Quasi nessuno, crediamo, si immaginerebbe di vedere i Bell Witch live in una trattoria – a meno che non si conosca la trattoria Altroquando di Zero Branco, un grande rustico perso tra i campi della provincia trevigiana che da anni è l’insospettabile cornice di notevoli eventi underground.
Il merito è soprattutto di un lungo sodalizio con Go Down Records e di una più recente collaborazione con Trivel, che negli anni hanno fatto di Altroquando non solo la tradizionale scenografia del Maximum Fest, ma anche la location in cui si sono esibiti artisti quali Eyehategod, Nebula, King Dude e The Secret, nonché una tappa pressoché fissa nei tour italiani di Nick Oliveri – tanto che ormai, su questa fidelizzazione del leader dei Mondo Generator, ci si scherza su.
Altroquando, in realtà, non è una semplice trattoria, ma un contesto perfettamente attrezzato per ospitare musica live di una certa caratura. L’ampio cortile ospita ben due palchi, uno all’aperto e uno protetto da un tendone, mentre un terzo piccolo palco è collocato in una delle sale del ristorante. Inoltre, l’edificio è circondato da un’area verde con spazi per mangiare o riposare; c’è un bar esterno e spesso viene allestito anche un angolo merchandise con dischi e gadget. E poi c’è l’ospitalità dei gestori Oriano e Mirella, che si prendono cura degli ospiti offrendo loro un servizio che sa di casa.
Da avventori affezionati di Altroquando, siamo particolarmente contenti di vedere qui i Bell Witch, una delle realtà doom più interessanti in circolazione, attualmente in giro per l’Europa con un carrozzone di nomi di tutto rispetto. Stasera la squadra è molto ridotta: oltre ai maestri americani della lentezza, delle band in locandina saliranno sul palco solo i The Keening, progetto solista di Rebecca Vernon (ex SubRosa). A completare la line-up ci saranno i Bottomless, cui spetta anche il compito di fare gli onori della scena doom locale.
Mentre arranchiamo verso l’ingresso, sotto la pioggia che ha funestato il Veneto per tutta la settimana, veniamo raggiunti da un accattivante giro di chitarra: sono i BOTTOMLESS, che hanno iniziato il loro set con diversi minuti di anticipo sull’orario previsto.
Il trio trevigiano ha pubblicato l’estate scorsa il suo ultimo lavoro, “The Banishing”, dando seguito all’instancabile maratona produttiva dei suoi membri: il cantante e chitarrista Giorgio Trombino e il batterista David Lucido sono infatti impegnati entrambi negli Assumption, mentre fino a non molto tempo fa la bassista era Sara Bianchin, frontwoman degli apprezzatissimi Messa, ora degnamente sostituita da Laura Nardelli degli Askesis.
La proposta dei doomster di casa nostra è una celebrazione del riff: graffianti, profondi, carnosissimi riff che urlano “Black Sabbath“, sui quali non manca lo spazio per far parlare la chitarra; la voce di Giorgio Trombino, singolarmente pulita per il genere, aleggia leggera e penetrante come la nebbia delle nostre campagne. La setlist di stasera è focalizzata sull’ultima release della band, che da “The Banishing” propone “Let Them Burn”, “The Great Unknonw”, l’ultra-ozzyiesca “Stand in the Dimming Light” e l’epica “By the Sword of the Archangel”, anche se non mancano i pezzi dall’omonimo debutto, in particolare il bel singolo “Centuries Asleep”.
La resa sonora è discreta nonostante ci si trovi sotto un tendone – notoriamente non proprio l’ideale per l’acustica. A fine performance, sono gli stessi membri dei The Keening ad andare a stringere le mani dei musicisti: davvero una bella apertura, peccato per il pubblico ancora poco numeroso.
Non che nel tempo del cambio palco si presentino frotte di gente – ahinoi – ma qualche spettatore in più i già citati THE KEENING lo racimolano, forse per l’orario più congeniale, forse perché nel mentre il meteo sembra essersi un po’ stabilizzato (sembra, appunto: sarà necessario, più tardi, chiudere la tensostruttura per riparare i presenti da un acquazzone).
