ben quattro pezzi) suona fin da subito come una dichiarazione d’intenti sulla direzione dello show.
A questo punto, non resta che constatare la natura di un concerto sì energico e genuino come da tradizione dei Nostri, ma che per un estimatore della discografia sa comunque di insoluto. D’altronde, anche senza voler fare i ‘difensori della fede’, aggrappandosi con le unghie e con i denti alle oscure litanie di un “Thy Mighty Contract”, perché rinnegare in questa maniera opere eccellenti (e meno antiche) come “Theogonia” o il suddetto “Aealo”?
Purtroppo, tra manie di protagonismo (vedasi il suo recente progetto solista) e lavori sempre più annacquati a livello di riff, Sakis non si sta dimostrando particolarmente ‘sul pezzo’, e anche se non avremo mai il cuore di parlarne apertamente male, visto l’entusiasmo con cui, a cinquantadue anni, continua a guidare la sua creatura, risulta difficile non esprimere un filo di rammarico a fronte di certe mosse inspiegabili.
Dodici anni. Facendo mente locale, e spulciando per scrupolo sul web, da tanto la compagine di Oslo non calpestava il suolo meneghino, quando – a supporto dell’allora recente self-titled – si esibì ai Magazzini Generali in compagnia degli Chthonic.
Un lasso di tempo enorme, certo reso meno pesante da altre date svoltesi nel frattempo al Nord Italia (come quella di Bologna nel 2018), ma che finisce comunque per giustificare l’hype attorno a questo ritorno. Attesa ripagata? A fronte di quanto offerto dai SATYRICON nell’oretta a loro disposizione, la risposta è decisamente affermativa.
Certo, anche in questo caso si potrebbe disquisire sulla scaletta, ma almeno qui – pur bypassando gli anni Novanta, salvo un paio di estratti dal capolavoro “Nemesis Divina” – buona parte del tempo viene concesso a brani dal gran tiro, con l’epoca Roadrunner di “Now, Diabolical” e “The Age of Nero” a costituire il fulcro della performance di Satyr (istrionico come sempre), Frost (nascosto dietro la sua batteria posizionata sul lato destro dello stage) e della line-up a supporto del duo, al cui interno si segnala la presenza di Phil Pieters Smith (ex Emptiness) al basso in sostituzione di Frank Bello degli Anthrax.
Fin dalla title-track del disco del 2006 posta in apertura, con il frontman che per ultimo si presenta sul palco sventolando un’enorme bandiera nera con croce bianca rovesciata (bella cafonata!), la formazione norvegese setta un alto standard di intensità e cazzimma, lasciando da parte quell’aria gelida e distaccata associabile all’universo black metal in favore di un approccio decisamente più energico e movimentato, che ben si presta al martellamento di riff (pochi, ma ben assestati) del pezzo, così come delle successive “Black Crow on a Tombstone”, “Die by My Hand” o “The Pentagram Burns”.
Un black’n’roll incendiario e ante litteram spezzato dalle trascurabili “To Your Brethren in the Dark” e “Our World, It Rumbles Tonight” (rispettivamente da “Deep Calleth Upon Deep” e “Satyricon”) e dalle magiche versioni di “Nemesis Divina” e “Mother North”, la cui esecuzione impeccabile ci porta a chiederci che cosa non sarebbe uno show dei Satyricon se solo i Nostri decidessero di guardare più spesso ai loro leggendari esordi.
Ipotesi che, salvo ripensamenti dei lider maximo, resteranno tali, ma che nel 2025 non impediscono alla formazione norvegese di rendersi protagonista di concerti solidi e divertenti, come quello di questa sera all’Alcatraz.
Che i BEHEMOTH – in sede live – siano ormai un nome inflazionato e che dai loro spettacoli, bene o male, si sappia già cosa aspettarsi è un dato di fatto. Ciononostante, a nostro avviso, questo non rappresenta un buon motivo per privarsene, vista la cura e (soprattutto) l’intensità con cui Nergal, Inferno, Orion e Seth continuano a rivestire le loro performance.
Con un mese esatto di anticipo sulla pubblicazione del nuovo “The Shit ov God”, ecco quindi la corazzata polacca riapprodare nel locale di via Valtellina per ribadire una supremazia favorita sì da un’immagine fortissima, dal marketing azzeccato e dalla personalità ingombrante del frontman di Danzica, ma conquistata anzitutto grazie al valore reale e tangibile della proposta e al modo con cui essa, sera dopo sera, viene portata sul palco.
Come sempre, insomma, costumi e scenografie fanno la loro porca figura (a questo giro, oltre al solito sfoggio aquile di metallo, croci rovesciate e proiezioni blasfeme, segnaliamo due gigantesche pedane sopraelevate che hanno consentito ai musicisti di dominare dall’alto il locale), ma non costituiscono la cosiddetta ‘ciccia’ dell’ora e mezza in programma: quella, ancora una volta, la forniscono i brani e la compattezza dell’esecuzione, con quest’ultima che – a dispetto dello status mainstream raggiunto dal quartetto – riduce allo stretto indispensabile le stronzate in favore della musica.
Quello dei Behemoth è e resta un vero concerto death metal, insomma, e i Nostri ce lo ricordano con un’aggressione a testa bassa che, partendo dal recente singolo “The Shadow Elite”, si sofferma giocoforza sulle tappe salienti e controllate dell’ultimo decennio, quelle che di fatto ne hanno reindirizzato la carriera e cambiato il terreno di gioco (“Ora Pro Nobis Lucifer”, “Blow Your Trumpets Gabriel”, “Bartzabel”), per poi abbandonarsi a manate imprescindibili (“Conquer All”, “Christians to the Lions”) e a ripescaggi utili a dare un twist alla scaletta e accontentare i fan meno occasionali (“Christgrinding Avenue”, “Cursed Angel of Doom”).
Certo, la voce di Nergal non è più quella dei tempi d’oro, motivo per cui gli interventi al microfono di Orion e Seth appaiono sempre più utili e strategici, ma nel complesso, sospinta da quella macchina dietro ai tamburi che è Inferno, la band non arretra sostanzialmente di un centimetro, unendo concretezza e impatto visivo come pochi altri gruppi afferenti alla scena death-black (su due piedi, ci verrebbe da citare gli amici Watain).
La riprova di come, in buona sostanza, a simili vette non si arrivi ovviamente per caso.
Setlist Behemoth:
The Shadow Elite
Ora Pro Nobis Lucifer
Demigod
The Shit ov God
Conquer All
Blow Your Trumpets Gabriel
Ov Fire and the Void
Christgrinding Avenue
Bartzabel
Solve
Wolves ov Siberia
Once Upon a Pale Horse
Christians to the Lions
Cursed Angel of Doom
Chant for Eschaton 2000
O Father O Satan O Sun!
ROTTING CHRIST
SATYRICON
BEHEMOTH