I The Keening sono una realtà relativamente nuova, anche se la mente dietro il progetto viene da una lunga carriera musicale: la band è infatti, come già accennato, la giovane creatura dell’ex cantante dei doomster americani SubRosa; dopo lo scioglimento del gruppo originario nel 2019, tre su quattro dei componenti hanno dato vita al progetto The Otolith, mentre Vernon ha deciso di proseguire da sola, aprendo il proprio sentiero tra le selve incontaminate del doom folk, un genere particolarmente caro alle donne dell’underground, soprattutto a quelle con un marcato talento cantautorale, e che sembra patire solo in misura limitata l’aumento dell’offerta registrato nell’ultimo decennio.
Come prevedibile, il set riproduce l’unica pubblicazione dei The Keening, “Little Bird”, uscito l’anno scorso su Relapse. Nonostante non si avvalga della varietà di strumenti che costituisce uno dei punti di forza dell’album e al netto una resa sonora abbastanza penalizzante, la band di Portland riesce comunque a compiere la sua magia: le atmosfere trasognate dell’album affiorano sempre più definite, un brano dopo l’altro, trasportando davvero l’ascoltatore in un altro quando (e in un altro dove).
La voce al contempo misteriosa e rassicurante di Vernon riempie l’aria, intrecciandosi con quella di Andrea Morgan e con le note aggraziate del suo violino, in un crescendo sostenuto da eleganti incursioni di chitarra elettrica e da un drumming calibrato alla perfezione per sottolineare i passaggi più intensi. Un’esecuzione notevole e affascinante, che però, crediamo, avrebbe avuto la sua collocazione ideale in club.
Dopo il set della combo oregoniana, c’è giusto il tempo di prendere una birra e salutare qualche amico, poi ci siamo.
Bastano poche note, anzi, una sola nota lunghissima per far scendere sul pubblico una cappa plumbea: i BELL WITCH sono sul palco e insieme alle corde del basso di Dylan Desmond vibrano l’aria e le ossa.
Nessuna sorpresa sulla setlist: il loro ultimo, monumentale lavoro si dilata su un’unica traccia torrenziale, “The Clandestine Gate”, della vertiginosa durata di ottantatré minuti, una circostanza che fa di questo live un’esperienza di ascolto particolare, immersiva e quasi meditativa. In più momenti abbiamo pensato che l’ideale, per godere appieno di questo viaggio tra suoni, frequenze e armonie, sarebbe stato chiudere gli occhi: ma come si fa, a chiudere gli occhi, se parte integrante dello show sono delle visual ipnotiche, che sembrano uscite da una versione di “Dune” ambientata nei boschi del Nord America?
Come non è semplicissimo descrivere l’album, così non è semplicissimo descriverne la riproposizione dal vivo: di per sé, si tratta di un’ora e venti di flusso musicale, tutto basso e batteria coadiuvata da una varietà percussioni, campane e, soprattutto, un gong.
Una frazione non secondaria di ciò che si sente è in base, e per rendere appieno l’intelaiatura della composizione non potrebbe essere altrimenti: “The Clandestine Gate” è una sorta di monolite, non frazionabile e non rimodulabile se non al prezzo di snaturarla. E la natura quasi psichedelica di questa impressionante composizione dirompe in tutta la sua potenza nel corso del live, esteso fino all’inverosimile, tanto da far perdere totalmente la cognizione del tempo.
Crediamo che ci siano due modi, altrettanto validi, di godersi una performance come questa: il primo è arrendersi e farsi scorrere addosso la cascata di vibrazioni e growl, lasciando la mente libera di ricamare sulle suggestioni sonore e visive che il duo di Seattle propone. Seguire la corrente, farsi guidare in un mondo di immagini e di emozioni stratificate, mentre la band tiene il timone.
Il secondo è un ascolto più cosciente, in cui lo straniamento non è mai completo, come un dormiveglia in cui si ha abbastanza consapevolezza di star sognando da rendersi conto dei dettagli, delle soluzioni compositive, della ricerca maniacale che rende possibile un lavoro ambizioso come “The Clandestine Gate”.
Da parte nostra, abbiamo tentato di mediare tra le due opzioni, ma alla fine abbiamo ceduto: ci siamo lasciati scivolare sotto la superficie sonora magistralmente creata dai Bell Witch, affondando piano nella quiete abissale della loro musica.
Poi, quando tutto finisce, altrettanto piano si riaffiora, turbati e sereni insieme. Difficilmente paragonabile ad altri concerti metal (le uniche esperienze vagamente accostabili che ci vengono in mente sono tutte di ambito drone o ambient), quello dei Bell Witch è uno spettacolo da non perdere.